Dicembre

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Dicembre scorreva lentamente, il clima era sempre più pungente e, nonostante mi coprissi moltissimo, avevo comunque un freddo atroce; talmente tanto che fui costretta a cambiare il mio abbigliamento per andare a lavorare: dai miei vestitini eleganti ero passata a pantaloni pesanti e felpe imbottite.
In ufficio tirava un'aria serena, filava tutto liscio e non c'era nemmeno moltissimo lavoro da svolgere; si avvicinavano le vacanze natalizie e tutti sembravano non vedere l'ora di passare del tempo con le loro famiglie.
«Che farai per Natale?» mi chiese Denise, in un improvviso momento di allegria.
«Nulla di speciale, tu invece?» Le rivolsi un sorriso, notando che le brillavano gli occhi, come se aspettasse solo che le facessi quella domanda.
«Conoscerò la famiglia del mio fidanzato e spero tanto che mi chieda di sposarlo.» Il sorriso che aveva sul viso era ineguagliabile, non l'avevo mai vista così felice e in cuor mio mi rasserenai, pensando che almeno qualcuno si sarebbe divertito quel giorno.
«Vedrai che te lo chiederà.» Ci sorridemmo a vicenda per poi riprendere il nostro lavoro.
È incredibile come la vita degli altri può sembrare così perfetta dall'esterno, come se per loro i problemi non esistano, ma so per certo che non è così; anche se in quel momento avrei tanto voluto essere al posto di Denise per passare un bel Natale con il mio ragazzo e la sua famiglia.

Era un sabato mattina di metà dicembre; mi svegliai sbadigliando per poi alzarmi e accendere il telefono. Andai alla finestra, constatando che le temperature erano scese sotto zero ed era tutto ghiacciato; sbuffai andando a farmi una doccia per ritrovare un po' di quel calore che mi sarebbe stato negato appena varcata la soglia di casa.
Mi vestii ancora più pesante dei giorni precedenti, ridendo del mio aspetto buffo; presi il telefono, ma prima di riporlo in tasca, notai un nuovo messaggio.

- Ho bisogno di te, ora -

Dopo l'ultima volta che ci eravamo visti non mi aspettavo mi scrivesse ancora.
Erano passate tre settimane e non si era fatto vivo neanche una volta e, in quel momento, voleva il mio aiuto: gli servivo.
D'altronde non capivo come mai sentissi la rabbia ribollirmi in ogni molecola del corpo: gli avevo proposto io di aiutarlo a cambiare, non dovevo biasimarlo se non voleva più parlarmi quando tutto gli andava bene.
Per lui non ero nulla, l'amicizia che avevamo detto di provare l'uno per l'altro era solo una finzione e, in fin dei conti, era giusto così.
Rilessi il messaggio un'altra volta, indecisa se rispondergli o ignorarlo come lui aveva fatto con me.
Optai per la prima: alla fine se si era fatto vivo dopo così tanto tempo doveva essere importante.

- Cosa è successo? -

Scesi in cucina a prepararmi una colazione veloce, in attesa della sua risposta; feci il caffè, gustandomelo mentre osservavo l'esterno dalla finestra.

