Ospedale

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«Che succede?» Le sue parole mi riportarono alla realtà, mentre dall'altro capo del telefono non si sentiva più nulla.
Mia sorella stava per partorire, in quel momento, in quel preciso istante, a capodanno.
La mia espressione doveva essere parecchio sconcertata per fare scattare Luke in quel modo: mi prese per le braccia, sorreggendomi, come se avesse paura che potessi svenire da un momento all'altro. «Amanda, chi era, cosa è successo? Rispondimi!» Il suo tono serio mi risuonò nelle ossa, provocandomi un brivido non indifferente.
«M-mia so-sorella... sta... sta per...» Non riuscivo a parlare, nella mia mente il concetto da esprimere era chiaro, ma non sapevo formularlo, le parole non ne volevano sapere di uscirmi dalla bocca.
«Cosa, Amanda? Cosa?» Era preoccupato, continuava a tenere la sua presa su di me e con la stessa intensità mi guardava negli occhi.
«Partorire.» Riuscii finalmente a concludere e le sue labbra si schiusero lentamente, la presa si fece più debole, fino a sparire del tutto; si allontanò di qualche passo mentre io ero ancora intenta ad elaborare la situazione.
«Non sapevo fosse incinta» pronunciò, mentre i suoi occhi erano ancora incollati nei miei.
«Devo... devo andare.» Strinsi la pochette ancora più forte, andando a prendere le chiavi della macchina, arrivai alla porta per aprirla e percepii le mani tremarmi. Le guardai per qualche secondo, sentendomi strana: un formicolio insolito si stava impossessando delle dita e un ronzio fastidioso si stava insidiando nel mio cervello.
«Ti porto io.» Mi voltai di scatto verso di lui, ma dovetti appoggiarmi alla porta, sentendo improvvisamente girare tutto. Scossi la testa flebilmente, lui non centrava nulla con mia sorella, dovevo andarci da sola. «Le strade saranno intasate, in moto faremo prima» proseguì e sentii la sua presenza di fronte a me; in un soffio chiusi gli occhi, incapace di tenere le palpebre sollevate.
«Vado da sola» sussurrai, ed era il massimo tono che riuscivo a dare alla mia voce.
«Ho detto che ti porto io... Amanda, stai bene?» Le sue mani si attaccarono al mio corpo e, istintivamente, mi attaccai anche io a lui; non riuscivo neanche a reggermi in piedi e il respiro mi si era accorciato parecchio.
Continuava a farmi domande a cui non riuscivo a dare una risposta, le mie labbra erano serrate e non avevano intenzione di aprirsi per nessun motivo.
Mi sentii sollevare dalle sue braccia per poi ritrovarmi sul divano. Tremavo e mi sentivo come se fossi in una bolla, lontana da tutto e da tutti, chiusa, estranea al mondo.
«Hey, Amanda... Amanda, parla, ti prego.» Mi prese la mano e la bolla scoppiò, facendomi respirare di nuovo; strinsi la presa aprendo lentamente gli occhi. Non capivo cosa mi fosse successo, ma sembrava che stessi riacquistando padronanza di me.
«Hey, stai bene?» La sua voce traspariva preoccupazione mentre teneva la mia mano incastrata con la sua; mi alzai a fatica con il busto, sedendomi e i miei occhi incrociarono il suo sguardo.
Un'esplosione.
Non saprei come altro definirla: era stata un'esplosione, dentro di me.
Quegli occhi azzurri che mi perforavano il cuore, arrivando fino alla mia anima, erano uno spettacolo mozzafiato, che non era sicuramente adatto a me.
«Devo andare.» Avevo ripreso totalmente il mio solito tono, ma mentre mi alzavo lui mi ammonì, tirandomi di nuovo a sedere.
«No, tu non vai da nessuna parte.» Tolsi la mano dalla sua e mi alzai senza dargli corda, dovevo andare da mia sorella, a tutti i costi, la mia nipotina stava per nascere e non me lo sarei persa per nulla al mondo.
«Amanda!» urlò, facendomi bloccare sul posto; non aveva mai urlato così, neanche con James.
«Devo andare Luke, capiscilo, non mi importa cosa pensi tu, io devo andare» sentenziai, riprendendo il cammino con il cuore che martellava nel petto, non capivo cosa mi fosse successo qualche minuto prima, ma sembrava passato.
«Ti porto io.» Mi afferrò trascinandomi alla porta, ebbi a malapena il tempo di chiuderla, che mi ritrovai di fronte alla sua moto, nel gelo più totale; non avevo contato di farmi un giro su un veicolo scoperto e il mio abbigliamento non aiutava la situazione. Mi fece salire e non obiettai neanche, in effetti andare all'ospedale in macchina sarebbe stato molto più difficoltoso, dato che tutti avrebbero passato capodanno fuori.



Non appena parcheggiò davanti all'ospedale e mi fece scendere dalla moto, iniziò a chiedermi come stessi, se mi era passato ciò che avevo avuto venti minuti prima e se ero sicura di voler entrare.
«Se dovessi sentirmi male siamo già qui, no?» sdrammatizzai, iniziando a camminare, ma mi bloccò per un polso, girandomi bruscamente verso di lui.
«Non scherzare, mi sono spaventato parecchio.» Nonostante il buio, potevo chiaramente vedere il riflesso dei suoi occhi. La sua mano scivolò nella mia e me la prese con dolcezza; abbassai lo sguardo su quello strano intreccio che mi causò una secchezza improvvisa alla gola.
«Scusa.» Indugiai con lo sguardo sulle nostre mani per poi levare quell'incastro e proseguire verso l'interno dell'edificio.
Un bellissimo calore mi avvolse appena varcai la soglia per dirigermi da un'infermiera e chiedere informazioni su dove si trovasse mia sorella; la gentile signora accompagnò me e Luke davanti alla stanza da cui sentivo benissimo provenire le sue urla.
«Amanda.» Scorsi Yuri che attendeva davanti alla porta con le mani nei capelli, colsi tutta la sua disperazione e mi avvicinai appoggiandogli una mano sulla spalla.
«Hey, andrà tutto bene.» Tentai di rassicurarlo e mi rivolse un sorriso spento; le urla di Jennifer si diffusero nel corridoio e trasalii, rabbrividendo.
«Sono iniziate le contrazioni.» Sospirò Yuri, andando a sedersi sulle sedie poste di fronte alla porta della camera. Non sembrava essersi accorto della presenza di Luke, così mi voltai per cogliere almeno una qualsiasi espressione sul volto di quest'ultimo, ma di lui non c'era più traccia.




