Mercoledì

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Mi svegliai con una strana ansia addosso, forse causata dal fatto che quel pomeriggio sarei dovuta andare da Luke, o forse perché non avevo ancora chiarito con James e tra noi era come se ci fosse un muro.
Non capivo ancora cosa stesse cambiando, ma ero certa che qualcosa lo fosse: parlavamo meno, quando io mi svegliavo lui era già andato via e quando tornavo lui non c'era ancora.
Era come se ci stessimo evitando inconsciamente e la situazione non mi faceva affatto piacere; avrei voluto parlarci, capire, però temevo il confronto.
Cercando di non pensarci, aprii le ante dell'armadio, optando per quel giorno un look diverso: leggins neri aderenti e una maglia più ampia, beige, coordinata con degli stivaletti bassi color crema e una borsa nera.
Non ero pienamente consapevole del motivo per cui avevo deciso di azzardare tanto; forse volevo solo fare buona impressione a Luke, in fin dei conti aveva dieci anni meno di me, non volevo mi vedesse come una vecchia.
Scesi in cucina trovando, per il terzo giorno consecutivo, un biglietto di James, ma stavolta era diverso: 'Ci vediamo stasera, baci.'
Nessun ti amo, nessuna frase dolce; sospirai e buttai il biglietto nel cestino, ripensando a tutta la situazione: se il lavoro gli portava via molto tempo, chi ero io per fare la bambina e lamentarmi?
Andai al lavoro, pensando ad un modo per farmi perdonare da lui e quando entrai, tutti i miei colleghi si girarono a guardami; mi sentii abbastanza osservata e giudicata, quindi accelerai il passo per andare verso la mia scrivania, dove anche il mio capo mi squadrò, facendo una smorfia indecifrabile.
«Se vuole vado a cambiarmi» gli comunicai, avvicinandomi al suo vasto ufficio che dava una bella vista di New York.
«Non si preoccupi, signorina Seyfried, va bene così, vada al lavoro.» Mi liquidò con un gesto della mano in direzione della mia postazione; mi allontanai, sollevata che non mi avesse detto nulla, e iniziai il mio lavoro.


