Argomenti Delicati

2.1K 159 33
                                    

Nei giorni seguenti le temperature si alzarono di qualche grado, permettendomi di tornare a indossare le gonne, anche se lunghe fino al ginocchio.
Victor non mi aveva più detto nulla, ma sapevo che la decisione spettava a me; attendeva una risposta e mancavano tre settimane al verdetto finale.
A fine marzo avremmo avuto tre giorni di vacanza per Pasqua e Luke mi aveva già proposto di stare con lui; non capivo come mai non andasse mai dai suoi genitori e mi stavo rendendo conto che in realtà sapevo ben poco di lui.
«Come mai non vai dai tuoi genitori?» gli chiesi una sera, mentre stavamo andando al supermercato per fare la spesa.
«Perché non m'interessa vederli.» Mi sorrise, tornando a guardare la strada fuori dal finestrino.
«Non mi hai mai parlato di loro...» Parcheggiai, spegnendo il motore per poi voltarmi verso di lui.
«Non c'è nulla da dire.» Rimase a fissare l'esterno, senza degnarmi di uno sguardo.
«Perché?» Volevo conoscerlo di più, capire quale fosse il problema.
«Amanda, non voglio parlarne, basta.» Aprì lo sportello, scendendo dalla macchina; scossi la testa, frustrata, e scesi anche io, prendendo le borse e il carrello.
Entrammo senza rivolgerci una parola; se non mi voleva rivelare cosa c'era che non andava, allora non avrei insistito.
Mi diressi subito nel reparto dolciumi per fare rifornimento di cioccolato e barrette energetiche con Luke al seguito, sempre muto; passammo tutti i vari reparti riempiendo il carrello con tutto il necessario, finché Luke, mentre stavo per svoltare nell'ultima zona che mi serviva, mi trascinò via, facendomelo abbandonare.
«Luke, che fai?!» Alzai la voce, irritata. Odiavo fare la spesa in mezzo alla gente e se trovava il modo di farmi rimanere più tempo in quel luogo mi spazientivo soltanto.
«Mi ignori.» Ci fermammo nel reparto di giardinaggio, deserto.
«Sei tu che sei scontroso.» Sbuffai, levando il braccio dalla sua presa.
«Non voglio parlare della mia famiglia, rispettalo.» Si appoggiò al muro, di fianco a uno scaffale, mentre il suo sguardo sfuggiva al mio.
«Va bene» risposi, senza velare il mio nervosismo; tornai verso il carrello e mi mossi verso la cassa per pagare.





Tornati a casa sistemammo la spesa nel silenzio più assoluto; non concepivo il motivo per il quale non volesse parlarmi dei genitori, però, in fondo, non era giusto neanche insistere.
«Scusami» mi ritrovai a dire, una volta finito di riporre tutto. Lui mi lanciò un'occhiata che non riuscii a interpretare e annuì, andando in salotto; sospirai, iniziando a preparare la cena.
«Amore...» Misi i filetti di pesce nel forno per poi girarmi verso di lui.
«Cosa c'è?» Mi sistemai i capelli dietro le orecchie mentre lui avanzava verso di me.
«Senti, non voglio litigare con te, ma... non riesco a parlare della mia famiglia.» Appoggiai le mani sulle sue guance ispide a causa della barba e lo guardai dritto negli occhi.
«Va bene, non fa niente.» Sorrisi e lui mi strinse a sé, facendomi sentire al sicuro e soprattutto amata; non importava se non se la sentiva di parlarmi del suo passato, lo avrei rispettato.




