Ritorno a casa

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Ed eccomi davanti a casa mia, casa nostra, casa in cui avevo passato gli ultimi anni della mia vita, in cui avrei voluto stare sempre insieme al mio ragazzo... che mi tradiva.
Scesi dalla macchina prendendo le buste e mi diressi all'ingresso. Dopo essere andata via dall'hotel avevo fatto un lungo giro per New York, sperando che mi aiutasse, ma era tutto inutile.
Pensavo che tornare a casa sarebbe stato più semplice dopo aver passato più di una settimana fuori, ma mi sbagliavo di grosso; tornare non sarebbe mai stato facile.
Le luci della sala erano accese e, deglutendo, tirai fuori le chiavi di casa; aprii lentamente la porta, sentendo subito delle risate.
Il cuore prima perse un battito e poi prese ad accelerare come un treno in corsa; chiusi la porta dietro di me, facendomi un po' di coraggio e dirigendomi in soggiorno. La prima cosa che vidi fu una matassa di capelli castani e a fianco James che appena mi vide smise di ridere e anche la ragazza si girò verso di me: Candice.
Lei si alzò sorridente, venendomi incontro e mi porse una borsa con all'interno una scatola di scarpe.
«L'avevi lasciata in hotel, così sono passata qua per portartela; avevo visto l'indirizzo sulla carta d'identità.» Sorrise, mostrando dei denti un po' ingialliti, ma sempre bellissimi e io avrei solo voluto sprofondare sottoterra per non dover spiegare a James tutta la storia, sempre che non lo avesse già fatto lei.
«Grazie» risposi piatta, prendendo il sacchetto. Lei si voltò verso James e lo salutò con un cenno della mano per poi tornare a guardare me e sorridermi ampiamente, prima di andare via. Appena si sentì la porta chiudersi, guardai James, che scosse la testa facendo una smorfia d'indignazione.
«E poi hai anche il coraggio di dirmi che non mi tradisci.» Si passò le mani nei capelli con nervosismo e quasi mi sembrò un paradosso; lui mi accusava di tradirlo quando ero stata in hotel proprio perché non volevo affrontare lui e i suoi possibili tradimenti.
«James... non sai proprio nulla.» Cercai di difendermi, anche se da cosa, in realtà? Era lui che mi avrebbe dovuto dare spiegazioni, eppure il suo sguardo contrariato, al posto di farmi reagire, mi faceva sentire solo più piccola.
«Ah no, certo! Ovviamente la colpa è mia, no?» "Sì, sì e sì", pensai mentre lo vedevo stringere i pugni e avvicinarsi a me con decisione. Le sue iridi, scure come la notte ma glaciali, mi incastrarono sul posto.
«N-no...» balbettai, «ma... non ho fatto nulla.» Si fermò a pochi passi da me, con gli occhi sbarrati e la mascella serrata; un lieve tremore mi fece stringere la mano e deglutire. Perché tutti dovevano trattarmi in quel modo?
«Vattene dalla mia vista. Ora!» urlò l'ultima parola e io strizzai gli occhi, sentendo il cuore iniziare la sua corsa; le sue parole mi rimbombarono nella mente e feci l'unica cosa che mi riuscii: correre nella mia camera.
Chiusi la porta alle spalle e lasciai che il mio respiro galoppasse senza sosta; mi sentivo vuota, sola, indifesa e l'unica cosa che avrei voluto in quel momento, per sentirmi al sicuro, era un abbraccio di Luke.
Mi rintanai sotto le coperte, tremando.
Non riuscivo a piangere; nonostante al piano inferiore sentivo che stava spaccando qualcosa, nonostante mi sentissi schiacciata dal peso di tutto quello, nonostante tutto, non ci riuscivo.
Presi il telefono e rimasi a fissare lo schermo per qualche secondo, prima di avviare la chiamata: Luke.
«Pronto?» Aveva la voce stanca, probabilmente stava per andare a dormire.
«L-Luke...» Respirai profondamente e sentii qualcos'altro andare in frantumi.
«Amanda... Amanda cosa succede?» La sua voce si riprese subito.
«Io... scusami.» Attaccai la chiamata.
Cosa potevo dirgli? Di certo non confessare tutto quel casino, non fargli sapere che la mia vita privata si stava sgretolando. Il telefono prese a squillare e mi mordicchiai il labbro incerta, fissando il suo nome lampeggiare. Eppure non mi era rimasto altro, se non lui.
«Amanda, che cazzo succede? Dove sei?» Era preoccupato e spaventato, lo sentivo.
«Sono a casa mia» sussurrai, non avendo neanche più la forza di parlare. Qualcos'altro si ruppe.
«Amanda, dimmi dove abiti, vengo subito.» Quelle parole mi fecero chiudere gli occhi e accennare un lieve sorriso: sentirlo così apprensivo mi faceva capire che a me ci teneva.
Gli diedi il mio indirizzo e mi alzai a fatica dal letto, aprendo l'armadio; indossai dei vestiti più comodi, andando poi in bagno a togliermi tutto quel trucco che mi dava solo fastidio.
Dopo una decina di minuti il telefono prese a squillare di nuovo: era Luke che mi aveva scritto di essere davanti casa mia.
Mi affacciai alla finestra e vidi una moto con lui sopra, accennai un sorriso e scesi con cautela, non sentendo più alcun rumore. Appena fui giù constatai il disastro causato da James; lo intravidi mentre prendeva la giacca e usciva di casa sbattendo la porta. Aspettai qualche secondo prima di avvicinarmi anche io alla porta, aprendola in tempo per vedere la macchina di James che usciva dal vialetto per andare chissà dove e poi Luke scendere dalla moto e corrermi incontro.
Quando fui tra le sue braccia mi lasciai andare, completamente, in un pianto liberatorio.


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