19. ALLA STAZIONE DI POLIZIA

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Non ci fu verso. Quando i due poliziotti notarono la nostra mancanza di documenti di identità, ci caricarono nella loro auto per portarci alla stazione di polizia più vicina. Avevamo lasciato tutti i nostri documenti all'ostello ed eravamo scesi in strada solo coi telefoni, e per quello i due uomini in divisa insisterono nel portarci con loro visto che erano le tre e mezzo del mattino e si accorsero della mia giovanissima età. Fortuna che masticavo qualche parola d'inglese, altrimenti eravamo fritti visto che Riva non sapeva neanche dire un semplice "hello". E a nulla valse il mio tentativo di spiegar loro che dovevamo rientrare in ostello perché alle sei in punto dovevamo trovarci in aeroporto per l'imbarco. Sarebbe stato un pasticcio, me lo sentivo. Soprattutto quando erano le quattro ed eravamo appena arrivati allo stazionamento.

«Questa è stata la tua stupidissima idea!!! Sapevo di non doverti dar retta!» sbottai al mio vicino di sedile.

«Questi sbirri del cavolo» brontolò lui.

«Tra due ore dovremmo essere in aeroporto e tra un po' gli altri si sveglieranno e noteranno la mia assenza!» gli feci notare.

«E la mia» disse ovvio.

«La tua non è importante, ma la mia sì!».

«Riecco Miss Valente» roteò gli occhi.

«Oddio, se papà lo viene a sapere sono fritta...» mi lamentai mettendomi le mani in faccia.

«E Gloria non deve saperlo altrimenti la metto in pericolo...».

Quando scendemmo dall'auto ci portarono in uno stanzino dove un poliziotto ci raggiunse con aria sospetta. Deglutii cercando di mantenere la calma e non farmi prendere dall'ansia altrimenti avrei avuto bisogno dell'inalatore che non avevo in quel momento.

«Che ci fate di notte per strada?» chiese il tizio in inglese. Vista la faccia perplessa di Riva decisi di rispondere.

«Ehm... stavamo facendo un giro...» gli sorrisi nervosa.

«Perché non avete i documenti?».

«Li abbiamo lasciati all'ostello in cui alloggiamo. Per favore, signor poliziotto, abbiamo un aereo da prendere alle otto e dovremmo essere in aeroporto per le sei» lo implorai.

«Quanti anni hai, ragazzina?» chiese di punto in bianco.

«Uhm... sedici».

«E il tuo ragazzo?» indicò Riva. Cosa?! Il mio ragazzo un cavolo!

«Non è il mio ragazzo. Lui ne ha venti» risposi.

«I colleghi mi hanno detto che ti stava addosso. Ti ha assalita senza che tu lo volessi?» chiese sospettoso stringendo gli occhi. Eh?! Ma che cavolo...?!

«Ehm... no, signore... uhm... lui mi ha... insomma... uhm...». Cosa dovevo dirgli?!

«Non aver paura di rispondere. Tu sei molto piccola, e lui poteva provare ad adescarti nel cuore della notte. Non sarebbe la prima volta» disse. Oh oh, le cose stanno andando male...

«No, signor poliziotto... uhm... cosa dice, ahah... lui è un mio amico, ahah... andiamo a scuola insieme! Come può pensare a qualcosa del genere, ahah!» andai in modalità panico. Si sarebbero complicate le cose per Riva se il poliziotto avesse pensato a qualcosa del genere.

«Sta tranquilla, ragazzina. Ora sei al sicuro. Provvederemo noi a trattenere il giovane qui per la tua sicurezza. Dai tuoi gesti capisco che stai provando a chiedere aiuto. Sei fortunata che vi abbiamo trovato e che lui non capisca questa lingua» disse facendomi raggelare. Cosa?! Crede che io mi stia inventando tutto per fargli capire che Riva è un malintenzionato?! Oh no, no, no!!!

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