Quarantesima tappa

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Combinarono cosacce.
Tuttavia, non m'immischierò nelle loro cose per puro rispetto della loro privacy; non intendo intromettermi nella loro intimità.
Inoltre, dei bambini vorranno vedere questo libro. Suvvia, non limitiamo l'orizzonte delle loro letture.

Purtroppo, il viaggiatore non era della mia opinione e, essendosi svegliato, volle origliare.  La mattina dopo tentò di fare finta di nulla. Pazientò e rimase a coccolarsi tra le ombre del lume, nella piccola biblioteca, finché i passi del ballerino non scivolarono a rimbalzare sulle scanalature delle colonne, nel corridoio.

- Cosa fai? - Gli chiese.
- Nutro l'immaginazione.
- Sei in piedi da tanto? - Sembrava disinteressato, e non lo era. Al contrario, sperava di capire cosa combinare, parlandone con l'amico.
- Bene o male. - Fece il viaggiatore, vago.
- Non hai idea di cosa sia accaduto di là, vero?
- No. - Il viaggiatore abbassò lo sguardo; sul suo viso si leggeva che mentiva. - E se pure lo sapessi, dovrei dirtelo? - 

Nell'aria volteggiava la luce della fiamma, flebile, quasi spenta sullo stelo della candela.

- Sì.
- Lo credi? - Se ne stupì. Capì che il ballerino desiderava discuterne, ma interruppe il discorso.
- Scendiamo a fare colazione? -

La dottoressa dormiva, allegra, mentre loro erano per le scale. Alla reception non c'era nessuno; uscirono senza farsi problemi.

- Viaggiatore, lo sai, vero? - Non riuscì a reggere.
- Mi sto sforzando di non saperlo, ma me lo rendi complicato.
- Allora, lo sai?
- No! - Esclamò, ridendo.
- Perché neghi?
- Ballerino, sono tanto contento per voi e - sorrideva - non m'immischierò. È una cosa seria?
- Ah - sospirò - non ne abbiamo ancora parlato.
- Non fatelo.
- No? - Ribatté, rapido.
- Non abbiate fretta. Verrà da sé, se deve.
- Altrimenti?
- Non c'è un altrimenti. Non ci hai pensato? Potrebbe essere l'euforia di una notte, una passione partorita dalla noia. Non montare sogni attorno a lei, non finché non sei sicuro di cosa sia successo.
- E sia.
- Dove mangiamo?
- Da mia nonna, te la presento. Ti dispiace?
- Ah, al contrario.
- Abita in un condominio - attraversarono la strada - a pochi passi da qui. In un quarto d'ora saremo a tavola. -

La nonna occupava una piccola mansarda assolata, antiquata ed angusta. A chiunque chiedesse lei rispondeva sicura di starci comoda; avrebbe vissuto volentieri altrove e poteva persino permettersi un trasloco, eppure preferiva risparmiare.
Il ballerino non saliva a salutarla da due giorni. Erano abituati a stare separati dei mesi; e se a suonare il campanello era suo nipote, la donna lo festeggiava come se fossero passate decadi dal loro ultimo incontro, ogni santa volta.
- Figlio mio! - Esclamò, aprendo la porta. - Sei venuto a scroccare la colazione?
- Sì, in tutta la città non c'è un caffè meglio del tuo.
- Chi è il tuo amico? - Sorrise, indicando il suo sconosciuto. Avrebbe annuito e accettato un nome come un altro e se lo sarebbe scordato un secondo dopo; invece, dovette stupirsi di sé stessa.
- Un viaggiatore, nonna. - Garbatamente, rispose suo nipote.
- Un cosa?
- Gerard. - S'intromise, sentendosi chiamato in causa. - Sono Gerard. - E le stese la mano.
- Piacere! Per tutti sono la nonna, non si scomodi a chiamarmi diversamente.  - E si rivolse al ballerino. - Ieri ho fatto i biscotti. Ero in ansia per la tua performance in teatro e dovevo tenermi impegnata. Vado a vedere se ne sono sopravvissuti un paio, intanto accomodatevi. - Corse via.
- Gerard? Davvero? - Disse, mentre entravano nel salotto.
- Ho voluto improvvisare.
- Ah, ecco. - Sospirò.
- Ti sembro tipo da Gerard?
- No, ma non ho mai avuto la gioia di sapere i segreti della tua identità e, beh, perché non Gerard?
- Nah, non mi calza.
- E cosa ti calza?
- Vuoi estorcermi il mio nome?
- Sì! - Ghignò, malignamente.
- Non lo avrai.
- Non lo sa nessuno, eh?
- No.
- Nemmeno tu?
- Non nego di dimenticarmelo, alle volte.
- Viaggiatore, dovremo pur incidere una o due cose sulla tua tomba, se sarà necessario comprartene una. - Rise.
- Però, pure noi non sappiamo il tuo.
- Non l'hai mai chiesto. E la dottoressa lo sa.
- Mi concedi la stessa grazia?
- Tu? - Gli fece una smorfia e se ne andò in bagno. Allora apparve la nonna. Portava tra le braccia una brocca di porcellana.