«Arrivederci Amanda» mi salutò il portinaio; gli sorrisi, facendogli un cenno con la mano e uscendo per prendere la macchina; appena salita, però, mi resi conto che mi tremavano le mani.
Perché ero così nervosa? Forse perché dovevo andare da un ragazzo molto più giovane di me.
"Non è niente di strano, lo stai solo aiutando", mi autoconvinsi, partendo verso il college, anche se l'ansia non voleva abbandonarmi del tutto.
Il parco spoglio di ogni forma di vita umana era un vero spettacolo; sentivo il cinguettio degli uccellini, vedevo gli scoiattoli arrampicarsi sugli alberi ed era tutto stramaledettamente uguale a quando ci andavo io.
«Ciao» mi salutò lui quando mi avvicinai all'ingresso. Era appoggiato al muro dell'edificio, pronto ad accogliermi, e se non avessi assistito alla scena di qualche giorno prima, gli avrei addirittura attribuito un'aria da duro.
«Hey,» sorrisi, sistemandomi i capelli; «pronto per le mie lezioni magiche?» Una risata tirata mi lasciò le labbra e feci uno strano movimento con le mani, sentendomi immediatamente una completa idiota; infatti lui mi guardò come se fossi appena uscita da un manicomio. Cosa credevo? Di dimostrare meno anni di quelli che avevo?
Mi condusse, senza aggiungere altro, attraverso i corridoi della scuola, che riconobbi benissimo; vidi perfino il mio armadietto e, mossa da una strana forza, mi fermai ad osservarlo.
«Quello è di Stacy.» La sua voce mi risunò nelle orecchie e, voltandomi, lo trovai proprio dietro di me, a fissare l'armadietto. Perché quel nome mi suonava familiare?
«Oh, capisco.» Sorrisi, cercando di ricordare dove avessi già sentito quel nome e quando scosse la testa sospirando, mi venne in mente che aveva chiamato così proprio una delle tre befane che lo deridevano.
«Luke,» lo chiamai, andandogli incontro; lui si voltò a guardarmi con gli occhi spenti, «ti aiuterò a conquistarla, se è quello che vuoi.» Accennai un sorriso, ma lui rise sarcasticamente proseguendo per il corridoio; non dissi più nulla, seguendolo.
La sua stanza era piena di poster di cantanti e musicisti che conoscevo fin troppo bene.
«E così ti piace il rock?» chiesi, osservando un poster degli ACDC accanto a uno dei Guns'n'roses.
«Sì, mi piace anche suonare la chitarra.» Mi indicò lo strumento in un angolo della stanza e mi avvicinai incuriosita.
«Wow, è davvero bella.» La sfiorai con le dita, ma mi sentii prendere e trascinare indietro.
«Non toccarla» mi ammonì, passandomi davanti e andando verso la chitarra per pulirla dove avevo passato le dita.
«Ci credo che non hai amici» borbottai, sbuffando, e lui mi guardò quasi spaesato, arrossendo lievemente.
«S-sc-scusa, ma la m-mia chitarra non...» Lo interruppi, avvicinandomi e appoggiando le mani sulle sue braccia; non immaginavo una reazione del genere per un piccolo commento.
«Calmati, non volevo offenderti.» Lo sentii teso sotto le mie mani, ma quando sorrisi sembrò rilassarsi e annuì. «Luke, va tutto bene, scusami, sono stata troppo acida» ammisi, accarezzandogli le braccia per confortarlo. A quel gesto i suoi occhi si puntarono nei miei, molto più arzilli di prima, e rimasi un attimo interdetta di fronte a quello spettacolo.
«Cosa... facciamo quindi?» Si mordicchiò il labbro inferiore, forse a disagio dal fatto che tenevo ancora la presa su di lui; mi staccai velocemente, schiarendomi la voce.
«Matematica?» osai e lui annuì, allontanandosi per prendere il libro; il mio sguardo cadde di nuovo sulla chitarra e mi chiesi se sapeva suonarla bene.
«Ecco.» Mi porse il libro pieno di equazioni differenziali e mi resi conto che nonostante non avessi finito da molto il college, cinque anni erano abbastanza per farmi dimenticare tutto. Lo guardai con un'espressione a cui non saprei attribuire nemmeno io un significato e lui rise, prendendomi il libro dalle mani e lanciandolo sul letto.
«Ok, ho capito che matematica non si può fare.» Emise un'altra piccola risata, sedendosi sul letto a gambe incrociate. Lo osservai per qualche secondo per poi avvicinarmi, dispiaciuta.
«Scusami, non credevo di essermi dimenticata tutto.» Abbassai lo sguardo sulle sue scarpe per poi sentire una mano che mi accarezzava la gamba, alzai il viso vedendo che sorrideva. Stava cercando di confortarmi?
«Scusa.» Ritrasse in fretta la mano, forse osservando la mia faccia stupita.
«Oh, no», ridacchiai, «semplicemente mi stavo stupendo che un ragazzo timido come te potesse azzardare un gesto simile.» Accennai un sorriso e lui sgranò gli occhi, alzandosi e tornando il gigante che mi copriva; dovetti alzare il viso per continuare a guardarlo.
«Non sono timido,» arrossì visibilmente, «sono solo un po' impacciato» ammise, giocando nervosamente con le proprie mani; guardai quell'intreccio e sbrogliai il nodo che stava creando.
«Per questo ci sono io.» Gli strinsi la mano e lui sembrò irrigidirsi.
«Sono vergine» disse di getto, assumendo un colorito ancora più porpora in viso, mentre evitava il mio sguardo; improvvisamente esplosi in una risata fragorosa, ma non per il fatto che fosse vergine, semplicemente non capivo l'utilità di quell'informazione. Si offese, immaginai, staccandosi bruscamente dalla mia presa e andando verso il bagno; lo fermai in tempo.
«Non sto ridendo per il fatto che tu sia vergine, ma poiché non capisco a cosa mi servirebbe saperlo» conclusi e lui mi scrutò per qualche secondo. Improvvisamente mi sentii afferrare e, facendo aderire il mio corpo al muro, puntò gli occhi nei miei; in quel momento non si sarebbe mai capito che ero io quella adulta.
Il cuore prese a martellarmi nel petto, mentre il respiro si faceva irregolare e lui si avvicinava pericolosamente a me.
«Perché a voi piace il ragazzo che vi prende e vi sbatte al muro, infilandosi nelle vostre mutande, ma io non sono così.» Si allontanò velocemente, passandosi una mano nei capelli e io rimasi immobile, decifrando la frase che aveva appena detto: in effetti credo sia una delle passioni erotiche di ogni donna.
«Ma non significa che tu sia brutto o non possa piacere alle ragazze.» Mi guardò come se avessi appena detto ad un bambino che Babbo Natale non esiste.
«Ma infatti non sono brutto, semplicemente sono una frana con le relazioni... di ogni tipo.» Marcò la frase finale, appoggiando una mano al muro. Mi presi qualche secondo per osservare la sua figura; aveva dei jeans abbastanza stretti e una felpa con diversi teschi disegnati sopra. Mi avvicinai con cautela, senza lasciare gli occhi dal suo corpo.
«Almeno hai mai baciato una ragazza?» Le parole mi uscirono dalle labbra senza che il mio cervello lo avesse programmato.
«Beh... se si può definire bacio un piccolo bacetto a stampo qualche anno fa... allora sì.» Sospirò e nell'esatto momento in cui distolse lo sguardo, qualcosa scattò nel mio corpo, come una reazione naturale; stavo per fare una stupidata, quando il telefono prese a squillarmi. Bloccai ogni mia azione e tirai fuori l'oggetto, vedendo che era un messaggio di mia sorella.

