Confessioni

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Rachel.
Mi ero completamente dimenticata della sua esistenza mentre ero avvinghiata a Luke.
Davvero non riuscivo a concepire cosa fosse accaduto: eravamo solo io e lui in un'atmosfera tanto accogliente quanto destabilizzante.
Quando varcai la soglia di casa percepivo sulla pelle un caldo allucinante e non ero del tutto certa che fosse causato solo dal tepore dell'abitazione; abbandonai il cappotto sul divano e mi ci sedetti a fianco.
Non credevo che un bacio potesse lasciarmi così tante emozioni, soprattutto scambiato con un ragazzo più piccolo, di dieci anni per di più.
Era sbagliato e lo sapevo bene, soprattutto quando mi ricordai di Rachel: la sua ragazza.
Come ero passata dall'essere tradita all'essere la traditrice?
Una sensazione sgradevole mi attanagliò lo stomaco in un millisecondo: mi sentivo uno schifo.
Era il giorno di Natale, una giornata di festa, in cui si dovrebbe essere felici, ridere, scherzare e stare con le persone a cui si vuole più bene; e io mi ritrovavo in una casa vuota a pensare ad un fatto accaduto poche ore prima con un ragazzino. Eppure, nonostante continuassi a ripetermi quanto fosse sbagliato, non riuscivo a negare che era stato bellissimo.
Improvvisamente mi accarezzai il collo e vi percepii il piccolo gioiello che mi aveva donato Luke; me la attorcigliai al dito, sospirando: era stato uno stupido bacio sotto il vischio, nulla di più.



Nei giorni successivi Luke non si fece vivo: molto probabilmente era imbarazzato.
Dopo il bacio era calato un silenzio carico di tensione, nessuno dei due sapeva cosa dire o come dirlo e io, come ero solita fare, mi affrettai ad allontanarmi, dicendogli che dovevo tornare a casa.
Era sempre stato facile scappare dai problemi, piuttosto che affrontarli; in tutta la mia vita non ricordo un solo istante in cui fui una ragazza forte. Ogni problema, ogni ostacolo, mi era più facile aggirarlo, chiudendomi in me stessa e cercando di lasciare tutto fuori; però si sa che prima o poi tutto torna indietro e bisogna trovare il modo di risolvere le cose, o almeno provarci.
Se con James ero riuscita a farmi valere e mettere una fine a tutte le prese in giro, avevo moltissime altre cose da affrontare, tra cui mia sorella; sapevo di dover prendere in mano la situazione e rivelarle ciò che era successo.
Puntellai lo sguardo sullo schermo del cellulare e dopo essermi rosicchiata qualche pellicina, decisi che non mi era più possibile nascondermi.
L'orologio della parete segnava le due e mezza di pomeriggio ed ero certa che i festeggiamenti post natalizi fossero conclusi, quindi speravo rispondesse in fretta.
«Amanda, come stai?» La sentii sospirare, non aveva il solito tono allegro.
«Sorellona, cosa succede?» Portai le gambe sul divano, incrociandole.
«Sono a pezzi, ma sto bene, tu che mi dici? Successo qualcosa?» Cercò di acquistare un minimo di vivacità, ma sapevo bene che qualcosa la tormentava.
«Niente di importante, voglio sapere come stai.» Mi ritrovai a sospirare anche io; odiavo sentirla in quello stato e non essere neanche accanto a lei.
«Sto bene, davvero, non preoccuparti.»
«Ti va se ci vediamo?» chiesi subito, sperando mi dicesse di sì. Avevo bisogno di vederla, di sapere come stesse e di passare del tempo sole, come tanto tempo addietro.
«Va bene, ci incontriamo a metà strada?» Sospirò di nuovo. Non potevo farla guidare quando avrebbe potuto partorire da un momento all'altro.
«No Jennifer, vengo io da te, ci vediamo tra un po'.» Chiusi la chiamata senza darle il tempo di replicare e mi precipitai in camera a cambiarmi, mettendo una felpa pesante e dei leggins di lana; infilai degli stivali per proteggermi dalla neve ed uscii salendo in macchina.
Non ero un'amante della guida; preferivo camminare a Battery Park piuttosto che stare imbottigliata nel traffico di New York per dirigermi a New Rochelle – dove abitava mia sorella –, ma con un po' di musica in sottofondo non mi sembrò così tremendo.
Qualcosa aveva bloccato tutto e le strade erano intasate di macchine i cui guidatori suonavano impazziti i clacson, sperando che la strada si sgomberasse; alzai il volume della musica per sovrastare quel caos infernale.
Trasmettevano soprattutto canzoni natalizie, il che mi fece riportate alla mente le labbra di Luke che esploravano le mie. Sorrisi per non seppi quale istinto e il traffico riprese lentamente a scorrere.
Mi passai le dita sulla collana che avevo al collo. La toglievo solo per fare la doccia e appena uscita me la rimettevo subito; in un certo senso mi dava sicurezza, come se potesse in qualche modo proteggermi. Era sicuramente una sciocchezza pensarla così, eppure non trovavo altra spiegazione per l'attaccamento che stavo sviluppando verso quell'oggetto.



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