Quindicesima tappa

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Il viaggio stavolta fu piuttosto lungo e si portò via ben due ore. Arrivarono  verso le cinque del pomeriggio, quando il cielo già si macchiava di rosso. E la stazione, stavolta, era nel bel mezzo del nulla, costruita sulla cima di un massiccio sperone roccioso, al fianco di uno dei Monti. Molti turisti usavano fiondarsi in quel posto, perché, vista la mirabile altitudine, quella era la stazione migliore per scendere con la teleferica. E i tre viandanti avrebbero usato proprio quella per venire giù al capoluogo.
Quel giorno soffiava un vento debole, minaccia trascurabile per i tanti spericolati che erano giunti lì.

Quindi si imbracarono, si agganciarono, e si lanciarono giù, a velocità folli, con l'incessante paura di cadere. Ma no, ma quale paura? In viaggio non si può avere paura. Sotto i raggi del Sole la paura può solo indebolirsi, precipitare giù, tra pini e rocce.
E in volo non sentivano nulla. Solo il vento che bisbigliava loro nelle orecchie. E al vento piace parlare a voce alta, persino quando sussurra. Al viaggiatore venne da ridere, vedendosi planare senza le ali, appeso a un sottile filo di metallo, con i piedi posati sul cielo, al fianco di una candida nuvola, zucchero bianco con il sogno di  volare.

In pochi minuti si ritrovarono già con le scarpe a terra, lì nel capoluogo di regione, una città immensa, vastissima, locata proprio nel cuore dell'area montuosa, in mezzo ai boschi e alle foreste, con pini e pioppi a purificare la lugubre aria industriale.

La stazione, l'ultima che i tre vagabondi videro durante questo viaggio, si nascondeva tra i palazzi di un quartiere di periferia, popolato principalmente da ville o case indipendenti.
Il cielo era scuro, la ferrovia lontana. Sarebbero potuti salire sul treno solo il giorno seguente.
- E stanotte dove si va?
- A casa mia.
- Hai casa qui, vecchio?
- Purtroppo sì. Questa città non mi piace. I suoi rumori, la sua popolazione, succubi rigurgiti delle sue soffocanti industrie, sono troppo ingombranti per me. Non sono della mia taglia. Difatti, la casa è già in vendita. Sto solo aspettando il migliore offerente.
- E poi, dove andrai?
- Forse tornerò tra le montagne. Almeno con la testa e con il cuore, ho sempre vissuto lì, davvero. Peraltro, potrei passare gli ultimi anni di questa mia avventura, di questo bizzarro sogno chiamato vita, accanto a quella donna.-

E mentre l'anziano signore, giunti di fronte la porta di casa, rovistava nelle tasche alla frettolosa ricerca della chiave, l'autista fece cenno al viaggiatore che se ne venisse in disparte, e gli disse, bisbigliando: - Temo che il vecchio non abbia più intenzione di seguirci.
- E te ne accorgi solo ora?
- Sul serio? Era veramente così palese?
- Tiene il broncio da quando abbiamo incontrato la vecchierella. Lui vuole stare lì. Non spetta a noi interferire o impedirgli di inciampare nel suo desiderio.
- Siamo d'accordo. -

E facendo finta di nulla si riavvicinarono al loro amico, che nel frattempo aveva finalmente recuperato la chiave, e stava aprendo la porta.
- Benvenuti nella mia umile dimora. -
La casa era spoglia, denudata di ogni arredo. Non c'era il divano, non una mensola, non un armadio da riempire con argenterie, piatti e posate, non una cucina. Salirono le scale e si ritrovarono di fronte a un lungo corridoio, addobbato con solo tre porte.
- Prendete la stanza che preferite, tanto sono tutte uguali. -
Il viaggiatore aprì la porta di sinistra. Nella stanza vi era solo un materasso, adagiato sul pavimento. L'autista entrò nella seconda di destra, e poté ammirare lo stesso panorama.
Il vecchio dunque prese la cameretta più piccolina. Si stese sul suo materasso, e rimase qualche ora con gli occhi rivolti al soffitto, prima di crollare in sonno scomodo e asfissiante.

La mattina seguente si levarono dalle loro cucce molto presto e si avviarono verso le ferrovie. Sotto la villetta dell'anziano signore vi era una fermata dei mezzi pubblici. Attesero lo scorrere svogliato di quel quarto d'ora abbondante e salirono sul primo pullman che venne.
- Vi serve un biglietto, miei signori?- Chiese il conducente.
- No grazie, abbiamo un abbonamento.
- Bene, buona giornata.
- A lei! - Si disse di averlo davvero, forse; ma non gli andava di mettersi a scavare tra le membra nel portafogli.
Pochi minuti dopo erano in centro. Dovettero camminare almeno un miglio, però, prima di arrivare in stazione. Lì, mentre vagavano alla ricerca della linea giusta per le loro esigenze, il vecchio si sentì chiamare da una voce vagamente familiare.
- Zio! Zio, sei tu?
- Oh per la miseria! Ma ciao, bel giovane. Signori miei, ho l'occasione di presentarvi il figlio della donna della montagne, lo avete visto nelle foto, nevvero?
- Sì, certo. Molto piacere!
- Sì, sì, piacere e tutto il resto. - Fece, farfugliando in fretta. - Zio hai visto mia madre, forse?
- Oh sì, caro mio, poteva essere tre giorni fa.
- Mi ha telefonato questa notte, dicendo di non sentirsi affatto bene. Fortuna ha voluto che fossi in zona.
- Beh, cosa posso dire, sono tremendamente dispiaciuto, anzi spero non sia nulla di grave.
- Lei dice di no, ma non so quanto mi abbia detto. Mi nasconde spesso alcune cose, forse per paura di ferirmi o il cielo sa cos'altro. Comunque, vieni con me? Mi saresti di grande compagnia.-
L'autista e il viaggiatore si scambiarono un'occhiata d'intesa.
- Ma in realtà io sarei in viaggio, non posso privare questi due signori della mia presenza.
- Eddai zio, lo sai molto meglio di me! Del viaggio non t'importa nulla.
- Ma cosa dici? Tu anche ami viaggiare, dovresti capirlo.
- Ma amo di più mia madre.
- Ebbene sia, d'accordo. Ma solo perché sei tu! Amici miei, dovete scusarmi. Come tre foglie della stessa pianta, cadute su mondi diversi, magari un giorno il vento ci lascerà poltrire sull'alveo dello stesso fiume.
- Ci rivedremo vecchio, non preoccuparti.
- Accadrà! Per volere del sacro albero! -
E risero tutti assieme, per poi congedarsi.

- Siamo rimasti in due.
- E che problema c'è? Siamo partiti in due, ricordi?
- Lo ricordo eccome! -

Il viaggioWhere stories live. Discover now