Mangiammo affrontando vari argomenti tra cui il college, il lavoro, mia sorella, James e infine si arrivò a Gregg.
«Come mai era con te l'altra volta?» chiesi, finendo l'ultimo boccone della mia cena.
«Abbiamo parlato.» Mi guardò, esibendo un mezzo sorriso.
«E di cosa?» Mi alzai, prendendo i piatti vuoti per metterli nel lavello; anche lui si alzò, vedendomi accanto.
«Andiamo sul divano e ti racconto.» Mi prese per i fianchi, conducendomi in salotto; si buttò a peso morto sul divano, trascinandomi poi sopra di lui.
Ridemmo entrambi con una leggerezza che non provavo da tempo e mi sistemai meglio, appoggiando la testa al suo petto e le gambe sulle sue.
«Quindi?» lo esortai, mentre mi prendeva la mano e giocava con le mie dita.
«Quindi gli ho chiesto quel favore. Nonostante non ci stiamo simpatici mi ha dato l'indirizzo e si è offerto di portarmi perché doveva vedere il padre...» Mi strinse a sé, lasciandomi un bacio sulla fronte prima di continuare. «E abbiamo parlato anche di Rachel.» In un secondo scattai, scendendo dalle sue gambe con un gesto repentino per poi guardarlo dritto negli occhi.
«E di cosa avete parlato?» La gola mi si seccò all'improvviso e mi resi conto che parlare di lei mi procurava una strana sensazione allo stomaco.
«Del fatto che a lui piace e vuole provarci... ma sa che prova certe cose per me e niente... gli ho detto di te... di noi.» Il suo sguardo si protese verso il basso, quasi si sentisse in colpa; forse pensava che fossi arrabbiata e avrei dovuto esserlo perché gli aveva rivelato la nostra relazione, eppure riuscivo solo a sentirmi onorata. Voleva far sapere agli altri che stava con me e questo non poteva che farmi capire quanto gli importasse.
«E lui che ha detto?» Sbattei le palpebre, tornando con i piedi per terra; pronta a ricevere qualche commento su quanto fosse sbagliato, ma dalla sua risata capii che non poteva essere così terribile.
«Vuoi davvero saperlo?» Si mordicchiò il labbro, rivolgendomi delle piccole occhiate di sbieco.
«Sì...»
«Mi ha chiesto se lo abbiamo fatto, se sei brava e com'è scopare con una più grande...» Sbuffai, incrociando le braccia al petto, contrariata da quella sua sfacciataggine, e lui rise più forte. «Ovviamente gli ho tirato un pugno sul braccio e gli ho riferito che erano fatti nostri, anche se avrei tanto voluto sbattergli in faccia quanto sei fantastica.»
Mi sentii arrossire di colpo.
Era incredibile come riuscisse a farmi sentire così speciale in ogni occasione ed era altrettanto incredibile come potesse essere così dannatamente dolce qualunque cosa facesse.
«Smettila di dire stronzate.» Gli rifilai un piccolo schiaffo sul braccio che lo fece sorridere.
«È vero.» Alzò le spalle, portandosi le mani in grembo per poi guardarsele.
«Anche tu sei fantastico...» Ci misi un bel po' per riuscire a pronunciare quelle parole; non che non le pensassi, ma mi sentivo inadeguata a dirle: non sarebbe dovuta andare così.
Forse doveva essere un'altra ad apprezzare la sua dolcezza infinita e le sue attenzioni, magari una che avesse la sua età, una che vivesse con lui le giuste esperienze.
«Ho voglia di averti, amore.» Il suo sguardo languido mi trafisse, ma in quel momento ogni cosa fatta con lui mi sembrò infinitamente sbagliata e il senso di colpa mi piombò addosso con violenza, facendomi scuotere la testa freneticmante.
«Ho il ciclo» m'inventai al momento, mentre lui annuiva sospirando, appoggiando la schiena al divano.
In quel momento un pensiero orribile m'invase la mente: non avevo preso la pillola.
Con tutto quel trambusto della proposta del mio capo, avevamo fatto l'amore per ben tre volte e non avevo preso nessuna precauzione.
Cercando di non mostrarmi agitata, gli comunicai che dovevo andare in bagno e mi avviai velocemente al piano superiore per poi chiudermi nella stanza.
Non c'era possibilità che potessi essere incinta.
Fortunatamente non ero ancora nel periodo di ciclo, quindi sarebbe potuto venirmi da lì a qualche giorno, ma aprii comunque l'anta dell'armadietto del bagno, prendendo la scatola di pillole.
Ne tirai fuori una e la osservai per qualche istante; trassi un respiro profondo per poi guardarmi allo specchio.
Se fossi stata davvero incinta? Avrei ucciso quella creatura prendendo la pillola?
Da un lato avrei voluto solo mandarla giù e non pensarci.
Ma l'idea di essere responsabile della morte di una piccola vita, mi avrebbe segnato per il resto della mia vita.
Osservai quella pastiglia per qualche secondo e dopo svariati sospiri d'indecisione, la riposi nella scatola e chiusi l'anta dell'armadietto.
Avrei comprato dei test di gravidanza e decisi che se mai avessimo rifatto l'amore, avremmo usato delle precauzioni.
Sarebbe stato meno bello, ma più sicuro.
Tornai da lui, trovandolo stravaccato sul divano mentre cambiava canale sbuffando; gli sedetti accanto, prendendogli il telecomando dalle mani per poi cercare un canale su cui trasmettessero qualche bel film.
«Che succede?» mi chiese improvvisamente, facendomi voltare nella sua direzione.
«Niente, perché?» Riportai lo sguardo sulla TV, cercando di mostrarmi più tranquilla possibile.
«Ti sento strana, ho fatto qualcosa di male?» Si passò una mano tra i capelli, a disagio, per poi guardarmi in modo inconsueto.
«No, no, non hai fatto nulla, sono solo stanca tra il lavoro e...» Sospirai, andando vicino a lui; gli sorrisi cercando di essere normale e m'infilai tra le sue braccia. Mi accolse senza obiettare e rimanemmo lì, abbracciati.
«Ho litigato con mio padre» disse d'un tratto, facendomi alzare il viso verso di lui; non dissi nulla, attendendo che continuasse. «Non sono in buoni rapporti con loro, non abitano neanche qui... dopo il liceo mi sono trasferito qui a New York perché volevo... non so, ricominciare...» sospirò, accennando un sorriso; «quindi non voglio più avere a che fare con loro.» La sua presa su di me s'intensificò e tornai a guardare il film.
Sapevo che qualunque cosa avessi detto non sarebbe servita a nulla, quindi stetti zitta, prendendogli la mano e intrecciando le dita con le sue.




