Capitolo 12

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Erano passate ormai due settimane e del teppista nemmeno l'ombra. Christopher avrebbe voluto vederlo e parlarci come si era promesso di fare, ma l’azzurrino aveva smesso di presentarsi a scuola. Nessuna notizia, niente di niente. Aveva provato a contattarlo mandandogli dei messaggi; erano stati visualizzati senza avere alcuna risposta. Sospirò pesantemente buttandosi sul letto morbido della sua stanza. Con le braccia stese ed il telefono in una mano si ritrovò a mirare il candido soffitto con quegli occhi color miele. Perché gli stava impedendo di rimediare? Perché aveva un brutto presentimento? Sussultò all’improvviso squillare del telefono e, speranzoso, avvicinò il viso allo schermo illuminato. Ma rimase deluso, era la sua mogliettina pettegola.

«Come stai Susie?» chiese Dean dall’altro lato dell’apparecchio.

«Non mi ha risposto nemmeno oggi», ammise andando dritto al punto. «Sono preoccupato, non si è presentato neanche a scuola».

«Ammettilo che appena hai sentito la suoneria sei guizzato sul posto e sei corso a rispondere pensando fossi il tuo fidanzatino».

«Ultimamente sei di buon umore, Wendy ti ha proprio stregato», fece notare, «Sei più pettegolo del solito».

«Scusami tanto se mi preoccupo della susina appassita che mi ritrovo come amico». Il biondo sospirò pesantemente, ultimamente non era in vena di scherzi, era sempre con la testa tra le nuvole e non faceva altro che pensare a Victor.

«Scusa», borbottò a bassa voce. «Sono felice che tu abbia finalmente una ragazza, ma non ce la faccio più».

«Il tuo lato da mamma chioccia esce fuori. Perché non vai a trovarlo a casa?»

«Perché sembrerei uno stalker», ribattè prontamente.

«Ma tu sei uno stalker, e lui lo sa benissimo.» lo canzonò come suo solito. «Non ti chiamava Signor Stalker?»

«Come puoi prendermi per il culo ed allo stesso tempo dirmi la cosa giusta?»

«Susie, ormai ci conosciamo da quando ci scambiavamo le figurine dei giocatori di baseball alle elementari. So cosa stai pensando», disse Mcdaniel, fiero di conoscerlo a menadito.

«Anche io so a cosa stai pensando e preferirei non saperlo, falegname», lo punzecchiò. Gliel’aveva servita su un piatto d'argento.

«Sei un Buzzurro*», Chris scoppiò a ridere, lo aveva fatto irritare. Lo aveva intuito da quella parolaccia aurica che gli aveva rivolto.

«La ringrazio, messere» continuò a punzecchiarlo. Era riuscito a farlo ridere anche in quel periodo di preoccupazioni.

«Chiudo la chiamata, prima di mandarti a quel paese. Fammi sapere come va».

«Ricevuto, capo!» lo salutò White interrompendo la telefonata. Sospirò ancora una volta fissando lo schermo spento del telefono, non stava forzando le cose, vero?

§

Parcheggiò l'auto e sospirò pesantemente, passò le dita fra le ciocche bionde sempre in disordine. Scrutò il palazzo dal finestrino soffermandosi sulla finestra dell’appartamento di Victor. L'edificio risultava trasandato, con la vernice bianca che veniva interrotta da delle macchie dove si poteva intravedere la parete in mattoni. Da quando esitava così? Da quando rimuginava così tanto sul da farsi? Solitamente era impulsivo su ogni cosa. Come in prima superiore, quando si era invaghito di Elisabeth Price. L’aveva vista per la prima volta nei corridoi della scuola, con quella sua cascata di capelli castani, quegli occhi azzurri come il cielo d'estate privo di qualsiasi nuvola. Quel corpo così gracile che, al semplice tocco, sembrava potesse rompersi in mille pezzi ma allo stesso tempo così sensuale. All'inizio aveva pensato fosse come tutte le altre, che fosse un’arpia popolare come Virginia Perez perciò non vi aveva dato molta attenzione. Ma poi, per puro caso ad un'uscita, tramite amici in comune, aveva scoperto fosse una persona gentile ed affettuosa. La loro storia era normale, non era iniziata come una favola come spesso le ragazze sognano. Non era arrivato a cavallo come un principe e, lei, non era di certo una principessa. Le aveva chiesto di uscire d’impulso, dal nulla mentre chiacchieravano e si erano fidanzati allo stesso modo. Stavano bene insieme, o almeno lui credeva così, fino a quando non era stato mollato con la scusa di essere “asfissiante”. Non era vero. Per i mesi successivi si era dato la colpa fino a quando, per puro caso sempre nei corridoi, non aveva visto la sua ex fare la gatta morta con uno dei bulli della scuola. Il problema non era lui, era la castana ad essere cambiata. Ed anche se era arrivato a questa conclusione, non aveva smesso tuttora di incolparsi per quel mancato cambiamento da parte sua, avvenuto invece nella sua ormai ex partner. Scese dall’auto per dirigersi verso la porta a vetri del palazzo, per poi accorgersi di non avere la chiave per entrare. Da lì Vick non gli avrebbe mai aperto, né tanto meno risposto dal citofono. Si ritrovò ad attendere che qualcuno dei condominiali dovesse entrare o uscire di casa.

E il tempo scivola viaWhere stories live. Discover now