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Varcammo il cancello di casa Harrison. Rabbrividii, mi sembrava di non essere affatto a casa loro. Non c'erano le solite persone del nostro liceo a quella festa. La folla era molta di più rispetto a quella che vi era solitamente e quello che mi fece sentire indifesa, erano le persone più grandi di me. Quando organizzavano una festa e partecipavano quelli del nostro liceo, facevo parte della schiera dei più grandi, era come se mi sentissi al sicuro. Vidi Guz chiacchierare con una ragazza dal viso familiare.
«Guz.» gridai sopra la musica.
Lui si voltò verso di me.
«Angelica sei troppo piccola per stare qui.» disse con un sorriso vacuo e lascivo.
«Che cos'è questa festa?» chiesi ignorando le sue parole.
«L'ha organizzata Aidan.» disse.
Guardai un'ultima volta la ragazza dai capelli scuri e la riconobbi. Era Catherine, una ex cheerleader della mia scuola, frequentava gli stessi corsi di Aidan. Forse avevano organizzato una festa di bentornato.
Percorsi la veranda per entrare in casa. Feci una smorfia disgustata quando vidi che le feste degli Harrison potevano essere molto più squallide di quelle che erano state fino a quel momento.
C'erano due spogliarelliste appostate su un cubo ai lati del salone. Tanti, tantissimi, ragazzi che esultavano e le osservavano. Nei tavolinetti dei divani, che questa volta non erano stati spostati, vi era della droga, probabilmente fornita da Guz.
Nella calca riuscii a riconoscere Aron seduto sul divano con una ragazza avvinghiata su lui, che aveva attaccato le sue labbra con fare da polipo. Scossi la testa destabilizzata e mi diressi al piano superiore alla ricerca di Jas.
Per fortuna il rumore della musica era più basso, ma ciò che sentii al suo posto fu a dir poco disgustoso. Passando davanti ad ogni porta delle camere arrivavano grida, che identificai come indecenti orgasmi. Percorsi tutto il corridoio con una nauseante sensazione.
La porta dell'ufficio di Klark era aperta. Per un attimo mi tornarono in mente tutti i momenti nei quali alle feste lui se ne stava lì seduto con la mente da tutt'altra parte.
Quando passai davanti a questa, notai Josh seduto sulla poltrona del padre.
«Ehi, Josh, sapresti dirmi dov'è Jas?» chiesi confusa.
«Ang, gentilmente vattene.» disse lui in difficoltà.
«Voglio solo sapere dov'è Jas, nient'altro.» corrucciai la fronte offesa.
«Angelica.» ringhiò fra i denti.
Portò una mano sotto la scrivania e appoggiò la testa allo schienale della poltrona. Strizzò gli occhi e uno strano rumore gutturale tralasciò le sue labbra.
Spalancai gli occhi quando mi accorsi che sotto il tavolo c'era una ragazza in ginocchio.
Afferrai di scatto la maniglia della porta e la chiusi.
A quel punto non sapevo se andarmene o continuare a cercare Jas. Strinsi gli occhi in due fessurine quando accanto alla porta della camera del mio migliore amico, vi era appoggiata Megan e davanti a lei, a pochi centimetri dal suo viso, Asher.
Strinsi i pugni e deglutii. Mi ripetei di reprimere con tutta me stessa quella sensazione che mi faceva bruciare lo stomaco.
Continui dritta per la mia strada. Era già accaduto, ma questa volta bruciava ancora di più, questa volta faceva molto male.
Asher, perché lei?
Gridai dentro di me, mentre la sua mano stringeva il suo fianco e i suoi occhi color avio privilegiavano la fidanzata con cui ormai stava da mesi.
Quella parte di me che nello sgabuzzino del bidello l'avrebbe baciato, sperava egoisticamente che lui la lasciasse per me. Ma come potevo avere questa contorta speranza se ero stata io ad allontanarlo, se ero stata io a dirgli che non potevamo?
Strinsi ancora di più il pugno della mano destra quando passai accanto a loro. Strinsi così tanto che potevo percepire la carne del mio palmo sotto le unghie.
Bussai forte alla porta affianco a loro, mettendomi di spalle.
«Jas!» gridai «Sono Angelica.»
Non avvertii alcuna risposta.
«Ciao Ang.» Asher mi salutò.
Fui così costretta a voltarmi verso l'adorabile coppietta e ad abbozzare un sorriso forzato.
«Ciao, ragazzi» dissi volgendo gli occhi solo su Megan. Dovevo impedire che quella strana sensazione venisse colta da Ash. «Sapete per caso dov'è Jason?»
«Dovrebbe essere al piano superiore, in terrazza.» rispose lui. Io, come una persona affetta da cecità continuai a guardare un punto affatto corrispondente ai suoi occhi.
Annuii e mi voltai di scatto per salire al piano superiore.
Non potevo comportarmi così, dovevo trovare un modo per risolvere quel bruciore, per risolvere la cotta che avevo per quel meraviglioso quindicenne che si era offerto di accompagnarmi al colloquio di Harvard.
