Venticinquesima tappa

73 22 35
                                    

LIBRO QUINTO: I GHIACCI

Poteva essere passata una mezza giornata e il viaggiatore riaprì gli occhi. Gli venne subito da tossire. E poi si accorse di sentire freddo.

Il mare in tempesta lo aveva rigurgitato e abbandonato sul ghiaccio, vicino alla riva, insieme a qualche tronco e qualche asse di legno, gli unici resti della caravella.

Si trovava nel continente congelato, una delle regioni più inospitali di questo nostro mondo, non troppo distante dal polo. Si trattava di una grossa e informe isola, completamente ricoperta da ghiaccio e neve, in ogni parte dell'anno. Per di più, così a Nord il ciclo diurno non esisteva. Per lo meno non come lo abbiamo conosciuto a Sud. La notte, infatti, regnava per tre mesi interi, d'inverno, e lo stesso il Sole, d'estate. Dunque il viaggiatore, che piombò lì a fine Novembre, vide di fronte a sé una notte che non voleva finire mai, eterna e perentoria, un tiranno con la fobia dei colori del Sole.

Con fatica il viaggiatore si mise in piedi e provò a guardarsi attorno. Ma non riuscì a vedere granché. Sulla distesa di ghiaccio riluceva lontana solo la Luna, fresco disco argentato, che faceva capolino tra le stelle, in un cielo limpido, terso, il cui colore creava contrasto con il candore della lanosa neve. Ma ululava un vento forte, possente, che presto avrebbe oscurato la Luna con delle nubi, facendo sprofondare il viaggiatore nel buio.

Sentiva freddo, il pover'uomo. Aveva ancora il cappotto zuppo, i pantaloni bagnati, i piedi gli si erano rattrappiti e le mani gli si stavano surgelando, stavano prendendo una tinta violacea ed erano foderate da un sottile strato di nevischio. Continuando per quella via sarebbero andate in cancrena nel giro di poche ore. Se non lo erano già. Il viaggiatore riusciva appena a socchiuderle, di certo gli era impossibile stringerle a pugno. E gli doleva ogni movimento. Con ogni gesto rischiava di aprirsi la pelle con profonde crepe, spaccature che gli avrebbero divorato i palmi e si sarebbero allungate verso le dita, in un patire lento e soffocante che gli avrebbe annebbiato la vista e confuso i pensieri.
E gli occhi gli si stavano gonfiando. Già capiva di non vederci più troppo bene.

Provò a tastarsi dietro la schiena e si accorse di avere ancora il fedele zaino. Quindi, prestando attenzione a come gestire le mani, se lo levò di dosso e lo aprì. Era fradicio, come ogni cosa al suo interno. L'asse di legno era prossimo a marcire, come anche la frutta e il pane. Ma si era portato dietro pure una grossa pizza di formaggio. Quella sembrava aver resistito, assieme anche a una bottiglia d'acqua. Bevve un po' e lasciò che dai polmoni salisse fuori un pesante sospiro. Poi si caricò lo zaino in spalla e si mise a camminare. Non sapeva dove andare. O cosa fare. Ma era certo che stando lì, sdraiato sul manto nevoso a piangersi addosso, sarebbe morto, forse di stenti, ancora prima forse assiderato, se non divorato da qualche abominevole creatura della neve.

Ma lui non temeva la morte. Avanzava ben sapendo di essere vicino alla sua data di scadenza.
Ormai mancava poco. E lui lo sentiva. Udiva quell'orologio ticchettare nitidamente. Riusciva persino a distinguere il movimento di ogni singola lancetta. Ma quel suono non voleva ascoltarlo.
Ben presto il cielo si gonfiò di nubi e prese a nevicare.

- Crollerò. Ne sono ben consapevole. Anche se non so quando. Tre passi? Cinque? Forse riesco a farne addirittura dieci! Ma prima di stramazzare al suolo, sfinito, voglio arrivarci a essere sfinito!-

Sentiva il peso della morte appollaiata sulla sua spalla. Già si pensava dentro la fossa. E per qualche istante arrivò persino a percepire il fiato del tristo mietitore, che se ne stava lì, dietro di lui, ad alitargli sul collo.
Ormai, pur non essendo spaventato da tutto questo, riusciva a pensare solo a come sarebbe rimasto ucciso. Se lo chiedeva. Ci si interrogava. Sembrava stesse quasi cercando di evocare il proprio funerale, con una qualche sorta di rituale demoniaco e macabro. Ci si arrovellò tanto da domandare persino alla morte stessa.

- Mietitore, mio caro, come mi manderai sotto terra? Ah mi lasci scegliere? Ma che grande gentilezza da parte tua! Vedi, però non è una cosa facile! Mi dovrai concedere giusto un altro po' di tempo, così che io possa pensarci su. -

E non stava impazzendo, anche se può sembrare. Teneva ancora il senno saldo in testa. Lui scherzava sulla sua tragica fine. Faceva ironia, ma solo per evitare altri discorsi . Vi erano, infatti, ragionamenti che lo avrebbero fatto tremare dal terrore, tramortendolo come un fiume in piena.

- L'uomo al buio inventa i suoi mostri! -

Esattamente. Il viaggiatore aveva paura di sé stesso. Di quella parte della mente umana tanto brava a fare i capricci,  volendolo, persino capace di inventarsi un intero universo tutto suo in cui abitare, ma che può essere anche nido di alcune brutte cose, fetide e orrende. L'uomo abbandonato a sé stesso si crea la sua compagnia, parto di una ragione depressa che si sente sola! Dà vita alla terra , anima ai massi, e pur di non dover ascoltare la solitudine, anche un sorriso alle ombre. E quella sua ombra il viaggiatore non la voleva vedere. Ma sapeva che nelle profondità di quell'incubo in cui si trovava, immerso in una notte che pareva l'abisso, sarebbe potuto incocciare nella sua ombra, in quel brutto ghigno sordido, distorto, in quello sguardo perverso e madido di cattiveria. Poteva essere oltre il prossimo passo. O appostata subito dopo il prossimo ancora.
Il viaggiatore ne era certo. Quella cosa era sprofondata lì con lui. E lì non poteva tenerla a bada, non con la consueta facilità. Lì, quell'ombra era più libera, svincolata dalle solite catene di ogni mattina. Nell'eterna notte la pazzia ha il sopravvento sul senno dell'uomo. E la ragione si perde, senza sapersi orientare.

Perciò il viaggiatore preferì di gran lunga essere deriso persino dalla neve, ponendosi ilari dubbi e domande sul suo destino. Era meglio dirsi giocondo e scherzare sulla sua morte, pur avendo un piede già nella bara, che scatenare quel suo vecchio modo di essere. Lo teneva lontano così. Standosene allegro, dove chiunque altro avrebbe pianto.

Il viaggioWhere stories live. Discover now