• 18

10.6K 624 419
                                    

«Angelica.» il professore richiamò la mia attenzione.
«Sì?» alzai il capo annoiata.
«Ultimamente ho notate che partecipa poco.» constatò «Questo non mi consente di alzare il tuo voto finale.»
Feci un sorriso di circostanza.

«Non ho abbondanti argomentazioni sulla letteratura classica, potremmo invece affrontare qualcosa di più moderno per allargare i nostri orizzonti e prepararci ad affrontare i saggi che propongono al college.»
Incrociai le braccia al petto indispettita.
«Signorina Dalmar devo forse ricordarle che sono io il professore?»
«Lei mi sta chiedendo per quale motivo io non partecipo ed io le dico che fino a quando affronteremo la solita letteratura classica di suprematisti bianchi del '900 che raccontano la loro vita nei salottini dei ricchi, io non interverrò.» constatai.
Jas seduto accanto a me trattenne una risatina divertita, diceva che quando mostravo questo lato di me esprimevo tutta l'audacia che possedevo.
«Lei è molto maleducata e irrispettosa signorina, se non fossi così di buon umore oggi la porterei dal preside.» scosse la testa a braccia conserte.
«Pensi che anche io oggi sono di buon umore.» commentai con una smorfia. I miei compagni fecero una risatina.
In realtà non era così, non ero affatto di buon umore. Di notte, in preda agli incubi, mi svegliavo di soprassalto stringendo le lenzuola. Non soffrivo, il dolore era in stallo, come se lentamente e silenziosamente stesse mutando. Ero arrabbiata, mi svegliavo ogni giorno irritata e bastava un non nulla per farmi esplodere, non sapevo dove canalizzare la rabbia, perciò qualsiasi cosa era una valvola di sfogo.

«Si faccia un bel giro fuori dall'aula, magare le viene in mente di tornare a portare rispetto.» puntò un dito verso la porta.
Scattai in piedi ed uscii a testa alta. Non mi ero mai preoccupata dei miei voti finali e non lo facevo nemmeno in quel momento, con la concreta possibilità di poter entrare ad Harvard. Le mie battaglie personali andavano oltre qualsiasi tipo di percorso di vita io potessi scegliere e quella di Shailene era molto personale. Se non mi avessero preso ad Harvard e se avessi iniziato a lavorare in un fast-food, avrei portato comunque avanti con convinzione la mia lotta per il diritto di essere. Harvard era qualcosa in più, lo vedevo solo come quello mezzo che mi avrebbe potuto dare modo di combattere con armi più valide e potenti. Perché in questa società un titolo come la laurea ad Harvard avrebbe permesso di parlare a bassa voce e di essere ascoltato con molta più attenzione, rispetto ad un cassiere che gridando davanti al municipio sarebbe stato ignorato.

Improvvisamente qualcuno uscì dal bagno dei ragazzi.
Incrociai le braccia al petto e sorrisi. «Non dovresti essere in classe?!»
«Potrei dire la stessa cosa di te.» rispose asciutto.
«Tutto bene?» mi avvicinai a lui.
Tacque. Eppure, io sentii le sue parole infilarsi come lame nel mio petto.
No, non va bene.
Perché non va bene? Per colpa di ciò che ci ha detto Rosa? O forse per quello che non ti dico io?
«Papà questa mattina ha fatto la doccia ed è andato in ufficio.» disse con voce triste.
«È una bella notizia.» sorrisi un po'.
«Non lo so.» fece spallucce vago.
«Non sei felice che abbia deciso di riprendersi?» chiesi.
«Sì, lo sono, ma per il momento non è una mia priorità...» fece spallucce.
«Priorità?» aggrottai le sopracciglia confusa.
Lui annuì e mi guardò severamente, facendomi intendere che la priorità ero io.
Uno strano senso di nervosismo m'invase. Potei percepire il mio battito cardiaco aumentare ogni secondo un po' di più, sotto le sue iridi sincere.

«D'accordo, io torno in classe» schiarii la voce e mi voltai di scatto per andarmene, ma lui mi afferrò per il polso trascinandomi dalla parte opposta del corridoio.
«Ash...» dissi confusa «Che fai?»
Aprì la porta dello sgabuzzino del bidello trascinandomi dentro.
«Perché siamo qui?» bisbigliai confusa.
«Perché abbiamo una discussione in sospeso da troppo tempo.» affermò convinto.
«Una discussione in sospeso?» aggrottai le sopracciglia.
Sapevo bene a cosa si stesse riferendo, ma fare finta di non saperlo mi sembrava la via più semplice da percorrere per non dare modo ai miei sentimenti di emergere.
Lo sgabuzzino del bidello era stretto, c'erano scaffali impolverati e cianfrusaglie accatastate. L'unica luce presente proveniva da una vecchia lampadina che scendeva sopra le nostre teste. Se non fossimo usciti di lì, in pochi minuti avremmo finito l'ossigeno disponibile. O per lo meno, io avrei smesso di respirare per non avere più il suo profumo sotto il naso.
«Quella che abbiamo iniziato nell'aula di chimica.» disse.
Abbassai le spalle e sospirai pesantemente. Era intenzionato a parlarne davvero e avevo l'impressione che questa volta un "non posso" non l'avrebbe fermato.
«Credevo che invece si fosse chiusa lì.» replicai.
«Un "Non posso, mi dispiace" detto senza permettermi di ribattere ti sembra una discussione conclusa?»
«Magari non nel modo in cui piace a te, ma sì, era conclusa» annuii convinta «Dio, questo sgabuzzino è veramente un buco infernale.»
Ero agitata e oltre a girarmi e rigirarmi su me stessa, nel vano tentativo di non focalizzarmi sulla sua figura, avvertivo continue vampate di calore partirmi dal ventre e salire sul viso.
«Angelica.» mi richiamò con voce roca.

Unconditionally mine || Saga HarrisonWhere stories live. Discover now