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Asher

Scrutai attentamente la massa informe di persone radunate in modo irregolare davanti al municipio.
Lei non c'è. Mi dicevo e lo sapevo, non avevo bisogno di arrivare fino a lì per sapere che lei fosse ad Harvard. Eppure ogni volta ci andavo e andavo anche alle conferenze delle Femministe dei Bassi fondi almeno una volta al mese. Non era la coscienza a portarmi lì, tanto meno il cuore, era la fottuta speranza. Quella lurida presenza costante nel mio petto, che alimentava un sentimento inutile, perché lei aveva scelto Harvard e conoscendola, sapevo anche che non sarebbe tornato indietro per quel ragazzino di cui si era presa cura. La speranza, però, se ne fregava di quello che io sapevo, la speranza mi portava lì e mi obbligava a starmene per minuti e minuti a scrutare le ragazze presenti, nel vano tentativo di individuare i suoi soffici e regolari ricci scuri. E come se fosse il peggior carnefice, non si limitava a questo. La speranza si prendeva le mie notti calme e riportava a galla i ricordi, torturandomi con l'immagine fissa del suo polso sotto il mio palmo, dei suoi occhi apparentemente scuri, ma che, se osservati attentamente, avevano dei riflessi dorati e solo una donna come lei, avrebbe potuto indossare quell'oro con tanta disinvoltura.
La speranza mi stava uccidendo silenziosamente e io per un po' la lasciai fare. Si sbarazzava di qualsiasi cosa avessi attorno, per torturarmi meglio.

Tornai a casa e quando parcheggiai la macchina vidi Megan avvicinarsi a me.
«Ciao» mi regalò un delicato sorriso.
«Ciao.» la salutai freddo. Mi sentivo profondamente in colpa a trattarla in quel modo, ma non riuscivo a farne a meno, avevo bisogno di allontanarla da me, avevo bisogno che lei non ostacolasse il lavoro che la speranza stava facendo.

«Facciamo qualcosa stasera?» mi chiese.
Stavamo insieme da quando avevamo quindici anni. Quel giorno era il nostro anniversario, ma ormai non tenevo più il conto, non m'importava. Da quando Angelica se ne era andata, le cose fra noi erano precipitate e non mi ero nemmeno impegnato perché non accadesse.

«Io...» lanciai un'occhiata alla casa.
«Se hai da fare, non importa.» disse facendomi cogliere la sua speranza.
«Senti Megan» mi schiarii la voce «Non ha più senso.»
Lei trattenne visibilmente il fiato.
«Perché?» chiese flebilmente.
«Perché non vanno più da un po' le cose fra noi...» risposi facendo spallucce «...e poi io andrà al college.»
«No, Asher, perché ci hai messo così tanto?» si corresse.
Deglutii e distolsi lo sguardo. Non potevo dirle che ero appena tornato dall'ennesima protesta consumato dalla speranza, non potevo dirle che ormai da anni pensavo solo ad Angelica. Ero stato fin troppo egoista e potevo risparmiarle un po' di dolore.

«Non volevo che finisse.» dissi.
«Non è vero, Asher, non è vero» scosse il capo «Hai lasciato che le cose precipitassero, lo volevi eccome.»
Sì, lo volevo.
«Nemmeno tu hai fatto un gran che.» dissi sulla difensiva.
«Mentre tu avevi i pensieri rivolti ad un'altra, cosa avrei dovuto fare?» chiese con le lacrime agli occhi.
Mi sentii in trappola, come se avesse scoperto le mie carte.
«Pensi davvero che non me ne fossi resa conto? Ho notato fin dal primo istante come la guardavi, un modo che con me non avevi avuto» tirò su con il naso «E non c'è nulla di male, perché ai sentimenti non si comanda, ma avresti dovuto lasciarmi prima.»

«Perché non mi hai lasciato tu?» chiesi severamente.
«Perché io ti amavo e ti amo ancora, Asher. Quando lei è andata ad Harvard, ho visto la possibilità di avere un nuovo inizio con te, ma nemmeno tu eri qui. Non presti mai attenzione a me, non hai nemmeno tentato di nascondere la tua distrazione.»
La sofferenza le dipingeva gli occhi di scuro e mi sentii in colpa. Non volevo ferirla, non appositamente. Avevo provato davvero qualcosa per lei. Era stata la mia prima confidente, la mia prima cotta e la mia prima volta. E avevamo passato dei bei momenti, ma per quanti questi potessero essere, non erano tanto intensi quanto quei pochi istanti che avevo vissuto con Ang.

