Capitolo 13

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Il riccioluto si ritrovava dinanzi al suo caotico armadietto, nel corridoio della Boston High School. Se non ricordava male lo attendevano due ore di biologia, in cui non era assolutamente portato. Poteva dire di provare del risentimento verso quella materia composta dalle leggi che governavano gli esseri viventi ed il DNA cellulare. Era completamente arabo per lui, Mrs. Marple non rendeva le sue ore come una passeggiata tra i campi fioriti. Sospirò annoiato mentre inseriva i libri e quaderni nel suo zaino.

«Sono sospiri d'amore quelli che sento?» chiese canzonatoria una voce alle sue spalle, fin troppo familiare.

«Di chi dovrei essere innamorato, Dean?» rispose senza voltarsi. Chi altri doveva essere?

«Joshua James Lloyd, a chi la vuoi dare a bere?» poggiò la sua schiena contro l'armadietto al fianco dell'interlocutore, in modo da guardarlo in faccia.

«"James"?» alzò un sopracciglio, confuso.

«Non era il tuo secondo nome?»

«Non ho un secondo nome», scoppiò a ridere. Ok, lo aveva rallegrato un po'. «Pensavo fossi con Wendy».

«Non provare a cambiare discorso con me! Stavi pensando ad Ellen, vero?»

«Cosa c'entra lei?» borbottò leggermente imbarazzato, «Stavo pensando alle due ore di biologia che mi attendono», ammise sconsolato.

«Andiamo, lei ti piace.» affermò lapidario, «Perché non provi a chiederle di uscire?»

«Cosa direbbe Chris se ci provassi con sua sorella?» fece notare, «A proposito, dov'è?»

«È andato dalla sua Giulietta a cavallo del suo baldo destriero», lo informò con tono teatrale come se stesse recitando Amleto. «Comunque Ellen è capace di scegliere da sola il suo ragazzo, anche se Chris è fin troppo iperprotettivo, quando ci si mette. Ma sei un bravo ragazzo, e lui lo sa, penso che dopo ti lascerà in pace», lo rassicurò, «E nel caso ci parlo io», aggiunse con un occhiolino ammiccante.

«È andato da Price? Finalmente si è deciso!» constatò, felice per il suo amico, «Riguardo Ellen, non mi sento pronto per un rifiuto». Chiuse il suo armadietto per mettersi in spalla solo una bretella dello zaino, «Ci sentiamo dopo, cupido pettegolo».

«Andiamo! Perché tutti mi date l'appellativo di "pettegolo"?» domandò sconsolato mentre il castano si allontanava da lui per dirigersi verso la sua classe, dandogli le spalle.

«Perché lo sei, a domani!» lo salutò con un cenno della mano, senza voltarsi. Avrebbe potuto vederlo più tardi, ma sapeva che lo avrebbe passato con Jones. E, a dirla tutta, gli dava ancora un po' fastidio, come un prurito alle pareti del cuore. Sospirò, a quanto pare aveva bisogno di più tempo e questa era una delle ragioni per le quali non chiedeva ad Ellen di uscire, non sarebbe stato corretto nei suoi confronti. Lei non doveva fare da "ripiego" o da "seconda scelta". Se lei avrebbe trovato un'altra persona lo avrebbe accettato senza controbattere.

§

Thomas era appena uscito dalla doccia, dopo aver scaricato la tensione con una corsa nel parco vicino casa. Strofinava energicamente l'asciugamano su quei capelli biondi come l'oro, in quel momento umidi ed in disordine. Erano passate ben due settimane e non aveva avuto più notizie del ragazzo. Sapeva che era orgoglioso, ma non si aspettava avesse preso così tanto da lui. Sospirò pesantemente sedendosi sullo sgabello dell'isola in cucina. Il piano in marmo bianco rendeva la stanza ancora più luminosa di quanto non fosse già, sembrava di essere in un catalogo di immobili.

«Tutto bene, tesoro?» chiese la donna di spalle, intenta a lavare le stoviglie nel lavabo. I capelli castano scuro, quasi neri come la pece, ondegiavano su quella schiena tanto minuta. Quella voce così gentile, quel tono così apprensivo e preoccupato, che gli rivolgeva in cerca di notizie.

«Sto bene, Margaret. Ma Victor non mi ha chiamato», disse sconfortato poggiando il gomito sul piano ed il viso sul palmo della mano, prendendo con l'altra il cellulare.

«Thomas, ci vuole del tempo», lo rassicurò chiudendo il rubinetto ed incrociando il suo sguardo. Quelle iridi verdi come smeraldi, che lo avevano ammaliato fin dal primo istante, si incrociano con quelli azzurri come il ghiaccio del marito, «Gli hai chiesto di trasferirsi qui da noi, è una decisione importante, non credi?»

