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Angelica

Non riesco a respirare. Devono avermi sferrato un colpo alla schiena, proprio in corrispondenza delle costole, subito dopo aver perso i sensi.
Ho perso il conto delle volte in cui sono svenuta. Stringo le gambe al petto per nascondermi in questo angolino della stanza angusta in cui mi hanno rinchiusa. Arriva un forte odore di putredine e fogne, forse questo è il posto in cui smaltiscono i corpi della gente che uccidono.
Non ho mangiato, nonostante mi abbiano passato del pane mangiucchiato e del formaggio. Tentano di nutrirmi per tenermi viva il più a lungo possibile, per potermi torturare più a lungo possibile.
Ma io non ho fame, sento troppo dolore per avere fame.
La fame non mi ucciderà, i loro colpi con quel ferro appuntito sì. Lo appoggiano davanti a questa cella, davanti a me, per dirmi che l'ultima che mi sferreranno non sarà davvero l'ultima.
Il suo ghigno, quel ghigno che avevo conosciuto anni e anni fa, quello è il biglietto da visita della morte.
Non ho speranza, la speranza è per chi crede che finirà; dopo 20 colpi con il piede di porco, 11 calci al ventre e 8 schiaffi sul volto, bramo solo quella luce. Quella che tutti dicono si veda quando si sta per attraversare l'altra parte.
E se sopravvivessi? Non sarebbe più vivere, non dopo aver combattuto una vita contro questo e venire annientata proprio da ciò contro cui ho combattuto.
Prometti di prenderti cura di lui?
Shailene mi torna alla mente come un altro calcio allo stomaco.
Non ha mai avuto bisogno di me, forse io di lui.
Una lacrima mi brucia sulla ferita allo zigomo. Sento ogni fibra friggere a contatto con la goccia.
Puoi piangere ora Angelica, ora puoi lasciarti andare al dolore.

«Angelica.» grida qualcuno.
Di nuovo loro...
«Angelica.» grida la voce avvicinandosi sempre di più.
Mi stringo alle ginocchia, pur sapendo che questo gesto non fermerà la loro crudeltà, pur sapendo che mi picchieranno alle braccia, alla schiena e se necessario al capo.
«Ang.» sussurra la stessa voce fuori dal cancello.

Alzo piano il capo riconoscendo la voce.
«Angelica.» ripete ricordandomi quel suo modo unico di pronunciare il mio nome.

Incontro i suoi occhi color avio, insolitamente più grigi. Inginocchiato allunga una mano verso di me.
Eccola, la speranza.
Ho bisogno di te.
Il dolore scompare, sento una voragine aprirsi sul mio petto.
Le lacrime pizzicano gli occhi.
«Ash.» bisbiglio prima di svenire.

1 anno e 11 mesi prima
Poggiai la valigia a terra.
«Angelica!» gridò mia madre correndo verso di me.
«Maman.» l'accolsi fra le mie braccia.
«Finalmente.» sospirò.
Affondai il viso nel suo velo. Ero già tornata a casa per le feste, ma l'idea che finalmente sarei tornata per restare aveva un altro sapore. Persino l'odore della mamma sembrava diverso, più dolce.
Perché sono tornata?
Mi chiedevo continuamente.
«Angelica.» sorrise il giovane Adham. Stava crescendo a vista d'occhio, aveva appena messo piede nell'adolescenza e le sopracciglia sembravano farsi sempre più scure, proprio come quelle di papà. Anche la voce stava cambiando e come era accaduto con gli Harrison, inizialmente mi fece strano, ma sentirlo ogni sera via Skype era stato d'aiuto per l'abitudine.

«Ya bi» mi attirò a sé papà. «Ora sei un'avvocato.»
«Papà, mi sono appena laureata, è ancora lunga la strada per essere avvocato.» sorrisi.
«Ti sei laureata nell'università più importante al mondo.» fece una smorfia di orgoglio.
«Sì e non è stato semplice.» sorrisi.

Il Vermont era come l'avevo lasciato: freddo, con tanti aceri e persone composte in ogni dove. Mi era mancato, aveva il suo fascino quel luogo, se pur a primo impatto potesse non conferire calore, io sapevo invece quanto mi sarei sentita a casa.
Salimmo in auto. Non sapevo ancora dove avrei cercato di farmi strada, ma sentivo che quello non era il momento di pensarci, avevo bisogno di passare del tempo con la mia famiglia, di godermi quei giorni dopo tanto tempo.

Unconditionally mine || Saga HarrisonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora