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Proprio come quel giorno, di tre anni fa, Clark era nella stessa posizione. Con il viso poggiato sulla scrivania, rivolto verso destra dove vi era la foto di Shailene.

«Clark.» sussurrai con il cuore in gola.
Questa volta ebbi il coraggio di entrare, se pur con il costante timore di crollare.
Non rispose, nella mano sinistra aveva una bottiglia di rum mezza vuota.

Chissà da quanto è così... Pensai.

Mi avvicinai a lui sempre di più, anche se sembrava non respirare.

«Clark.» lo richiamai di nuovo guardando i suoi occhi blu, non color avio come quelli di Asher, tanto meno cerulei come quelli di Aron. Blu come la notte, scuri e, in quel momento, vitrei. Due solchi violacei li cerchiavano. Erano rossi, forse per il pianto, forse perché non dormiva da giorni.
Rosa gli portava cibo, ma la guancia non appoggiata alla scrivania era scavata, e dava segno del fatto che non stesse mangiando.

«Clark.» poggiai una mano sulla sua spalla «Non credo che Shailene vorrebbe vederti così.»
Chiuse gli occhi quando pronunciai il suo nome, compresi così che per quanto potesse sembrare assente, non lo era del tutto.

«I tuoi figli hanno bisogno di te.» dissi flebilmente «Asher e Jake sono ancora ragazzini.»
Li riaprì, questa volta colmi di lacrime. Trattenni il respiro per impedire al dolore di strapparmi da dentro la forza di non piangere.

Non l'avevo mai visto così prima, era sempre stato uno di quegli uomini sicuri di sé, che ti danno una parvenza di indistruttibile, uno dei migliori avvocati, colui che mi ha ispirata a seguire legge. Non era mai stato un uomo cattivo, questo lo sapevo ed era possibile leggerglielo negli occhi ogni volta che aveva guardato sua moglie. Non credevo che la perdita di lei lo avrebbe potuto distruggere fino a quel punto. Avevo il forte sentore che stesse ancora tentando di affogare nel dolore per raggiungerla.
Non sarebbero pronti, i fratelli Harrison non riuscirebbero a sopportare la perdita di un altro genitore. Mi dissi.

«Clark, sono passati 3 anni, guardare quella foto non la riporterà da te.» sussurrai lanciando un'occhiata all'immagine di lui e lei, in uno spontaneo scatto.
Sospirai.
«Devi tornare a galla.» dissi prima di uscire dalla stanza.

Non sapevo cosa provassero gli Harrison vedendo il padre, il loro eroe, distrutto da sé stesso; sapevo solo che se avessi visto mio padre in quel modo mi sarei sentita persa, senza più un porto sicuro su cui fare affidamento.

Aprii la porta della camera di Jason, troppo in fretta. Lanciai un gridolino portando una mano davanti agli occhi.
«Oddio...» gracchiai.
«Cazzo.» commentò Jas.
«Salve, vuoi unirti?» chiese divertito il partner.
«D-devo solo prendere le mie cose.» dissi in imbarazzo.
«Ang.» richiamò la mia attenzione «Posso spiegarti...»
«Potresti passarmi le mie cose?» domandai allungano una mano alla cieca.
«Sì.» squittì lui.

Lo sentii muoversi per la camera raccogliendo i miei libri.
«Puoi guardare, siamo coperti ora.» disse l'altro.
«No, grazie sto bene così.» affermai con la mano quasi calcificata sugli occhi.«Tieni.» Jas mi passò il pesante zaino ed il giaccone.
«Grazie.» affermai.
«Ang.» sussurrò Jason.
«Ci vediamo domani Jas.» dissi voltandomi e camminando per il corridoio ad occhi chiusi.
A qualche passo di distanza, tolsi la mano e mi bloccai concedendomi allo stupore.
Che cosa ho appena visto? Mi chiesi.
Era stato strano, molto strano.

«Che stai facendo?» chiese Asher osservandomi.
«Io...» sbattei per qualche istante le palpebre.
«Te ne vai?» domandò lanciando un'occhiatina confusa allo zaino nella mia mano.
«Sì, ci vediamo domani.» dissi ancora sbigottita procedendo per il corridoio.
«Ah!» mi voltai di nuovo. «Non fate troppo tardi e date una sistemata prima che arrivino Henry e Rosa, non sono i vostri schiavi.» dissi.

Unconditionally mine || Saga HarrisonWhere stories live. Discover now