Le vacanze arrivarono più in fretta di quanto mi aspettassi; mancavano solo due settimane alla data di scadenza per comunicare la mia decisione a Victor e ancora non sapevo cosa fare.
Mi frullavano in testa talmente tante conseguenze di ciascuna scelta che sentivo il rischio di impazzire sul serio.
In realtà non era del tutto certo che se avessi rifiutato avrei perso il posto di lavoro, ma la mia mente, pian piano, si stava spostando su un altro punto fondamentale: dovevo assicurarmi di non essere incinta.



Prima che tutti i negozi chiudessero per Pasqua, mi decisi ad andare a comprare dei test. Sì, avevo in mente di prenderne più di uno, poiché non potevo basarmi solo sull'attendibilità del primo.
Entrai nel negozio cercando di mantenere la calma, mi avvicinai alla commessa e le chiesi tre test di gravidanza; mi guardò per qualche secondo per poi allontanarsi e tornare con le tre scatolette, mi sorrise e le pagai.
«Congratulazioni» disse, mentre la porta del negozio mi si chiuse alle spalle.
Se fossi stata una ragazza di sedici/diciassette anni di sicuro mi avrebbe guardata male, ma dato che ero in un'età giusta per avere un figlio, poteva essere una bella notizia.
Se solo avesse saputo che il possibile padre era un ventenne, probabilmente avrebbe reagito in modo diverso.


Tornata a casa, essendo un sabato mattina, presi il telefono e scrissi a Luke che poteva passare da me quel pomeriggio dopo le quattro, perché avevo delle cose da fare.

- Amore, oggi non riesco, studio un po', ci vediamo domani, d'accordo? ❤ -

- Certo 😊 -

Nel momento in cui stavo per riporre il telefono, mi arrivò un messaggio da Jennifer.

- Che fine hai fatto? -

- Scusa, ma ho avuto un sacco di lavoro da fare -

Lanciai un'occhiata ai test che spuntavano fuori dalla borsa e sospirai.
Era ora di mettere fine ai miei dubbi.




~
Hey hey hey.
Miei carissimi lettori.

Innazittutto volevo davvero ringraziarvi con tutto il cuore di seguire ancora la mia storia; ci ho messo tutta me stessa a scriverla e tutt'ora ci tengo come se l'avessi iniziata ieri.
Davvero, per me questa esperienza è qualcosa di unico e non mi sarei mai aspettata di arrivare a Settemila visualizzazioni.
Davvero, infinite grazie.

Stiamo giungendo alla fine, purtroppo, ancora una decina di capitoli e la storia sarà conclusa.
Mi si spezza il cuore al solo pensiero, ma prima o poi la dovrei comunque terminare.

Vi chiedo scusa per questo spazio troppo prolungato, ma ci tenevo a ringraziarvi ancora.

Davvero,
Grazie

Un bacio enorme per tutti😘
~

*revisionato*

Changes.Where stories live. Discover now