Correre o fuggire?

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Molly

Correre o fuggire?
Quando corri, hai una meta precisa in cui poterti rifugiare. Non vuoi realmente scappare, cerchi soltanto di schiarirti le idee.
Eppure speri che qualcuno ti insegua per aiutarti, per darti sostegno o per riportarti indietro.
Quando fuggi, invece, vuoi allontanarti dal luogo che ti ha recato dolore. Non importa dove finirai, se ti troverai meglio oppure no, sai che non vuoi provare più quei sentimenti. Semplicemente sei spaesata e hai paura, quindi reagisci come meglio credi.
Io ho scelto di fuggire.

Perciò fuggo il più lontano possibile, credendo di potermi lasciare indietro tutti i problemi.
Purtroppo le parole di Alejandro mi tornano in mente, facendomi piangere ancora di più.
È soltanto una ragazzina problematica, alla quale è morta la madre per qualche stupido e insignificante motivo.

Entro in una classe completamente vuota, spingo la maniglia e spalanco la porta.
L'unico rumore viene prodotto dallo sbattere della porta in legno.
Mi guardo intorno, riconosco una lavagna attaccata alla parete, una cattedra impolverita e una ventina di banchi.
Sento la schiena posarsi contro la superficie solida della porta, piano piano scivolo giù, fino a sedermi sul pavimento.
Porto le ginocchia al petto, le abbraccio e ci poso sopra il mento.
Sento le lacrime aumentare, sembra che creino dei solchi indelebili.

Mi sento come un mare impetuoso, le sue onde sono pronte a far affondare la prossima nave.
Un giorno, un marinaio si imbatte in una tempesta pericolosa ma decide di affrontarla, e ne esce vittorioso.
Il mare, sorpreso, placa la sua furia e mostra un bellissimo paesaggio marino.
All'inizio il marinaio è sorpreso, e pensa di tenere questo segreto per sé.
Poi i suoi colleghi lo convincono a rivelare tutto e, volendo vedere anche loro questa magia, salpano sulle proprie navi per dirigersi nel luogo indicato.
Sentendosi tradito, il mare decide di invocare una bufera violenta, riuscendo ad allontanare i marinai.
Io sono il mare ed Alejandro è il marinaio.

Il mio corpo è scosso da continui singhiozzi, le mani tremano e sono in preda al panico.
Vorrei urlare tutto il mio rancore verso Alejandro ma, infondo, la vocina nella mia testa dice che non è tutta colpa sua.
E forse questa volta ha ragione.
Sono stata io a rivelargli la parte debole del mio essere, ho deciso io di fidarmi di lui.
Alejandro ha soltanto riversato il suo disprezzo che aveva nei mie confronti contro un suo amico, e io ho reagito fuggendo.

Sento dei passi avvicinarsi, d'istinto sollevo la testa e mi preparo a sentire la sua voce.

"Molly, s-sei qui dentro?" Chiede incerto.

Non rispondo, sperando che se ne vada ma per qualche motivo non lo fa.
Riprova.
Ha sempre avuto il vizio di non darsi per vinto.
Questa volta bussa.

"Molly?" Silenzio.

"Avanti aprimi, so che sei qui dentro" Insiste ancora, la sua voce ha una punta di disperazione.

"Non voglio vederti" Sono le parole che riesco a pronunciare.

"Mi dispiace" Sento qualcosa appoggiarsi contro l'altro lato della porta. O qualcuno.

"Vattene..." È poco più di un sussurro, che però Alejandro riesce a sentire perché replica così.

"Non andrò da nessuna parte. Starò seduto qui finché non uscirai da quella classe" Il suo tono di voce è serio e sicuro di sé.

Rimaniamo in silenzio per un po'.
Mi sento soffocare, vorrei uscire da qui ma so che, se lo farò, dovrò affrontarlo di persona.
Preferisco rimanere dove sono, in questo modo sembra che il problema non esista.

"È colpa mia" Ammette lui.

Annuisco, anche se non può vedermi.
Vorrei poter replicare, tuttavia in questo momento sono troppo vulnerabile, potrei dire qualcosa di cui mi pentirò.
Decido di tacere.

"Hai tutte le ragioni per essere arrabbiata con me, non te ne faccio una colpa. Però permettimi di spiegare" Sembra che mi stia supplicando.

E se dicesse sul serio?
Se avessi frainteso la situazione?
No, no, no.
Non dargli un'altra possibilità Molly.
Ti sta prendendo in giro.
Farà come l'ultima volta.
Non ti fidare.

