Ventesima tappa

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Giusto un quarto d'ora più tardi si alzarono per tornare alla caravella e scelsero di seguire un magro sentiero che deviava verso la spiaggia. Lì, dinanzi alla frastagliata riva del mare, riposava una solida statua in pietra senza nome, senza una targa a ricordarne l'autore o il soggetto scolpito. Il viaggiatore, come anche il pirata, non seppe cogliere il significato di quell'eroe, di quell'uomo con, tra le mani, un tracagnotto amo da pesca, immortalato nella roccia. Era raffigurato con un gentile sorriso che si inarcava sul muso, e capelli folti e fluenti ad adornargli la schiena.
I due occhi, privi della pupilla, erano rivolti alle sue antiche avventure, a quelle peripezie per mare, a quelle antiche città, floride, fiori delle isole, cadute in rovina con le età oscure e tornate in auge dopo secoli nefasti. E le gesta di quell'eroe l'autista le vide, tutte assieme, raccolte nel bagliore di quei due occhi disegnati nei lineamenti della soffice pietra.

Pochi minuti dopo erano già sulla nave, pronti alla partenza, a riprendere il mare, con le vele ammainate e il timone libero di danzare. E solo il cielo sapeva dove sarebbero finiti, forse.
Tornarono a tastare la terra e ad assaporarla a piedi scalzi sei settimane dopo. Loro non si lamentavano. Non si pentivano delle loro scelte. E perché mai avrebbero dovuto? Era il principio del loro viaggio, forse ne era anche la condizione. Tuttavia, stava divenendo difficile sopportare il legno sbiascicare i suoi versacci quando vi camminavano sopra.  Di notte sognavano i prati. Si sedevano in fondo alla valle, sotto un ulivo, con un tulipano tra le mani. E i deserti. Durante la notte tornavano indietro a rileggere le pagine dedicate al deserto, solo per sentire la sabbia scorrergli fra le dita, scivolare giù e dissolversi nell' aria.
Tutto sommato, quella era semplice nostalgia. È naturale. La prova chiunque, prima o poi.
E la bella nave offriva loro una straordinaria vista sul mare. L'autista adorava guardarlo, perdersi alla ricerca di un modo per oltrepassare l'orizzonte. Dall'albero maestro, lanciando lo sguardo sul panorama sottostante, si annegava nelle profondità del cielo, riflesso sulla superficie dell'acqua. Chi è più profondo, il cielo o il mare?

- Il mare è un deserto.
- Come sarebbe un deserto?
- Beh sì. Sulla sua superficie vedi forme di vita?
- No. Eppure, ce ne sono al di sotto.
- Esatto. Ha la sua vita sotto la superficie. Anche il deserto nasconde tante creature, invisibili a chi calpesta la sabbia.
- Sì ma non è l'assenza di forme di vita che distingue il deserto da altri biomi, almeno non in maniera esclusiva.
- E allora cosa? Sentiamo.
- Il clima arido e secco.
- E nel mare non fa caldo?
- Sì, ma in maniera diversa. Fidati, amico mio, il mare non è in alcun modo un deserto.
- Lo è. Almeno nella mia testa. Lì, non solo il mare è un deserto, ma il cielo è un oceano, le nubi sono i miei continenti, le foreste sono polmoni e i formicai immense città. -
Esclamò con fierezza l'autista, irremovibile dalle sue convinzioni, disperse in un qualche tomo di mitologia e fiabistica.
- Nella nostra testa c'è un mondo, assolutamente altro rispetto a questo. Funziona diversamente, con le sue leggi. E ha la sua geografia, le sue bislaccherie. È inconfutabile. Non crolla finché un individuo non si sdraia nella bara. E quando un uomo muore, muore un mondo, si sgretola e si decompone, insieme al resto del corpo. -

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