- Vuoi un biscotto, Gerard? -

Il suo soggiorno era spoglio di spazi e assortito di cianfrusaglie, di ricordi incastonati in ninnoli e roba priva di senso pratico, eppure di incalcolabile valore.
Dall'unica finestra fiorivano lampi di luce, bionda ed estiva. Le tovaglie e le tende dai colori vivaci e le pareti bianche davano alla stanza un prematuro e dolce sapore d'estate.

- No, grazie.
- Ti fai torto da te, sappilo.
- Non ho molta fame. - Aveva fame e non poco, ma l'odore di quei dolci gli pareva stucchevole.
- Non mi riferisco alla colazione.
- E a cosa?
- Gerard, tre anni fa mio nipote mi disse di un viaggiatore. Il vento li aveva presentati, sui binari di un treno. Al telefono, non potevo vedere le lacrime rigargli il volto, ma i suoi singhiozzi superarono la distanza e potei sentirli. Ne aveva pena. "Nonna" piangeva "non immaginavo vivesse un uomo messo male così come lui." Gerard, sii sincero, eri tu?
- Sì, signora.
- No! Nonna, non signora.
- Bene, - sorrise - nonna. Come l'hai capito?
- Ti ho domandato il tuo nome, poco fa. Indugiavi e mio nipote se n'è accorto, allora ha provato a coprirti e ...
- Mi ha chiamato viaggiatore. - La interruppe.
- Esatto. - Sorseggiava avidamente un caffè freddo e amaro. - Chi sei tu?
- Non lo so.
- Come? -

Il viaggiatore si zittì, guardingo, temendo di dire troppo.

- Se hai bisogno di sfogarti, fallo.
- Nonna, non mi va di metterla a disagio.
- Viaggiatore, non ti giudicherò. Le ombre vivono nel passato e sono timide. Basta aver l'apparenza di poterle affrontarle  per guardarle darsi alla macchia. - Si alzò e si mise accanto a lui. E posò una mano sulle sue, con tanta delicatezza da aver paura di infrangere il suo equilibrio.
- Ho tentato di tagliare alcune pagine del libro. Ho alcuni ricordi terribili. E voglio solo lasciarli annegare nel dimenticatoio. Sembra tanto strano? Non sono quell'uomo. Non più! Ho smesso di esserlo per Anna. Per il suo bene e per merito suo.
- Moglie?
- Figlia. - In silenzio, una lacrima strisciò tra le sue guance. - Giurai a sua madre di cambiare.
- E l'hai fatto?
- Sì, mi ha trasformato. Era l'angelo sulla spalla di un demone. Ma dopo il funerale non ho saputo resistere. Il corpo è una parte, vero? Un mero e misero componente dell'uomo, un insolente tassello transitorio nel mosaico del suo essere. E come può pretendere tanto? Ci comanda e ci impone i suoi umori, i suoi malanni divengono nostri e la sua vita insignificante fa tremare la nostra anima, la sottomette. I suoi impeti vinsero i miei. E l'altro si fece strada tra collera e passioni.
- Lui prese il controllo?
- Sì, per un breve periodo, dopo l'incidente di Anna.
- E adesso?
- Sono in me, ma mi rimangono frammenti di quel carattere, piccole scorie indelebili. - Ammise.
- Rubare un pranzo? - Lo squadrò, languida.
- Cose così, giustificate un giorno dopo l'altro con scuse insignificanti.
- Ed ecco il tuo errore.
- Quale?
- Viaggiatore, datti pace. Se ne senti il dovere, se è più forte di te ( come mi pare di capire ), certe cose  falle e basta. Non cercare un movente con cui scagionarti. Nel momento in cui saprai infischiartene lui smetterà di divertirsi e sarai libero.
- Funzionerà?
- Per me ha funzionato.
- Grazie, nonna.
- È stato un sommo piacere, Gerard.
- No, - sorrise - sono il viaggiatore. Se devo avere un nome nuovo, almeno mi si addica. -

Il viaggioWhere stories live. Discover now