Capitolo 38

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Victor chiuse la porta appoggiandovisi con tutto il corpo mentre il silenzio dell'appartamento, lo avvolse come una coperta di neve. In una mano stringeva una busta di plastica del supermercato semi vuota. Scivolò, strisciando con le spalle sulla superficie del portone, fino a sedersi sul pavimento freddo. Era solo. Completamente solo. Aveva lasciato Christopher, vedere il suo volto ferito per colpa sua faceva male, ma sapeva che sarebbe stato più doloroso se lo avesse lasciato con il cuore appesantito dal lutto proprio come il suo. Si strinse il berretto lasciandosi andare ad un pianto disperato e rumoroso, tra lacrime amaramente salate e singhiozzi che gli mozzavano il respiro.

Adesso, senza nessuno a guardarlo, poteva crollare. Adesso, senza alcuna speranza di sopravvivere, si poteva permettere di arrendersi. In fondo, i suoi polmoni erano destinati alla polvere. Lui era destinato a spegnersi. Era così che si era sentita sua madre quando le hanno riferito che era una malata terminale? Eppure, quella piccola parte di sé che non riusciva ad accettarlo, sembrava aggrapparsi con le unghie e con i denti pur di non arrendersi alla fine imminente. Quella situazione gli sembrava tanto ingiusta. La presa sul cappello si fece più stretta. Se lo sfilò e lo gettò da qualche parte con tutta la forza che possedeva. «’Fanculo!» sbraitò con il viso paonazzo e bagnato mentre il berretto, come la sua imprecazione, veniva inghiottito dal silenzio dell'appartamento. Si strinse le ginocchia al petto abbracciandosi le gambe per cercare un minimo di conforto, un qualche tipo di calore che potesse lenire il dolore interiore. Vi poggiò la fronte, era tutto inutile. Niente poteva equiparare gli abbracci di Chris, le battute sarcastiche di Charlie o le carezze di Hanna. Già, Hanna. La sua mamma.

«Mamma», singhiozzò in un sussurro.

La donna usava accarezzargli dolcemente i capelli con un sorriso dolce sul viso mentre, con orgoglio, gli ricordava che il suo bambino era cresciuto ed era diventato un bel bravo ragazzo. Quasi d’istintoVick si toccò il capo, in cerca di qualche rimanenza di quel calore fantasma. Solo in quel momento si ricordò che non aveva capelli e gli dolette quanto un ceffone in pieno viso.

«Ma-mamma» singhiozzò più forte, come se la donna potesse sentirlo e correre da lui. Tirò sù con il naso e senza asciugarsi le lacrime si alzò da terra con fatica, quasi inciampando sui propri piedi. Voleva sentirla vicina, almeno lei. Camminò lungo il corridoio, ingrigito dalla luce fioca che bagnava le pareti, fino a fermarsi davanti alla porta della camera che ultimamente utilizzava suo zio: la camera da letto di sua madre. Dalla sua morte non aveva avuto il coraggio di entrare, a malapena riusciva a sostare sull'uscio che il dolore della perdita iniziava a graffiargli la cassa toracica. Ma adesso, in quel momento, poteva finalmente permettersi di pensarla, di soffrirne, di esternare tutto. Non doveva più essere forte per nessuno, non doveva più mentire, nemmeno a sé stesso, che tutto andasse bene. Per troppo tempo aveva soffocato il suo dolore, insieme alle urla nel cuscino bagnato di lacrime. Afferrò la maniglia e spalancò la porta velocemente, come se volesse togliersi un cerotto. Si bloccò. Il letto coperto da una trapunta a fiori, l'armadio in legno scuro, i libri maltrattati sul comodino… Tutto era come lo ricordava. Charlie abitava lì da mesi, ma di lui sembrava non esservici traccia, se non qualche indumento sulla sedia e qualche profumo sul comò. Tutto sembrava come se Hanna fosse ancora in vita e dovesse tornare da un momento all'altro, come se anche Charlie la attendesse inconsciamente. Ogni dettaglio della stanza sembrava scavargli sempre più nel petto fino a formare una grossa voragine e comprese che il vuoto che aveva lasciato la perdita non lo avrebbe mai abbandonato, non sarebbe mai stato colmato. La voragine sarebbe sempre rimasta lì. La morte, anche se era ancora vivo, era entrata a far parte del suo essere.

«Non si guarisce, vero mamma? A questo dolore non c'è cura.» domandò agli oggetti di sua madre, come se potesse ottenere risposta. Stava impazzendo? Non gli importava, presto tutto sarebbe finito. «È possibile abituarsi al dolore?» domandò afono.

E il tempo scivola viaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora