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Il caldo stava tornando con una certa intensità e finalmente potevo nuovamente indossare i miei soliti vestitini. Questo riusciva a farmi stare meglio, anche se solo di poco.
Avevo passato tutto il weekend a rimuginare sulla mia vita; ero arrivata a un punto in cui non riuscivo più a capire cosa fare.
Una gravidanza non era semplice, ma non potevo certo dare per scontata una vita che sarebbe nata da me.
Lo stomaco continuava a contorcersi e le nausee non erano per niente gradevoli, ma sarebbe passato, almeno di questo ero sicura.
Avevo detto a Luke che non potevamo vederci perché mi ero presa un virus intestinale e avrei rischiato di contagiarlo; inizialmente insistette per prendersi cura di me, ma dopo i miei continui rifiuti capì che forse sarebbe stato meglio lasciarmi il mio spazio.
In realtà avrei tanto voluto che mi stesse accanto, ma razionalmente non era possibile.

- Come stai oggi? Possiamo vederci stasera? Settimana prossima ho un esame e non so quando riuscirò a liberarmi -

Il suo messaggio mi strappò un mezzo sorriso.
Ormai stavo decisamente meglio ed ero anche stanca di starmene sola ad autocommiserarmi.

- Sto meglio, grazie. Va bene, vieni tu da me o io da te? -

Entrai poi in ufficio, sistemando la coda che mi ero fatta; i capelli ormai stavano ricrescendo e riuscivo a raccoglierli senza avere ciuffi ribelli che spuntavano ovunque.

- Vengo io da te dai, così possiamo stare più tranquilli. Devo portare ancora i preservativi? -

Sospirai. Non ero sicura di volerlo fare ancora; sia emotivamente che fisicamente non ero al massimo e temevo potessi crollare da un momento all'altro. Volevo solo stare tra le sue braccia e sentirmi amata.
Chiedevo troppo?

- Portali, ma non sono ancora in completa forma -

Mi accomodai sulla sedia, accendendo il computer.

- Povero amore, ci penso io a farti stare meglio. A stasera -

Sorrisi debolmente, entrando nelle mail per controllare se qualche cliente avesse richiesto qualcosa, ma appena comparve Victor per entrare nel suo ufficio, lo stomaco mi si strinse di nuovo.
Era giunto il momento di comunicargli la mia decisione.
Sapevo che era la cosa giusta da fare, anche se in cuor mio ero consapevole che sarebbe stato un passo ancora più difficile.
Mi alzai andando di fronte alla sua porta, poi bussai decisa, attendendo.
«Avanti.» Avanzai entrando in quella stanza e vedendo Victor che lavorava al computer. «Di cosa hai bisogno?» Non mi guardò neanche.
«Riguardo alla... Pennsylvania» esitai, ma lui alzò lo sguardo di scatto, attendendo che continuassi. «Ci ho pensato e... accetto.» Vidi un sorriso farsi spazio sul suo viso per poi alzarsi dalla sedia e venire verso di me, con le braccia aperte, stringendomi in un abbraccio.
«Lo sapevo che non mi avresti deluso,» iniziò, staccandosi da me «quindi ti faccio subito il trasferimento per la nuova azienda.» Si allontanò, ma un fremito mi scosse il corpo.
«Cosa vuol dire subito? Devo partire ora?» La preoccupazione traspariva limpida dalla mia voce.
«No no, certo che no, partirai verso metà maggio, hai un mese per comunicare tutto ai tuoi parenti, preparare le valigie e... vendere la casa, se ne hai una.» La sua euforia mi mise in soggezione: come poteva non rendersi conto che quello che stavo facendo era solo per il bene degli altri? Che non volevo affatto lasciare la mia vita per iniziarne una nuova tutta sola in un altro stato?
«Dovrò trovarmi una casa nuova quindi? Come farò se devo lavorare?» Non avevo preso in considerazione il fatto che tutto ciò avrebbe implicato il trasferimento della mia intera vita.
Forse ero stata troppo avventata.
«Per quello non c'è problema, per i primi tre mesi starai in un appartamento a mie spese, poi potrai cercarti un appartamento o una casa.» Il suo sorriso non lo aveva abbandonato neanche per un secondo.
«Va... va bene.» Ormai ero incapace anche di obiettare; avevo paura di tutto, del trasferimento, della gravidanza, della nuova vita che mi attendeva, ma dovevo farlo e non c'era tempo per i rimpianti.



Changes.Where stories live. Discover now