La porta-finestra della terrazza era aperta, nonostante questo, esitati, mi concentrai prima sui rumori poi controllai. Le esperienze pregresse mi avevano insegnato che buttarsi a capofitto non era una buona idea. Quando sentii solo dei brusii provenire da un angolo, misi un piede fuori e in quell'angolo vidi Tariq e Jas appoggiati alla ringhiera, con i visi molto vicini.
«Posso unirmi o state per baciarvi?» chiesi indispettita.
Mi feriva un po' che Jason continuasse a flirtare con lui nonostante mi avesse chiamata Sporca Americana, però, dall'altro lato non potevo pretendere che scegliesse i suoi partner in base alle mie antipatie.
«Ehi, Ang.» si grattò il capo Jas.
«E così prima lo pesti di botte e poi cerchi portartelo a letto.» feci schioccare la lingua.
«Angi cara, avevamo fatto un patto noi due.» sorrise furbamente Tariq.
«Non sto parlando con te.» sbuffai.
«Senti Ang, l'ho chiamata solo per sistemare il battibecco che avevamo avuto su di te.»
«Mi ha detto che sono settimane che vi frequentate.»
Lui lanciò un'occhiataccia a Tariq.
«Jason, cosa ti succede?» chiesi con sgomento. «Non ti riconosco più, insomma io sono la tua migliore amica, non ti ho mai giudicato e ti ho sempre sostenuto nelle scelte che hai fatto. Perché ora all'improvviso hai smesso di parlarmi?»
«Ang io...» tentò di dire in difficoltà. Aspettai, perché ero sempre stata dell'idea che saper ascoltare significava avere pazienza.
Invece, tacque.
Sentii una lama falciarmi il petto.
«Jason Harrison quando sarai pronto a parlare io sarò pronta ad ascoltarti, ma fino a quel momento non pretendere che io ti sia amica.» dissi con le lacrime agli occhi.
Jason era l'unica persona che sapeva tirarmi su il morale, l'unico che riusciva a capirmi con un solo sguardo. Lo consideravo mio fratello, qualcuno che aveva persino un valore maggiore rispetto ad un ipotetico fidanzato, perché sarebbe stato quella persona che non se ne sarebbe mai andata dalla mia vita, quella persona che ti rimane accanto anche quando non sei nello stesso luogo.
Ripercorsi il corridoio e tenni il capo abbassato.
Probabilmente vedere Asher avvinghiato alla sua ragazza mi avrebbe mandato fuori di senno.
Mentre me ne andavo mi resi conto che non erano più lì. Probabilmente sono andati in camera. Pensò quella parte contorta ed egoista di me.
Scossi il capo per scacciare quel pensiero che era stato capace di provocarmi una terribile fitta alla ferita appena aperta.
Uscii dalla proprietà degli Harrison e come se avessi trattenuto il fiato mi piegai, appoggiandomi al muretto esterno della recinzione.
Piansi.
Era raro che lo facessi. Erano rare le cose che mi provocavano tanto dolore da farmi piangere. Non mi scoraggiavo facilmente. Ma quella sera mi sentivo persa. Non avevo più una comunità da chiamare famiglia d'origine, non avevo più un migliore amico e la persona di cui ero innamorata aveva scelto un'altra.
Più singhiozzavo e più il petto mi bruciava. Le parole nei confronti di Jas, le occhiatine disgustate delle persone della comunità e le sue mani su di lei...
Quei frammenti si univano a formare una lama, che stava tagliuzzando il mio cuore. Non era un taglio profondo, un taglio profondo sarebbe stato meglio, avrebbe posto fine a quell'agonia. Erano tanti piccoli taglietti brucianti e dolorosi.
Non riuscii ad alzarmi, sapevo bene che in quello stato non sarei nemmeno riuscita a fare cinque isolati a piedi, perciò stetti lì. Portando una mano sulla bocca per soffocare i singhiozzi, ogniqualvolta qualcuno usciva dal cancello per andarsene dalla festa.
Minuti e minuti di agonia. La frustrazione era violenta ed io odiavo qualsiasi cosa fosse violenta.
Mi rimproverai persino per aver permesso ai sentimenti di giocare un ruolo fondamentale in quel momento. Probabilmente se non avessi visto Asher e Megan sarei riuscita a tirarmi un po' su.

Il giorno successivo mi presentai a scuola con una felpa con il cappuccio, le cuffie e gli occhi ancora gonfi. Non avevo dormito e non avevo nemmeno fatto colazione. Ero scappata di casa prima che il papà e la mamma mi facessero delle domande. Avevo raggiunto la scuola prendendo un bus.
La notte non era stata affatto consigliera, la notte aveva portato ricordi su ricordi. La notte aveva aggiunto sofferenza alla sofferenza, facendo emergere il volto di Shailene e la promessa che le avevo fatto. Poi il viso di Asher, quegli occhi color avio che si colmavano di lacrime.
