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«Non ti ha più contattata giusto?» chiese l'agente.
«No» rispose Emily turbata.
«Agente, il fatto che non l'abbia più ricontattata non significa che non debba essere trovato» puntualizzai stizzita dal modo passivo con cui si stava rivolgendo ad Emily da almeno un'ora.
«Ci mancherebbe, le ricerche stanno andando avanti, ma capisce bene che sulla base di una ricostruzione grafica del profilo non possiamo fare molto» disse facendo spallucce.
«Voi non potete fare molto?» alzai un sopracciglio «Devo forse ricordarle che questo è il suo lavoro? Lei deve difendere i cittadini di questa comunità e quell'uomo rappresenta una minaccia per Emily. Se deve lavorare anche di notte per trovarlo, lo faccia. Ma non mi venga a dire stiamo facendo il possibile, quando vedo come state oziando nelle vostre poltrone» feci un cenno alle sue spalle dove gli altri agenti se ne stavano alle loro scrivanie.

«Signorina, non mi obblighi a chiamare lo sceriffo» rimbeccò stizzito l'agente.
«Ang» sussurrò Emily «Va bene così, andiamo»
«No, non va bene così» ringhiai «Voglio una prova che ci state lavorando su»
«Cosa?» gracchiò l'uomo.
«Portatemi ad un appostamento o fatemi vedere il fascicolo del suo caso»
«Non possiamo, lo sa molto bene» replicò «Deve credermi sulla parola quando le dico che stiamo lavorando, stiamo facendo alcuni appostamenti casuali sia nella zona in cui è accaduto sia nel quartiere in cui abita Emily»
«Be' o voi non state facendo sufficientemente bene il vostro lavoro o quel farabutto è riuscito a dissolversi per magia, e indovini un po'? Solo la prima opzione è plausibile» continuai.
«Andiamo, Ang, avanti» Emily mi afferrò per un braccio e mi trascinò via.

Erano settimane che stavano lavorando a quel caso e ancora non l'avevano trovato. Emily non mi aveva voluto raccontare nulla fino a quella mattina, perché temeva che avrei reagito proprio come alla fine avevo reagito. Diceva che era possibile che avesse cambiato città, ma io sapevo che quello era il tipo di criminale che non avrebbe lasciato la sua città per uno stupro. Un uomo come quello non sapeva quello che aveva fatto, non sapeva che aveva distrutto la vittima, non si sentiva nella parte del torto, nonostante fosse fuggito quella sera. Ero certa che fosse ancora da quelle parti e probabilmente si rintanava nell'altro pub della città ad infastidire altre ragazze per poi commettere altre violenze.

E più i giorni passavano più questo gli permetteva di crogiolarsi nella sua tranquillità e nel suo stile di vita da depravato malato.

«Non ci fermeremo qui, ho detto che sarei arrivata in fondo a questa faccenda e non ho intenzione di fidarmi sulla mera parola di quell'agente» dissi.

«Ang, non ce n'è bisogno...» disse lei in un sussurro. Non lo diceva perché aveva dimenticato, anzi era proprio per questo che voleva riaffrontare l'argomento, preferiva di gran lunga sorvolare per non pensarci, per tornare nel dolore di quella sera.
«Emily tu non dovrai fare nulla, ci penseremo io e Tess, d'accordo?» chiesi dolcemente.
«Io...» sospirò «...d'accordo»

Quella stessa sera riuscii a convincere Tess a fare un appostamento nei luoghi che mi aveva rivelato l'agente durante la discussione. Ero passata davanti al suo negozio di tattoo e l'avevo attesa in macchina. Era l'unico studio di tatuaggi presente nella città e in generale nel Vermont non ce n'erano tanti altri. Immaginai che la clientela fosse scarsa, per di più odiava la sua famiglia, perciò mi chiesi perché non si fosse ancora trasferita.

«Angelica accendi questi dannati riscaldamenti, si gela» disse sfregandosi le mani. Eravamo parcheggiate davanti all'altro unico pub della città. Il Bear era il luogo che frequentavano per lo più gli ubriaconi e fecciosi della città.
«Se accendo l'auto ci vedranno e ci sentiranno» osservai.
«Accendila con i fari spenti, mio Dio» commentò battendo i denti.
«Se avessi indossato un cappotto più pesante...» sbuffai accendendo l'auto.
Lei non replicò, avvicinò solo le mani alla bocchetta dell'aria.

Unconditionally mine || Saga HarrisonWhere stories live. Discover now