"Sta zitta" Sussurro alla vocina nella mia testa. Ormai è da anni che ci convivo, non perde mai tempo a ricordarmi tutti gli errori che ho commesso.

"Come faccio a sapere che non mi mentirai?" Ora sono arrabbiata. Con lui, con me stessa, con tutti.

Sento un sospiro provenire dall'altro lato della porta.
Poi una risata.
È roca e non sembra per nulla divertita.
Gli sto per chiedere perché ride quando mi precede.

"Parli proprio come mia madre" Immagino che, in questo momento, abbia un sorriso triste.

Non avevo mai pensato a sua madre.
Effettivamente non l'ho mai vista.
Una volta Greta mi ha mostrato una foto di Alejandro e suo padre, vestiti in nero, nessuno dei due sorrideva.
Mi ricordo di aver pensato che si assomigliassero molto, sia nella statura che nel modo di atteggiarsi.
Entrambi con due lastre di ghiaccio al posto degli occhi.

"Cosa intendi?" Mi riscuoto dai miei pensieri.

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Secondi di silenzio poi...

"Quando ero piccolo, mia madre poneva la stessa domanda a mio padre" Abbassò leggermente il tono di voce, tanto che devo avvicinarmi di più alla porta per sentirlo meglio.

"Ogni giorno aspettava che lui tornasse a casa da lavoro e, quando arrivava, iniziavano a litigare. Lei sosteneva che l'avesse tradita e come risposta, lui le urlava contro, smentendo le sue teorie" Un'altra risata amara.

Di colpo qualcosa mi stringe lo stomaco, facendomi provare una sensazione di vuoto assoluto.
È come se avessi paura di sapere il continuo di questa storia.

"Una sera, sentendo le loro urla, decisi di andare a controllare. Scesi frettolosamente le scale e quello che vidi mi fece tremare perfino le ossa" Capisco quanto dev'essere difficile parlarne.

"Vidi mia madre, la donna che più ho amato nella mia vita, stesa sul pavimento mentre lui aveva in mano una bottiglia, pronto a spaccargliela in testa. Ricordo di essere stato impotente, mi sentivo inutile. Quando mio padre mi vide, lasciò cadere la bottiglia, che si frantumò a terra"

"Come se niente fosse, andò in salotto e accese la televisione. Io mi precipitai da mia madre per assicurarmi che stesse bene, eppure lei mi spinse via dicendomi di tornare in camera" Ora la sua voce trema. Sta piangendo.

"Ero soltanto un bambino" La sua testa sbatte contro la porta, non troppo forte ma il necessario per farmi allontanare.

Con queste parole il mio cuore si frantumò in mille pezzi, inzio a piangere a dirotto.
Mi devo correggere, lui e suo padre non sono uguali.
Per quanto odi Alejandro, sono sicura che non sia un tipo violento.
Non farebbe mai del male alla ragazza che ama.
Non farebbe mai del male ai suoi amici.
Non farebbe mai del male a me.

"Alejandro..." Cerco di dire. Vorrei rassicurarlo, dirgli che non è come suo padre ma non ci riesco. E detesto non esserne in grado.

"Non sono venuto qui per ricevere la tua pietà" Sembra furioso, però sento una leggera punta di rimorso.

"Mi dispiace per come mi sono comportato, non volevo dire quelle cose orrende. Tu non sei una ragazzina problematica e sono stato uno stupido a sopravvalutare la morte di tua madre" Lo sento staccarsi dalla porta e alzarsi.

"Spero tu possa perdonarmi" E, prima che mi dia la possibilità di rispondere, sento i suoi passi farsi sempre più lontani.

Mi alzo anch'io da terra, apro la porta e vedo la sua sagoma allontanarsi.
Ha le mani nelle tasche dei pantaloni.
Siamo solo noi due nel corridoio.

"Alejandro!" Lo richiamo.

Si gira appena, mi guarda con la coda dell'occhio.

"Ti perdono" Lo fisso.

Alza di scatto la testa, si gira completamente verso di me, nei suoi occhi appare una strana scintilla.
Mi rivolge un sorriso grato, come se non si aspettasse di ricevere il mio perdono.
Restiamo a guardarci per un po', finché non interrompe il contatto visivo e si avvia verso l'uscita.

la Reina de la NocheDär berättelser lever. Upptäck nu