Capitolo 26

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La mattina seguente si svegliò, come al solito, prima della sveglia. Ma qualcosa era diverso, non era solo. Chris era rimasto abbracciato a lui tutta la notte, il suo braccio alla vita, la sua mano che gli premeva sulla schiena. La prima cosa che vide, appena sollevò le palpebre, fu l’espressione rilassata sul volto di Christopher. Quella massa di capelli biondi, caotici. Alcuni ciuffi gli ricadevano sul viso, sul cuscino ed il respiro regolare, che usciva caldo tra quelle labbra, gli accarezzava accidentalmente il volto. Alcuni raggi solari entravano dalla finestra, colorando le pareti di un arancio chiaro, caldo. Il silenzio prima della tempesta era quasi surreale. Il ticchettio dell’orologio, i respiri, i pensieri. Osservò il suo viso, i lineamenti, le labbra carnose, i fili dorati che non avevano una piega precisa. La tentazione di svegliarlo, e dargli della bella addormentata, era forte. Ma si trattenne, era rimasto sveglio fino a tardi per colpa sua, per colpa dell’ennesimo attacco di tosse. Ancora una volta aveva fatto tanto, troppo per lui. Aveva rinunciato a delle ore di sonno, questa volta. Titubante avvicinò la mano e gli accarezzò delicatamente la guancia. Si sentiva in colpa ma, allo stesso tempo, era felice che lui fosse al suo fianco. La bocca si piegò in un lieve e dolce accennato sorriso. Sgattaiolò a fatica fuori dal letto, stando attento a non svegliarlo e, dopo essersi vestito, scese in cucina dove trovò Melanie intenta a preparare la colazione. Si morse il labbro. La donna gli dava le spalle, gli ricordava Hanna prima che la malattia la debilizzasse totalmente. Se le inumidì, Chris era fortunato e non se ne rendeva conto. Strinse il tessuto all’interno delle tasche di Jeans sbiaditi e strappati mentre abbassava il capo per osservarsi le punte delle converse nere. Faceva ancora male.

«Buon giorno», gli sorrise la donna, notando la sua presenza.

«Buon giorno», si costrinse a sorridere, venne più triste di quanto avesse voluto. Le occhiaie erano visibili sotto i suoi occhi facendo risaltare quell’azzurro intenso. Si sedette sullo sgabello dell’isola.

«Ti sei svegliato presto», constatò la signora White.

«Per abitudine, credo», iniziò a torturarsi le dita slanciate. Perché era così nervoso? Aveva già parlato con lei, forse il fatto che sapesse che lui era il ragazzo di suo figlio lo agitava non poco. Non sapeva come comportarsi. «La ringrazio per l'ospitalità». 

Il silenzio fece da padrone per dei lunghissimi ed estenuanti minuti, fino a quando Melanie non prese, finalmente, parola. «Posso farti una domanda?», l'azzurrino annuì con il capo, «Rispetto all’ultima volta che ci siamo visti sei dimagrito molto, sei più pallido ed hai mangiato molto meno. Tutto bene?» lo guardava con quello sguardo apprensivo, materno. Era preoccupata per lui?

Poteva dirle la verità? Se glielo stava chiedendo, probabilmente Christopher non le aveva raccontato nulla. Lo apprezzò particolarmente, ma non poteva dirle che aveva il cancro, non voleva vedere la pietà nei suoi occhi castani. «Si, sono solo un po' stanco.» mentì, in parte, con un falso sorriso dipinto sul volto. La donna non sembrò crederci molto, annuì leggermente.

«Ti chiedo solo di non far soffrire il mio bambino. Anche se non vuole ammetterlo, è stato male per Elisabeth, ed io non voglio più vederlo stare male». Come poteva prometterlo? Se fosse morto? Se il cancro avesse avuto la meglio su di lui come lo aveva avuto su sua madre?

«È l’ultima cosa che voglio», sostenne il suo sguardo. Era deciso, sincero. Ma il peso nel petto si fece ancora più pesante e quel senso di inadeguatezza, di non esserne all’altezza, fece di nuovo la sua comparsa.

§

Daniel parcheggiò davanti alla Boston High School, spense il motore per voltarsi verso quello zombie di suo fratello, in stato comatoso sul sedile passeggero.

E il tempo scivola viaDonde viven las historias. Descúbrelo ahora