Capitolo 39

137 17 7
                                    

Victor non tornò a scuola, era stato categorico; non avrebbe mai sopportato di vedere Christopher senza di lui. La sola idea avvolgeva il suo cuore in una coperta di fredda solitudine. Aveva la sensazione di essere rimasto indietro, che tutti i ragazzi della sua età, Chris compreso, fossero andati avanti lungo il cammino, mentre lui restava immobilizzato, da una malattia che gli impediva di guardare il futuro, incastrato in un passato che non poteva più vivere, ad osservare le loro schiene allontanarsi; la percepiva come un senso di pesantezza perenne intorno al costato.

Victor abbassò lo sguardo sulle sue converse nere e consunte, seduto su una di quelle sedie scomode che corniciavano i corridoi degli ospedali, attendendo il suo turno per l'ennesima visita medica. Se si fosse arreso, in quel momento sarebbe stato steso nel letto in camera sua, probabilmente a leggere un libro o a piangere. Invece era lì, a sperare che il suo dolore non fosse e non sarebbe stato vano. Un fine esisteva, ne era quasi certo, ma a lui era precluso conoscerne il significato. Solo il tempo che scorreva troppo velocemente gli avrebbe dato le risposte che cercava; ne avrebbe soltanto voluto di più. La sua unica consolazione era che, se fosse morto, lo avrebbe fatto senza il rimpianto di non aver provato a vivere, ad aggrapparsi con tutte le sue forze fino all'ultimo istante.

Si guardò il palmo aperto rivolto verso l'alto. Era vuoto. Non c'era nessuno a stringergliela, non c'era lui e non ci sarebbe stato più. Era solo. Se fosse sopravvissuto, nulla sarebbe tornato come prima. Perché certi rapporti, per quanto preziosi, una volta spezzati non potranno mai tornare allo stato originale, all'equilibrio primario. Sarebbe impossibile ristabilire il medesimo rapporto tra due persone mutate con esso, no? Come tentare di ricongiungere i pezzi di un vetro rotto con dello scotch scadente. L'unica soluzione era abituarsi a vivere senza di lui, anche se non riusciva a ricordare come si facesse. Com'erano le sue giornate senza Christopher? Come le trascorreva? Sorrise dolcemente nel constatare che non gli importava; loro erano stati e questo gli bastava. Nulla era ancora stato scritto, del dopo se ne sarebbe occupato nel futuro presente.

«Eccoti qua!» una voce e dei passi che si facevano più vicini lo ridestarono, riportandolo sulla terra ferma.

Victor sollevò lo sguardo, avrebbe riconosciuto quella voce familiare ovunque. «Daniel?» sbattè le palpebre velocemente un paio di volte, con la magra speranza che davanti a sé non ci fosse il suo ex, bensì fosse vittima di un'erronea allucinazione. Che ci faceva Daniel Mcdaniel lì, in ospedale? Perché al suo posto non c'era Christopher o una sua illusoria figura? «Che ci fai qui?» Non doveva venire suo zio a prenderlo?

Daniel si sedette al suo fianco. «Mi sono perso un paio di volte, questo ospedale è un labirinto.» commentò invece, ignorando la legittima curiosità del teppista.

Vick sbuffò lasciandosi andare sullo schienale della sedia. «Chi ti ha detto dov'ero?»

«Tuo zio, mi ha chiesto di tenerti sotto controllo mentre lui è a lavoro.»

«Come...» Da quando si parlavano? Perché erano rimasti in contatto? «Voi... Perché?» cercò di sciorinare tutte quelle domande che gli affollavano la testa, ma vi rinunciò con un sonoro sospiro.

«Il mondo è piccolo, Vick.» disse, probabilmente deducendo alcune domande da quei frammenti scomposti.

Era un modo molto velato per affermare che ormai era costantemente controllato da spie, nascoste in ogni angolo e anfratto della città? Price non pensava di averla fatta così grossa. Victor non era solo, ma ci si sentiva. Era strano, voleva stare solo ma allo stesso tempo non voleva sentirsi tale. Sbuffò chiudendo il pugno, percepiva la mano così gelida.

«Come stai?»

Victor voltò repentinamente il capo verso di lui. «Mi prendi per il culo?» chiese arcuando le sopracciglia e sbarrando leggermente gli occhi.

E il tempo scivola viaWhere stories live. Discover now