«Mi dispiace.» dissi.
«Ti dispiace...» sorrise con amarezza guardando il cielo «...tu l'hai voluto.»
«Megan io ho provato qualcosa per te, non è stato una menzogna.» dissi con le mani in tasca.
«Ma non è stato niente in confronto a ciò che provi per lei, giusto?» disse.
«Perché devi fare un confronto? Sono due cose diverse.»
«Lo sono? O semplicemente vuoi scappare dal tuo stesso senso di colpa?»
«Non fare così, Megan» replicai in tono di minaccia.
«Ti sto solo dicendo una verità, a quanto pare scomoda.» fece un gesto con la mano. Il trucco le stava colando sulle guance, segnandole di nero. E quello era solo l'inchiostro che stava scrivendo sul suo volto il dolore che le stavo causando. Come se non fosse abbastanza, iniziò a piovere.
«Non possiamo finirla così...» dissi pensieroso.
«E come dovremmo finirla Asher? Con un sorriso sulle labbra?!» fece una smorfia «Non ti dirò di essere felice, perché non lo sei se non c'è lei e sarei un'ipocrita se ora ti dicessi di esserlo con lei, perché sono invidiosa e lo sono sempre stata.»
«Mi dispiace davvero...» dissi di nuovo.
«Non hai altro da dire.» constatò con un sorriso spento.
Abbassai lo sguardo e tacqui. Non avevo altro da dire, infondo quella parte egoista di me era felice di quello che stava accadendo.

«Bene, addio Asher.» attese solo un'istante prima di andarsene, forse nella speranza che io facessi qualcosa. Sapevo bene cosa desiderasse, ci ero passato con Angelica.

Entrai in casa evitando Jake e Aron seduti sul divano impegnati in una partita alla play. Ero sempre con loro, sia quando lavoravamo che quando ero a casa. C'erano delle volte, però, che non li sopportavo, Aron e Jake erano sempre così maledettamente di buon umore anche quando stavamo per catturare qualcuno. Jason e Josh amavano quel lavoro, avevano trovato il loro habitat naturale, gli intrighi, gli inganni e le strategie facevano per loro. E Aidan l'aveva accettato solo ed esclusivamente per catturare l'assassino della mamma, mosso dalla ripicca.
Avevo l'impressione che avessero dimenticato il dolore del passato, io, invece, a volte, mi ci crogiolavo, me ne stavo seduto davanti alla finestra concentrandomi su quella sensazione opprimente al petto. Mi lasciavo trascinare giù. Mi sembrava fosse l'unica cosa che mi legasse ancora a lei.
Poggiai il telefono sulla scrivania e riconobbi la lettera.
Harvard.
Da quando Aidan ci aveva chiesto di far parte della sua squadra come cacciatori di taglie Harvard era passata in secondo piano. Ero entrato e il me di dodici anni, aprendo quella lettera avrebbe fatto salti di gioia. Ma il me di diciotto, aveva messo da parte l'ambizione e stava concentrando le sue energie nella caccia al colpevole. Non ero più convinto di voler diventare un medico e non perché ci avessi ripensato, ma solo perché avevo trovato qualcosa che teneva acceso un sentimento letale: la vendetta.

Sospirai pesantemente e mi cambiai per andare in ufficio.

Quella sera, al quartier generale, me ne stavo ormai da due ore seduto alla mia scrivania, davanti al grande computer fissando un punto indefinito. Aidan mi aveva chiesto di segnare sulla mappa digitale tutte le entrate e le uscite di un edificio in cui stavamo pianificando di catturare un farabutto di New York. Io, però, non riuscivo proprio a concentrarmi. Avevo il cellulare fra le mani, sbloccandolo compariva la schermata del messaggio con su scritto solo il destinatario: Angelica.

Avevo la voglia impellente di dirle che mi mancava, come se aver lasciato Megan fosse stato un via libera. In realtà mi resi conto che Megan non centrava nulla, anzi lei non era mai stata un vero e proprio ostacolo per i miei sentimenti nei confronti di Angelica. La verità era che una parte di me era arrabbiata con lei. Se ne era andata senza salutarmi e non era più tornata a trovarci, quando la speranza aveva tenuto i miei sentimenti vivi per due interi anni.
Probabilmente se ne fregava di me, di quel ragazzino con una cotta per lei.

Chiusi il messaggio e poggiai il telefono. Quello fu il momento in cui decisi di permettere alla rabbia e al risentimento, di prendersi il posto della speranza.
Ero stanco di farmi torturare da quel sentimento, perciò mi nutrii di rancore nei suoi confronti. Funzionò, almeno fino a quando non incontrai di nuovo i suoi occhi.

Unconditionally mine || Saga HarrisonWhere stories live. Discover now