- Possiamo vederci? -

- Va bene, vieni da me -

Non ricevendo risposta, finii il mio caffè per poi andare a rilassarmi in soggiorno, iniziando il terzo libro di quel mese.
Prima avevo meno tempo per dilettarmi in quel tipo di attività, ma da quando James era uscito dalla mia vita avevo guadagnato più spazio; non che fosse una cosa positiva, ma forse era meglio stare lontano dagli uomini per un po'.
Il rumore assordante del campanello interruppe la mia lettura, posai quindi il libro andando ad aprire e Luke entrò come un fulmine, togliendosi il cappotto.
«Buongiorno» ironizzai, guardandolo mentre appoggiava le sue cose sul divano con disinvoltura.
«Sì, sì, ciao, allora...» Prese un respiro profondo e si decise a voltarsi verso di me, ogni traccia di barba era sparita e dimostrava tutti i diciannove anni che aveva. «Mi serve il tuo aiuto, ora» concluse, lasciando fuoriuscire tutta l'aria dalla bocca.
«Di che si tratta?» Andai a sedermi sul divano, aspettando che facesse lo stesso.
«Rachel vuole che vada da lei a Natale, con la sua famiglia, ma io non sono pronto, ho paura di fare danni collaterali irreparabili.» Si passò molto nervosamente le mani nei capelli, mentre si mordeva il piercing con un'insistenza tale che temevo potesse tagliarsi.
«Tu sii te stesso e vedrai che andrà bene.» Ripresi in mano il libro che stavo finendo, ma lui me lo strappò dalle mani, costringendomi a rivolgergli un'occhiata furiosa.
«Ma io sono uno sfigato!» Lanciò il libro dall'altra parte del divano, facendomi sbuffare.
«Non sei uno sfigato, Luke, se non sbaglio stavi diventando popolare.» Mi alzai per andare a recuperare il mio libro. I suoi modi non mi stavano piacendo per niente.
«No, cioè sì... ma ormai la notizia non fa più scalpore e quindi sono tornato nell'anonimato, poi i segni sono spariti completamente.» Sbuffò e io mi sedetti di nuovo accanto a lui. Se il problema erano i tagli e i lividi, non c'era problema, avrei voluto rifarglieli io stessa.
«Cosa ti importa di loro? Hai la ragazza, non è ciò che volevi?» Lo guardai esasperata.
«Beh, scopare con lei è una favola, ma ci sono altre priorità nella vita.» Incrociò le braccia al petto, guardando un altro punto della stanza.
«Tipo essere il più figo della scuola come al liceo? Andiamo Luke, non hai più quindici anni» replicai acida e lui si alzò di scatto.
«Dovresti aiutarmi, non andarmi contro! Che razza di amica sei?» Alzò la voce, facendomi alterare per davvero; quindi ero io una pessima amica?
D'istinto mi alzai anche io, riducendo gli occhi a due fessure.
«Di sicuro non una che sparisce per tre settimane e poi si rifà viva solo per chiedere aiuto!» La rabbia accompagnò quelle parole fino alla fine, facendomi sentire decisamente meglio. Doveva rendersi conto che il suo comportamento era irritante.
«Mi spiace se la piccola Amanda si è sentita trascurata, povera anima sola.» Il suo tono era serio, nonostante mi stesse canzonando.
«Come?! Trascurata? Guarda che stavo benissimo anche senza di te!» Non riuscivo a credere che stessimo davvero litigando.
«Bene, allora, dato che sei inutile, posso anche andarmene!» Prese le sue cose iniziando a rivestirsi.
«Ah, io sarei inutile? Vai e non farti più vedere, davvero, vattene.» Nonostante fossi arrabbiata, risposi in tono basso e conciso.
Ebbe anche il coraggio di farmi il dito medio mentre si avviava alla porta.
Ero fuori di me: non capivo tutto quel suo bramare attenzioni.
Perché doveva volere a tutti i costi essere una persona che non era?
A cercare questo si finisce davvero per crederci e non volevo si trasformasse in un mostro senza cuore.
«Comunque... credevo di essere un peso per te, per questo non ti ho scritto.» Non mi ero accorta che si fosse fermato sulla porta. Volsi il viso verso di lui e l'osservai per qualche secondo.
«Ti sbagli.» Espirai, cercando di riacquistare la calma almeno in minima parte.
«Scusa.» Sospirò anche lui, chiudendo la porta e tornando verso di me.
