23. He was a dick

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"Ti muovi? Siamo già in ritardo" mi lamento correndo tra i corridoi, stando attenta a non rompermi il collo cadendo dai tacchi.

"Io sarei già arrivato, sto andando piano solo perché ho paura tu cada da quei trampoli" indica le mie scarpe e alzo gli occhi al cielo.

Entro nella stanza e tutti scattano in piedi presi alla sprovvista, si inchinano e ci salutano.

"Maestà, principe" dicono tutti all'unisono.

"In piedi" dico e tutti si sollevano e prendono posto a tavola, lasciando libero il posto a capotavola e quello alla sua destra.

Io e Isaac prendiamo posto e tutti tacciono, finché io non prendo parola.

"Che cosa sappiamo?"

"Non molto, sono bravi in quello che fanno" risponde uno dei più fidati consiglieri di mio padre, Claudius.

"Quindi mi stai dicendo che non abbiamo nulla? Non un indizio?"

"Non ho detto questo, maestà. Sappiamo che hanno una base vicina al regno di tuo zio, operano divisi in gruppi e non ci sono mai più di due capi nello stesso posto contemporaneamente" continua mettendomi davanti alcune foto.

"Sappiamo chi è il capo qui vicino? Chi ha ordinato l'attentato il giorno dell'incoronazione?"

Ho in testa così tante domande che non riesco a smettere di parlare, Claudius fatica a starmi dietro o a darmi delle risposte più o meno positive.

"No, maestà. Però conosciamo il loro punto di ritrovo, ho contattato i miei informatori e mi hanno fatto sapere che si riuniranno questa sera al vecchio mulino, vuole che mandi qualcuno?"

Ci penso su per qualche minuto, rigirandomi tra le mani ma foto dei cadaveri degli uomini che ho uccido, i cacciatori che hanno sparato a Isaac e Luke.

"No, potete andare. Mi faccia il favore di mandare un messaggio a Luke O'Donnell, gli riferisca di chiamarmi il prima possibile"

I consiglieri si alzano ed escono dalla stanza con un inchino, Isaac, che per tutta la riunione è rimasto in silenzio riprende parola.

"So cosa significa quello sguardo!"

"Cosa stai dicendo?" faccio finta di nulla e prendo a guardarmi le scarpe.

"Vuoi andarci da sola, non è forse così?"

"Ascolta, ne ho bisogno! E poi nessuno conosce la mia faccia, è il bello di essere riservata, non postare foto mie in rete, usare poco il telefono!"

"E vuoi rischiare senza neanche avere la certezza di avere delle risposte?"  si alza in piedi di scatto ed esce dalla stanza, esasperato dalla mia testardaggine.

Eppure io non cambierò idea, andrò lì questa notte, con o senza il suo appoggio. So cavarmela da sola, l'ho fatto da quando sono morti i miei, continuerò a farlo.

Quando esco dalla sala Maria mi corre incontro e mi passa un telefono con l'aria di essere preoccupata.

"È O'Donnell, Maestà. Dice che potrebbe essere urgente"

Annuisco e le prendo il telefono dalle mani, felice di sapere che Luke possa parlarmi.

"Ehi" dico.

"Ehi, mi hanno detto che volevi parlarmi"

"Sì, ti sei rimesso quanto basta per seguirmi in una folle missione in cui rischieremo la vita?" propongo.

"Evelyn..." sospira.

"Lo so che sei a miglia di distanza dal castello ma non posso chiedere ad Isaac di venire con me, l'hanno dimesso poco più di un giorno fa dall'ospedale. Non te lo chiederei se pensassi non fosse importante"  incrocio le dita nella speranza che accetti.

"Lo sai che farei di tutto per te" si blocca e non dice nient'altro.

"Ma?"

"Ma ho troppe cose da fare e non voglio accompagnarti in una delle tue solite bravate. Ci vediamo presto Evelyn, non fare stupidaggini"

Riattacca e sbuffo.
Lui è sempre così pacato, non fa niente senza averci riflettuto su migliaia di volte. Solo con me si lasciava andare per davvero e anche alcune volte capitava che si chiudesse nei suoi pensieri e nella sua timidezza.

Ritorno in camera e trovo Isaac davanti allo specchio ormai in pezzi senza maglietta, il lavandino completamente ricoperto di sangue e la sua mano piena di vetro e schegge.

"Che hai fatto?"

Gli prendo la mano e esamino le ferite, poi la metto sotto l'acqua e lui si lamenta per il dolore.

"Così mi fai male!"

"È colpa tua, sei così idiota da prendere a pugni lo specchio. Che diavolo ti è saltato in mente?" chiedo addolcendomi, per non spingerlo a rispondermi sarcasticamente come fa di solito.

"Lascia perdere"

"No, no e ancora no, adesso lo voglio sapere"
Ci sediamo sul letto e mi indica una delle tante cicatrici che gli ricoprono il corpo.

"Un giorno mi hai chiesto che mi era successo, ricordi?"

Annuisco senza emettere un solo fiato, come potrei dimenticarmi di quel giorno?

"Non credo tu lo sappia ma ogni reale della mia famiglia viene marchiato prima che abbia dieci anni. Veniamo portati sulla cima della montagna più alta e lì, con il fuoco, ci tatuano sulla pelle un simbolo."

Di questo sono certa, quelle cicatrici non sono dei simboli e molte non sono bruciature, sembrano tagli, alcuni più piccoli e altri più grandi.

"Sì, mio padre me ne aveva parlato"

"Bene. Mio padre è sempre stato ossessionato dalle traduzioni, non si doveva pingere durante il rito, non si doveva urlare o parlare, solo accettare il marchio. Non volevo deluderlo ma mi misi a piangere e una volta tornati al castello mi frustò per tutta la notte" sobbalzo e spalanco gli occhi, mi ero immaginata che poteva essere stato il re ma non che glielo avesse fatto a dieci anni.

"Poi lo rifece la notte dopo e quella dopo ancora, finché non smisi di piangere"

"Mi dispiace" non aggiungo altro perché qualunque altra parola risulterebbe di troppo, persino senza significato.

Lo abbraccio e rimane immobile, si scioglie solo dopo qualche istante e abbandona la testa contro il mio collo.

"Piangere va bene" sussurro e gli accarezzo i capelli. "E poi tuo padre era un grandissimo stronzo, non per parlare male dei defunti"

"Però lo era davvero"

"Oh sì, uno stronzo di prima categoria"

Annuisce. "Avrebbe potuto vincere il premio per lo stronzo più stronzo di tutti" continua e sento un po' di gioia tornare nella sua voce.

"Già, ma sai una cosa? Tu non sei affatto come lui"

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