La notte mi avrebbe fatto implodere se la sveglia non avesse suonato.
«Ciao, Angelica, volevo chiederti come va con l'organizzazione del ballo.» una ragazza del consiglio si avvicinò a me.
Tenni la testa all'interno dell'armadietto, non avevo bisogno che la gente mi chiedesse che cosa fosse successo e mi dicesse: "Per qualsiasi cosa io ci sono."
Non volevo la loro compassione momentanea che il giorno dopo si sarebbe dissolta e saremmo tornati ad essere semplici sconosciuti.
«Bene, ce ne stiamo occupando io e Raya.» dissi evasiva.
«D'accordo, se avete bisogno di una mano...» si propose.
«Ti chiameremo.» la liquidai.
Lei se ne andò.
Jason apparve sul corridoio. Mi osservò con uno sguardo preoccupato, facendomi capire che voleva venirmi a parlare. Non glielo permisi, mi voltai procedendo verso la direzione opposta. Per quanto quel momento facesse male sapevo che prima o poi saremmo tornati ad essere amici. Eravamo sempre stati così legati, che non avremmo permesso che tutto andasse in frantumi per qualche incomprensione.
Dopo aver percorso alcuni metri vidi di nuovo la stessa scena della sera precedente. Era come se il destino o chi per lui mi stesse punendo per aver fatto di tutto per rifiutare quella cotta che avevo per Asher, perciò mi presentava come un promemoria ciò che mi aveva fatto male vedere.
Aveva gli occhi su di lei. E lei aveva le gote leggermente rosse.
Chissà cosa le starà sussurrando. Pensai.
Magari le stava dicendo quando per lui fosse importante, quanto fosse bella e che l'amava. Lo sguardo di lui l'accarezzava delicatamente, provocando in me un'ennesima coltellata.
Quello fu il momento nel quale capii che Asher Harrison si era preso il mio cuore. Un impertinente ragazzino di 15 anni, a cui piaceva comportarsi come un uomo già in carriera, aveva rubato il mio cuore silenziosamente.
Pensare questo mi fece sprofondare ancora di più nella sofferenza. Che cosa avevo di sbagliato? Perché di tutti gli Harrison, mi ero innamorata proprio del più piccolo?
Mi resi conto subito dopo che questo era ciò che accadeva ogni mattina, che Megan e lui se ne stavano ogni giorno alle 8 appoggiati all'armadietto di lei, a scambiare tenere effusioni.
Sta volta, come la sera prima, faceva davvero male.

La settimana si concluse in quel modo. Io e Jason non ci parlavamo più e quando mi sentii di nuovo in forze per risolvere, lui sembrava aver cambiato di nuovo atteggiamento. Tutti gli Harrison sembravano aver mutato atteggiamento. Era come se attorno a loro aleggiasse una nube nera. Avevo incontrato Josh, un pomeriggio, che usciva dallo Zero. Non mi aveva salutato, nonostante sapevo mi avesse visto. Aveva un atteggiamento insolitamente nero, con un solo sguardo avrebbe fatto fuori centinaia di persone. Mi accorsi persino che la loro forma fisica si stava trasformando. Jason non era mai stato un ragazzo muscoloso, eppure nell'ora di educazione fisica mi resi conto che le sue braccia erano più muscolose del solito. Nonostante questo, avevo sentito dire da alcune voci, che facevano ancora feste divertenti.
La maggior parte del tempo lo spendevo a riflettere su di loro.
E più mi concentravo, più mi convincevo che fosse per colpa del ritorno di Aidan.
Non ero più andata a studiare a casa loro, non potevo sapere come fossero gli animi, eppure sentivo che fosse così.
Più volte avevo avuto un impeto di ira che mi aveva fatta scattare in piedi e mi avrebbe persino portato a sfondare la porta di casa Harrison. Non volevo rinunciare a Jason e a quel punto non volevo rinunciare nemmeno ad Asher.

Aprii la casella di posta elettronica per controllare, come ormai facevo ogni giorno, se la mail di Harvard fosse arrivata. Non ci speravo più, sentivo che tutto quello che mi riguardava stava precipitando in un burrone e immancabilmente vi doveva cadere anche la possibilità di entrare nella migliore facoltà del mondo.
Quando finalmente comparvero l-email, notai la scritta "Harvard" lampeggiare.
Il cuore mi salì in gola.
Feci click e chiusi gli occhi.
Questo era il momento della verità, dovevo prepararmi alla concreta possibilità di andare a cercare lavoro, perciò cercai di autoconvincermi a non prenderla troppo male, dopo tutto la vita sarebbe continuata.
Sbirciai aprendo piano piano un occhio.
"Congratulazione, è stata ammessa alla facoltà di Harvard."

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Buon pomeriggio cari lettori!
Oggi sono riuscita a correggere tre capitoli! Spero che vi piacciano e perdonatemi per eventuali errori.
Prossimo aggiornamento —> giovedì!
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Unconditionally mine || Saga HarrisonWhere stories live. Discover now