«Fa niente dai, vai.» Mi sistemai una ciocca di capelli dietro le orecchie, tornando verso il divano.
«Sei arrabbiata?» Mi girai a guardarlo; quel cambio improvviso della situazione mi stava mandando in confusione.
«No, no, non sono arrabbiata...» Abbassai lo sguardo, passandomi le mani sul viso e provando a capire: un minuto prima ci urlavamo contro e quello dopo si stava scusando?
«Sono solo un po' nervoso.» Alzai gli occhi, trovandomelo di fronte con un'espressione avvilita. Sbattei le palpebre un paio di volte per poi accennare un sorriso.
«Ti ho già detto di essere te stesso e andrà tutto bene.» Si slacciò il giaccone, riappoggiandolo sul divano.
«A Rachel piace il nuovo me, non il vero me.» Spalancai gli occhi e unii le sopracciglia: non credevo se ne sarebbe uscito con una frase del genere.
«Cosa vuol dire? Tu sei quello che sei, cioè...» Presi un respiro profondo, cercando di prendere tempo: non sapevo nemmeno io quello che volevo dire. «Devi solo comportarti come sempre, Luke.» Emanai un sonoro sospiro e lui mi seguì per poi iniziare a ridere.
«Perché ridi?» chiesi, mentre iniziavo a seguirlo. Quel suono aveva qualche strano potere magico che mi coinvolgeva.
«Niente, sei solo buffa.» Rise sempre più forte e più io cercavo di smettere, più ridevo forte tanto quanto lui.
Era da molto tempo che non stavo così; mi mancava quella spensieratezza, quella leggerezza di ridere insieme a qualcuno.
«Scusa.» Ogni suono cessò, lasciando spazio alla sua espressione colpevole, forse causata dalla mia improvvisa serietà.
«Stavo pensando» ammisi, appoggiandomi al divano.
«A cosa?» Si appoggiò accanto a me e il nostro sguardo puntava sulla parete di fronte a noi, dove poco più in là, solo un mese prima, proprio lui mi aveva aiutato a ripulire il sangue di James.
Improvvisamente mi venne in mente ciò che avevo provato quel giorno, la voglia di baciarlo; era stata sicuramente una debolezza per tutto il caos che era successo.
«Amanda, ci sei?» Scossi la testa, tornando a guardarlo e sorrisi annuendo.
«Sì, scusa, stavo pensando.» Tornai a fissare quel punto.
«Cosa farai a Natale?» chiese all'improvviso.
«Nulla, non ho nessuno da cui andare.» Ridacchiai per sdrammatizzare. In fondo non mi importava cosa facevo, era una giornata come le altre, anche se per gli altri sarebbe potuto sembrare patetico.
«Come mai?» Sentii la sua mano scivolare sulla mia schiena. Improvvisamente il cuore iniziò a battermi con più insistenza.
«Mia sorella va dalla famiglia di suo marito, i miei genitori si godono la loro meritata solitudine e, beh, non ho un fidanzato.» Ridacchiai di nuovo, sentendo la sua presa farsi più stretta.
«Passalo con me, non ce la faccio ad andare da Rachel, non sono pronto.» Mi staccai immediatamente, guardandolo.
«No, tu ci vai! Hai una ragazza che ti piace e a cui piaci, non capisco cosa ti frena.» Puntai le mani sui fianchi, accigliandomi leggermente.
«Magari non mi piace poi così tanto.» Si passò una mano sul mento, sospirando. Cercai il suo sguardo per capire la motivazione di quelle parole, ma mi evitava.
«Allora lasciala.» Mi arresi, facendo cadere le braccia lungo i fianchi e lui tornò a guardarmi.
«Non è così semplice, non voglio lasciarla... mi piace stare con lei, ma non so, non sono pronto.» Si staccò dal suo appoggio, andando verso la cucina; mi girai in fretta, seguendolo.
«Allora non so che altro dirti, non so cosa consigliarti.» Mi passai le mani nei capelli, sentendo un freddo improvviso: un brivido mi percorse la schiena facendomi tremare leggermente.
«Infatti non devi dire nulla.» Iniziò ad aprire qualche mobile, prendendo un bicchiere per poi versarci dell'acqua; la bevve per poi voltarsi. «Ora vado, ci sentiamo.» Mi sorpassò senza darmi il tempo di replicare, sentii solo la porta chiudersi e il rombo del motore della sua moto che si allontanava.

~
*revisionato*

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