Ormai non sapevo neanche quanto fosse passato, sentivo solo le urla di Jennifer seguite da un silenzio assordante. Yuri era ancora seduto con la testa tra le mani e io non sapevo cosa dire; il nostro rapporto non era ancora tornato alla normalità e avevo paura a fare qualsiasi gesto.
«Yuri Carter?» Una voce femminile risuonò nel corridoio, facendo scattare in piedi l'uomo.
«Sono io.» Esitò, con voce tremolante; mi rivolse un'occhiata furtiva e gli sorrisi cercando di dargli almeno un minimo di conforto.
«Tra poco inizierà il parto, se vuole entrare può assistere.» La signora gli sorrise e vidi il corpo di lui irrigidirsi completamente. Non potevo esserne sicura, ma pensai che avesse paura; probabilmente era naturale quando arrivava la completa consapevolezza di diventare padre.
Seguì la ragazza e scomparve dietro la porta che venne subito richiusa.
Mi abbandonai ad uno sbuffo sommesso, essendo rimasta sola, e mi sistemai su una sedia. Di colpo percepii la temperatura abbassarsi; quel clima metteva ansia, nonostante fossi nel reparto ostetrico.
I minuti passavano e qualche volta davo un'occhiata in giro per tenermi impegnata. Odiavo ammetterlo, ma avevo un po' di paura anche io: udire mia sorella urlare in quel modo era straziante e sentire tutto quel dolore diffondersi nella stanza e nel mio corpo mi faceva rabbrividire.
Certo, dopo sarebbe arrivata Carly, la piccola creatura che tutti aspettavano da nove lunghissimi mesi, eppure non riuscivo a stare tranquilla.
«Come ti senti?» Sobbalzai, sentendo una voce accanto a me; girai il viso di scatto e trovai Luke, con un bicchiere di thè fumante tra le mani.
«Credevo fossi andato via» risposi, dando libero sfogo ai miei pensieri. Vederlo lì e sapere che era rimasto mi rincuorava, almeno non ero sola.
«Non me ne sarei andato per nulla al mondo.» Sorrise dolcemente, porgendomi il bicchiere che guardai di traverso per poi prenderlo tra le mani e sentire il calore che emanava. «Sono andato a cercare una macchinetta per prenderti un thè e mi sono fatto tutti i piani per trovarne una decente.» Ridacchiò, passandosi una mano sulla barba, sotto il mio sguardo confuso e grato.
Aveva cercato a tutti i costi di portarmi un thè per farmi stare meglio e nonostante potesse sembrare banale o stupido, io lo vedevo come un gesto gentile e premuroso.
«Grazie Luke, sto bene.» Sorrisi debolmente, riportando lo sguardo sulla porta dietro la quale mia sorella stava dando alla luce sua figlia.
«Quello era Yuri, vero?» Mi girai a guardarlo, incredula: non immaginavo si ricordasse ancora di quella storia.
«Sì.» Rimasi a fissarlo mentre la sua mascella si irrigidiva e stringeva i pugni lentamente.
«Devo... devo pensarci io?» Spostò lo sguardo su di me, deglutendo lentamente; scossi la testa immediatamente, non dovevano esserci casini quella sera.
«No, non serve; davvero Luke, dimentica ogni cosa ti abbia detto, è tutto passato.» Sorrisi sbrigativamente, pregando non facesse nulla di avventato; annuì rilassando i muscoli per poi appoggiare la schiena alla sedia.
Mi concentrai sulla mia bevanda, provando sollievo con il suo calore; quando mi alzai per buttare il bicchiere vuoto e tornare a sedermi, un brivido mi percorse tutto il corpo.
«Hai freddo?» Ruppe il silenzio, spostandosi sulla sedia; i miei occhi si posarono ancora su di lui, accorgendomi che si stava togliendo la giacca.
«Non molto.» Accennai un vago sorriso, mentre mi porgeva l'indumento levatosi. Indugiai con lo sguardo sia sul suo viso che sulla giacca; non sapevo se accettarlo sarebbe stata una buona idea. In fondo era solo un gesto carino, un ennesimo gesto carino.
«Dai, mettila.» Le sue labbra si aprirono e mi avvolse il capo attorno alle spalle; con malcelata riluttanza presi i lembi di questa, ricambiando il sorriso; ammetto che era strano trovarsi in una situazione del genere, ma di certo non spiacevole.
«Grazie» sussurrai.
Ero imbarazzata ed era strano che lo fossi proprio con lui.
Essendo la più grande, la più adulta, avrei dovuto sentirmi superiore, forte, e invece ogni cosa facessi mi sembrava inopportuna, senza contare che quella vicinanza mi provocava vampate di calore non indifferenti.
Le sue iridi non volevano lasciare il mio volto, il mio corpo, la mia anima; non si era mosso dalla sua posizione di un millimetro e iniziavo a sentirmi a disagio. Deglutii, cercando di portare la mia attenzione su altro: poco distante dalla nostra posizione c'era una stanza con la porta aperta e da cui si intravedeva la televisione che trasmetteva il countdown.
Non mi ero accorta che fosse già quasi mezzanotte; la voce allegra del conduttore, insieme a quella degli spettatori contava alla rovescia.
Cinque.
Quattro.
Tre.
Tenevo lo sguardo fisso su quello schermo, pronta a vedere i fuochi d'artificio innalzarsi nel cielo.
Due.
Uno.
La folla esplose in grida impazzite, ma ciò che mi sconvolse fu il familiare sapore delle labbra di Luke che si stava diffondendo sulle mie. Chiusi gli occhi, incapace di oppormi, e potei chiaramente sentire delle fragranti esplosioni, ma non provenivano dalla televisione.




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Hey lettori miei, allora, come vi è sembrato questo capitolo? Piaciuta la fine?
Commentate in tantiii!

Un bacio a tutti :*
~

*revisionato*

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