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In posizione rigida con un fiore in mano circondavamo il municipio in silenzio. La polizia aveva fatto la sua comparsa minuti e minuti prima. Avevano già iniziato ad ammonirci, ci esortavano a lasciare libero il passaggio, ma noi non li ascoltavamo. Era solo l'inizio quello, se avessimo fatto ciò che volevano non avremmo ottenuto nulla, non avremmo vinto.

Un poliziotto bardato in divisa antisommossa si avvicinò all'organizzatrice della protesta.
«Signorina, questa è l'ultima volta che lo ripeto, dovete andarvene.» sancì.
«Non ce ne andremo.» rispose lei.
Un gruppo dietro di noi iniziò a gridare intonando cori ritmati per l'uguaglianza.
Noi restavamo in silenzio.
Con le mani a cucchiaio davanti al grembo.
Non ci stavano più ignorando, ora ci prendevano seriamente, quando solo pochi minuti prima, si erano fatti grasse risate sul nostro modo di protestare.
Gandhi lo diceva: "Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono, poi vinci."
Avremmo vinto quel giorno.

La polizia si preparò, sfilando minacciosamente dalla cintura il manganello ed i fumogeni per disperdere la folla.

Sentii Jason al mio fianco sussultare, ma io non mi mossi. Avremmo vinto.
Compatti, si avvicinarono a noi. Presero a spingere le ragazze di fronte a me.
«Andiamo.» Jason mi afferrò per il braccio cercando di trascinarmi via di lì.
«No, non daremo loro questa soddisfazione.» ringhiai rigida.
«Ang, ti prego, fanno sul serio e potresti farti male, non voglio che tuo padre ce l'abbia ancora di più con me.» disse come una supplica.
Volsi lo sguardo in sua direzione.
«Ma così...» iniziai.
«Non posso permettere che ti facciano del male.» disse con una strana e cupa nube negli occhi.

La promessa che avevo fatto a Shailene risuonò con prepotenza nella mia mente.
Annuii e mi lasciai trascinare dietro un angolo.
Quel giorno avremmo vinto, se non avessi dato ascolto al mio cuore.
E così ebbe inizio l'eterna battaglia fra i miei ideali ed i miei sentimenti.

Alcuni minuti dopo tornammo a casa.
Quando entrammo, Asher era seduto al tavolo immerso in un libro. Gli lanciai una fugace occhiata, prima che Jas potesse vedermi, prima che Ash potesse accorgersi della mia attenzione su di lui.

Non facevo altro che pensare alle parole di Jason, cercai il modo di capire, ma alla fine mi convincevo che era stata solo una supposizione fondata sul nulla, non riuscivo ad abituarmi alla versione cresciuta di Ash, tutto qui.

«Ciao, Angelica» disse lui con gli occhi sul libro.
Il cuore galoppò nel petto, come se non aspettassi altro, come se il mio corpo si fosse fissato su quel punto proprio per attirare la sua attenzione.
Schiarii la voce.

«Ciao, Asher» risposi con tono serio.
«Come è andata l'inutile protesta?» chiese.
«Inutile?» ripetei con sgomento e sorpresa.
Lui alzò il capo dal libro con sufficienza, poi annuì.
«Non ho partecipato a nessuna protesta inutile, solo ad una utile.» incrociai le braccia al petto.
«Le proteste di per sé sono inutili.» asserì cinico.
«Hai mai partecipato ad una protesta?» domandai.
«Non ho bisogno di farlo per definirle inutili.»
«Sai chi parla così? Solo chi non ha mai provato a farne una.» dissi con convinzione.
«D'accordo sai che vi dico? Io vado di sopra.» s'intromise Jas.

Lanciai occhiatine fulminee ad Ash, ignorando il mio migliore amico.
«Se davvero fossero utili oggi ci dovrebbe già essere uguaglianza.» constatò.
«Ma tu che ne sai hai solo 15 anni...» sbuffai avviandomi al piano superiore.
«Tu ne hai 18 e sogni come un bambino di 11, quindi...» disse lui.

Mi bloccai, quelle parole avevano un gusto amaro, spiacevole, perciò mi voltai con la voglia impellente di rimetterlo al suo posto.
«Senti piccoletto, forse dovresti tenere a bada la tua lingua almeno fino a quando non avrai un'età tale da sembrare convincente» l'ammonì.

Unconditionally mine || Saga HarrisonWhere stories live. Discover now