«Ma lui non ha tempo», sputò lapidario, «Ha il cancro e presto non riuscirà ad essere autosufficiente! Cazzo, sono suo padre!» sbaritò alzando leggermente il tono di voce.

La donna si avvicinò al biondo per accarezzargli delicatamente il braccio guardandolo amorevolmente. «Andrà bene, riallaccerai i rapporti con tuo figlio, ne sono sicura», un sorriso dolce le solcò quelle labbra carnose ricoperte sempre da un rossetto.

«Riesci sempre a calmare la mia impazienza», ridacchiò per poi stamparle un bacio fugace sulla bocca. Si accarezzarono il viso con lo sguardo ma, il telefono squillò riportando entrambi alla realtà.

«Chi è?» chiese curiosa ed infastidita da quell'interruzione che aveva rovinato l'atmosfera.

«È un messaggio», constatò per poi sbloccare lo schermo. «Da Mark?» aggrottò la fronte, perplesso.

"Tuo figlio è in ospedale in pessime condizioni, ma se la caverà. Non venire o peggioreresti la situazione, ti ho solo informato per rispetto. Buona giornata."

Lo stava prendendo per i fondelli? Come poteva restare lì dopo aver saputo che Victor era in ospedale? Cosa gli era capitato? Si strinse i capelli continuando a fissare rabbiosamente il messaggio.

«Va tutto bene?» chiese la moglie e, dopo aver letto il messaggio disse «Si sistemerà tutto».

«Marge, mio figlio mi odia.» affermò, «E lo comprendo, ma si rifiuta di accettare il mio aiuto».

«Vedrai che-», la castana provò a consolarlo, ma fu interrotta dal rumore sordo del pugno sul pianale. Era furioso. Con sé stesso? Con suo figlio?

«Non mi rimane altra scelta», sibilò stringendo la mano, ancora poggiata sulla superficie, «Ma almeno lo saprò al sicuro ed in buone mani». Prese un respiro profondo per calmarsi, poi servì un sorriso tirato alla moglie, «Vado in camera, tu rilassati».

«Cosa vuoi fare?» urlò mentre il marito saliva le scale. Ma non ebbe alcuna risposta per appagare i suoi dubbi.

L'uomo si chiuse la porta alle spalle, cliccò un paio di volte sul touchscreen per poi portarsi l'apparecchio all'orecchio. Non avrebbe mai voluto chiamarlo, questo era un vero colpo per il suo orgoglio. Avrebbe dovuto parlare con quella sottopecie di donnaiolo sfacciato. Si erano odiati sin dall'inizio e, con il passare del tempo, l'astio era cresciuto esponenzialmente.

«Cosa vuoi?» bofonchiò irritato l'uomo dall'altro capo della chiamata.

«Ciao anche a te, Charlie» disse con ironia alzando gli occhi al cielo. Era già stremato da quella conversazione appena iniziata.

«Ringrazia che ti abbia risposto e non ti abbia bloccato», fece notare acido, «Prima che riattacchi, te lo ripeto un'ultima volta: Cosa vuoi?» tuonò seccato.

«Victor ha il cancro». Silenzio. Quella frase era stata una secchiata d'acqua gelata per entrambi, soprattutto per il padre che, dicendolo ad alta voce, aveva finalmente preso coscienza della malattia di suo figlio, cosa che non aveva fatto con la sua ex moglie Hanna. Si era rifiutato fino all'ultimo di crederle, di accettare che la donna avesse il tumore. Ciò lo aveva portato anche a non presentarsi al suo funerale. Si, era stato un codardo e come se non bastasse, tutti continuavano a farglielo notare, perfino lui stesso non perdeva occasione.

«Mi stai prendendo in giro? Lo avrei saputo prima di te».

«Si ostina a voler fare tutto da solo, me lo ha riferito Mark», ammise sedendosi sul letto, sconfortato e stanco. «Anche Hanna si ostinava a fare tutto da sola».

«Non ti azzardare a nominarla», tuonò, «Cercherò di essere lì a Boston il prima possibile». E, senza attendere risposta, interruppe la chiamata.

«Mi ha chiuso il telefono in faccia!» sibilò basito, «Quell'uomo continua e continuerà a mandarmi in bestia come sempre». Buttò il telefono sul letto per poi chiudere gli occhi e premersi l'indice ed il pollice alla base del setto nasale. Non avrebbe potuto rivolgersi a qualcun altro, aveva agito per il bene di Victor. Non lo avrebbe lasciato solo, non adesso che ne aveva più bisogno, non adesso che Hanna era morta. Non avrebbe fatto lo stesso errore.

E il tempo scivola viaWhere stories live. Discover now