- Sorellina del mio cuore, quando vieni a trovarci? -

Guardai un secondo Luke, che si allontanò – probabilmente per la mancata risposta –andando a sistemare qualcosa sulla scrivania.

- Non so, stasera parlo con James e poi vi faccio sapere. -

- Preferirei venissi solo tu... ecco... dovrei parlarti. -

Non capii la motivazione di quell'invito singolo; andavamo quasi sempre insieme a trovare i due sposini e il fatto che volesse vedermi da sola mi fece preoccupare. Era vero che tra me e James non stava andando bene, ma lei non ne sapeva nulla.
E se fosse successo qualcosa? E se la bambina avesse avuto dei problemi?
Il cuore aumentò la sua corsa e deglutii, non sapendo cosa poter risponderle.
«Qualcosa non va?» chiese Luke, riavvicinandosi a me, mentre puntavo le iridi sulla sua figura, ancora spiazzata.
«N-no... tutto bene.» La mia voce lasciò trasparire tutta l'insicurezza e la preoccupazione che provavo in quel momento. Lo sentii sospirare e improvvisamente lo trovai più vicino, che mi guardava in modo strano, quasi imbarazzato; percepii le sue mani avvolgersi attorno ai miei fianchi e senza che avessi il tempo di realizzare cosa stesse succedendo, mi ritrovai incastrata dalle sue braccia, in un abbraccio impacciato.
Rimasi immobile per qualche secondo, ancora confusa dalla situazione, ma alla fine portai le braccia attorno al suo collo, stringendolo; un profumo buonissimo, un misto di lavanda e gelsomino, mi inebriò completamente le narici e chiusi gli occhi per una frazione di secondo.
«Andrà tutto bene.» A quelle parole il mio cuore si alleggerì; non seppi spiegarmi la motivazione, ma in qualche modo, quella frase così banale, pronunciata da lui, riuscì a trasmettermi tranquillità. Era da un po' di tempo che qualcuno non mi consolava in quel modo, con sincerità; con James a malapena ci parlavo e non avevo nessun altro.
Mi staccai quel poco che bastava per incrociare i suoi occhi e sorrisi, sinceramente.
«Grazie, Luke.» Sentii le sue dita stringere maggiormente il tessuto della mia maglia, mentre deglutiva serio. Non mi mossi, guardandolo negli occhi e cercando di capire cosa stesse pensando. Poi lo sguardo mi cadde sulle sue labbra carnose e leggermente screpolate; si passò la lingua su di esse, movimento che mi fece sussultare.
Si decise a lasciare la presa e, stranita da quella situazione, mi schiarii la voce, indietreggiando; passai lo sguardo in tutta la stanza e all'improvviso mi sembrò più stretta. Raccattai le mie cose in fretta, con il cuore che pompava forte.
«Devo andare» proferii, aprendo la porta e uscendo senza neanche dargli il tempo di replicare. Mi misi a fare la strada inversa per tornare alla macchina, mentre un pensiero fisso mi trapanava la mente: volevo aiutarlo a tal punto che mi era davvero passato per la testa di baciarlo.





~
Salve!
So che può sembrare tutto così confusionario e strano, ma è proprio ciò che voglio.
Eheheh 😌
Chissà cosa vuole dirle la sorella e soprattutto... Amanda è così altruista da arrivate a tanto pur di aiutare Luke?
Chissà 😌💗😝

Un bacio :*
~

*revisionato*

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