Conforto

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Osservai la sua camera per l'ennesima volta, scorgendo altri piccoli dettagli che prima mi erano sfuggiti, come qualche nuovo poster o la diversa posizione della chitarra. Si sedette accanto a me, avvolgendomi una coperta sulle spalle; mi sentivo tremendamente in colpa e imbarazzata per essere crollata in quel modo, ma, purtroppo, era stato inevitabile.
«Non volevo essere così aggressivo, mi spiace.» Sospirò, probabilmente si sentiva in colpa quanto me, se non di più.
«Luke non è colpa tua, davvero, sono crollata, anzi scusami tu... sembrerò un panda mal ridotto.» Riuscii a ridacchiare, almeno per sdrammatizzare e togliere entrambi dall'imbarazzo e anche le sue labbra si incresparono in un sorriso.
«Non tanto mal ridotto, dai.» Continuava a guardarmi, esibendo un sorriso sincero e consolatorio e il mio imbarazzo si faceva sempre più palese.
«Davvero, scusami, non sono fatta così, davvero, non piango mai.» Cercai di giustificarmi, ma dalle sua labbra fuoriuscì una risata sarcastica, facendomi capire che non mi credeva.
«Se lo dici tu.» Scrollò le spalle, distogliendo lo sguardo e accennando una nuova risata.
"Se solo sapessi tutto ciò che mi è successo", pensai mentre un moto di tristezza prese nuovamente possesso del mio corpo; in men che non si dica le lacrime ripresero a scorrere, mentre era il mio di sguardo a vagare su altro. La sua ilarità cessò e io tenni gli occhi puntati sulla parete: non avevo intenzione di continuare così.
«Scusami...» dissi mordendomi il labbro, mentre tentavo di frenare il mio dispiacere.
Da molto tempo non mi sentivo così piccola e indifesa; ero cresciuta, avevo imparato anche ad affrontare ciò che la vita mi poneva di fronte, allora perché mi trovavo nella stanza di un ragazzo più giovane, sembrando una bambina capricciosa?
Improvvisamente sentii la sua mano premermi sul fianco, per poi avvicinarmi a sé. Il fiato mi si mozzò in gola, insieme a quel groppo che mi stava facendo espellere ogni male; avrei voluto smettere, avrei voluto non farmi vedere da nessuno in quelle condizioni, ma non ci riuscivo.
«Amanda, non piangere, ti ho già chiesto scusa.» Mosse la mano sul mio fianco, forse per consolarmi, e io mi voltai verso di lui.
«E io ti ho già detto che non è per te.» Marcai la frase, usando un tono più autoritario possibile e i suoi lineamenti si rilassarono; portò una mano sulla mia guancia e mi asciugò le lacrime che ci scivolavano.
«Allora cosa c'è?» Continuò a tenere la mano in quella posizione, guardandomi con occhi limpidi; fissai le sue iridi per qualche secondo, lasciando che quel gesto mi tranquillizzasse, almeno in parte. Sembrava molto diverso rispetto all'inizio, più aperto agli altri e più spontaneo.
«Vedo che un po' ti sei sbloccato.» Accennai un lieve sorriso e lui ritrasse lentamente la mano, scuotendo la testa.
«Non è così, riesco ad essere me stesso solo con te.» Alzò le spalle e con la mano che teneva sul fianco mi avvicinò più a lui, fino a farmi appoggiare al suo petto; non smisi di guardarlo nemmeno per un secondo.
«Perché?» chiesi, curiosa, soffermando il mio sguardo sulle sue labbra serrate. Cambiare argomento era stata un'idea molto saggia, soprattutto perché non volevo dirgli nulla riguardo ciò che era successo.
«Non lo so, sei diversa dalle altre.» Alzai lo sguardo nei suoi occhi, fermando ogni mio pensiero.
«Ho anche dieci anni più di te.» Di colpo sgranò gli occhi e allentò la presa su di me; mi sentii improvvisamente spoglia.
«Hai ventinove anni?!» Non velò per niente lo stupore e io annuii, seria. «Cavolo, non ti avrei mai dato più di venticinque anni.» Storse la bocca in una smorfia che mi fece sorridere.
«Credo che lo prenderò come un complimento.» Lui annuì convinto.
«Sicuramente lo è!» Distolsi lo sguardo e mi appoggiai alla sua spalla, continuando a sorridere; percepii i suoi muscoli tendersi, ma si rilassò quasi subito, circondandomi la schiena con un braccio.
Era così strano che un ragazzino potesse farmi sentire così bene, a mio agio anche in quella circostanza; forse era perché alla sua età non avevo vissuto molte situazioni del genere e in quel momento, tra le sue braccia, mi sembrava di tornare ragazzina e stare con quello che avrei potuto reputare anche un figo. Ridacchiai per quel pensiero, vedendomi dieci anni prima, in quella stessa posizione.
«Cosa c'è?» chiese confuso e io lo guardai teneramente, accennando un sorriso. Sarebbe stato bello se fosse accaduto prima.
«Se avessi la tua età ti considererei proprio un figo.» Ridacchiai di nuovo e lui mi seguì, mostrando quei denti perfetti.
«Perché, adesso no?» Non smise di ridere e in un attimo avvicinò il viso al mio. La mia mente si bloccò e subito volò a quel pomeriggio in cui mi aveva baciata, però, fortunatamente, lo vidi affondare il viso nella mia spalla. Rilassai i muscoli e chiusi gli occhi per un momento.
«Adesso sei un bel ragazzino.» La mia risata sfumò e sentii anche l'altro suo braccio circondarmi la schiena.
«Mi sembri mia nonna...» Ridemmo ancora e, non ricordo come, mi ritrovai in braccio a lui.
Dopo aver placato le nostre risate quasi insensate, si staccò da me, guardandomi.
«Come stai, ora?» Il suo sguardo e il suo tono erano così dolci che un moto di tenerezza si impossessò del mio corpo, portandomi a sorridere come una bambina. Mi veniva voglia di dargli un morso.
«Molto meglio, grazie.» Appoggiai le mani sul suo petto, sistemando le gambe sopra le sue e lui si accorse del contatto, posando lo sguardo su di esse. «Ti faccio male?» gli chiesi, preoccupata, ma lui spalancò gli occhi e scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
«Sei leggera come una piuma.» Accennò un sorriso, inclinando la testa di lato e con una mossa veloce gli scivolai giù dalle gambe.
Iniziava a piacermi il rapporto che si stava creando tra noi, così semplice e naturale. Non avevo mai avuto un amico così giovane, anzi, non avevo proprio amici maschi, e proprio per questo non credevo di riuscire a trovarmi così bene.
«Perché?» chiese, indicando le sue gambe scoperte.
«Ho ventinove anni, insomma, un po' di ritegno!» Feci un'espressione ovvia, ridacchiando; lui in risposta scosse la testa, inarcando un sopracciglio.
«Ritegno, eh?» Si alzò di scatto e poi, chinandosi su di me, lo sentii passare un braccio sotto le mie ginocchia e l'altro attorno alla mia schiena.
«No, Luke, no!» Iniziai a dimenarmi, ma mi sollevò e fui costretta a tenermi a lui. «Dai mettimi giù!» Alzai la voce mentre mi faceva girare per la stanza. «Dai che peso!» continuai, ma non mi dava ascolto.
«Sei una piuma! E questa è la dimostrazione!» Mi fece roteare con lui e poi, finalmente, mi lasciò cadere sul letto che, però, mi fece rimbalzare e finii per terra, con le gambe all'aria. Iniziai a ridere in modo incontrollato, senza riuscire a smettere in nessun modo.
«Oddio, stai bene?» Lo sentii accucciarsi accanto a me, ma io non smettevo di ridere. Lo guardai con le lacrime agli occhi e risi ancora più forte quando vidi l'espressione preoccupata sul suo viso.
«Amanda, non è divertente!» Sbuffò, sedendosi accanto a me mentre mi squadrava, accennando un piccolo sorriso divertito. Mi placai e lo guardai di traverso, dato che ero ancora sdraiata con le gambe all'aria.
«Oh, sì che lo è!» Mi uscì un'ultima risata mentre mi alzavo per sistemarmi, incrociando le gambe verso di lui per guardarlo. Presi un respiro profondo e mi sistemai i capelli, cercando di calmarmi; afferrai di nuovo la coperta e mi coprii le spalle.
Ancora non capivo come facesse a stare con una semplice maglietta a maniche lunghe, anche se la scritta "I'm a Bad Boy" rendeva tutto diverso, quasi un paradosso, riferito a lui. Notò che stavo guardando la sua maglia e abbassò lo sguardo.
«Qualcosa non va?» mi chiese, alzando gli occhi verso di me.
«No, no, stavo guardando la scritta» la indicai, «e pensavo che è un paradosso, dato che sei così dolce.» Sorrisi e lo vidi arrossire lievemente.
«Non sono dolce.» Sbuffò e prese un cuscino, tirandomelo addosso, risi e mi coprii la bocca.
«Ahia, mi hai fatto male!» Feci dei versi di dolore e mi guardò interrogativo. «Mi hai preso con la cerniera sul labbro.» Feci l'espressione più dolente che riuscii e subito mi venne accanto, preoccupato.
«Oddio scusa, fammi vedere.» Mi accarezzò le mani per farmele levare dalla bocca e quando le scostai, scoprendo che ero intatta, mi pizzicò il fianco.
«Bastarda» disse tra i denti, mentre riprendevo a ridacchiare.
«E poi non sei dolce, pff!» lo canzonai, alzando le sopracciglia.
«Ah, sì?» Mi afferrò, portandomi di nuovo in braccio a lui e bloccandomi i polsi, mentre mi guardava serio.
«Io non sono dolce, ok?» ringhiò, stringendomi, mentre io tentavo di divincolarmi. Non era divertente.
«Dai Luke, smettila...» dissi seria, mentre la presa si faceva sempre più ferrea. Iniziava a procurarmi un piccolo fastidio, anche se ero certa non lo facesse apposta.
Di colpo mi tornò in mente Yuri: le sue mani che mi bloccavano, i suoi occhi famelici, il suo alito, il suo sorrisetto beffardo.
«Yuri, basta, ti prego!» Alzai la voce, iniziando a respirare male; sentivo la gola bruciare e il cuore battere ad un ritmo molto più sostenuto. Mi sentii i polsi liberi e ritrassi le mani.
«Chi è Yuri?» chiese, mentre lo guardavo con gli occhi lucidi; ci misi qualche secondo per capire che avevo realmente usato il nome di mio cognato.
Non risposi, non volevo raccontargli quell'episodio, non volevo riviverlo. «Amanda... dimmi chi è.» Il suo tono si indurì e io deglutii, abbassando lo sguardo. Ripensare a qualche giorno prima mi faceva venire la nausea. «Amanda...» Lo pronunciò in un modo talmente severo che mi fece trasalire.
«Ha cercato di... insomma, di...» Non ce la facevo a continuare, mi veniva da vomitare.
«Dimmi chi è che lo ammazzo!» Lo guardai sbigottita e mi portai una mano sul petto.
«Lascia stare, ormai è passato.» Spostai lo sguardo e lui mi prese la mano, stringendola nella sua.
«Per questo stavi male?» Mi accarezzò la mano con il pollice e un brivido si estese in tutto il corpo. Scossi la testa.
«No, non solo... è una lunga storia.» Il telefono prese a squillare e lo tirai fuori dalla tasca, sorridendo a Luke. Leggendo il nome del mio capo mi mancò il respiro.
«Pronto?» iniziai, con voce flebile
«Amanda, dove sei finita?! Hai delle notizie su mio figlio?!» urlava talmente tanto che fui costretta a staccare il cellulare dall'orecchio.
«Sto ancora chiedendo.» Mi mordicchiai il labbro mentre guardavo Luke: avevo perso fin troppo tempo.
«Muovi il culo che mi servi qui!» urlò ancora ed ero sicura che Luke avesse sentito ogni parola perché mi guardava serio.
«Sì, arrivo.» Chiusi la chiamata e riposi il cellulare in tasca, sospirando.
«Era lui Yuri?» Lo vidi stringere i pugni e sorrisi, scuotendo la testa.
«No, lui era il mio capo, devo tornare al lavoro.»
«Sei sicura? Non vuoi stare ancora un po'?» Mi avvicinò a sé, accarezzandomi la schiena; lo abbracciai, beandomi del suo profumo.
«Tornerò più spesso, così poi mi dirai tante cose.» Mi staccai da lui, alzandomi e prendendo la mia borsa; feci una capatina nel suo bagno, stupendomi di come fosse ordinato.
«E cosa dovrei dirti?» Fece capolino sulla porta del bagno, guardandomi mentre mi sistemavo il trucco sbavato. Non riuscivo a credere che mi avesse visto tutto il tempo così.
«Beh, l'appuntamento con Stacy o altre cose... voglio che ti faccia degli amici e poi voglio sentirti suonare.» Sorrisi, chiudendo il mascara mentre mi guardava stranito; lo sorpassai, andando verso la porta.
«Ciao, Amanda.» Accennò un sorriso mentre aprivo la porta, mi girai e sorrisi.
«Grazie ancora, Luke.» Gli mandai un bacio volante, facendolo ridere, e chiusi la porta, percorrendo tutto il corridoio al contrario per tornare alla macchina.


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Che ne pensare di questo capitolo?
A me piace molto il fatto che riescano a stare bene insieme.
Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto e se trovate qualunque errore o parte che non vi convince, non esitare a farmelo sapere.

Un bacio :*
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*revisionato*

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