Trentatreesima tappa

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- Se non me lo dite
ve ne pentite!
Sembro gracile,
ma punirvi mi verrebbe facile. -

Insistette, con un'aria malevola a circondarlo. Non gl'importava la realtà dei fatti; quella non era di suo gradimento. La sua verità era più che buona e sufficiente. Piuttosto pareva desiderare il pubblico dalla sua parte. Quando pestiamo i piedi alla vita e facciamo del male al mondo abbiamo sempre bisogno di sentirci nel giusto. Pure per le piccole cose. Qualcuno sembrava rendersene conto e gli diede alito, presumendo fosse necessario al naturale proseguimento della tragedia. Non lo era. Ma facilitò le cose.

- Orbene,
sento di quel traditore
nell'aria l'odore.
Le stesse colorite pene
che mi ha procurato
gli farò assaggiare,
col suo coltello usato.
Qualcuno già l'ha voluto assaporare. -

Annunciò e se ne venne via. Dal suo ghigno imbronciato e sadico trapelava la dolce amarezza delle sue intenzioni. Tra le mani stringeva  un pretesto per compiere i suoi disegni, tutt'altro che buoni. E i suoi abiti - un paio di lunghe calze bianche abbinate ai pantaloni e alla camicia, nascosta sotto un gilè azzurro e ricamato con fronzoli e ornamenti dalle forme floreali - erano stati abbelliti con tanto di quel sangue da poter narrare più cose di un quante ne fossero state già dette. Quelle macchie non potevano parlare, perché stavano già urlando. Quel tizio era riuscito seppellire la vicenda accatastando parole e scuse e menzogne fino a costruirsi una realtà alternativa, ma le sue vesti avevano rotto l'omertoso silenzio delle sue bugie. Eppure molti son ciechi all'evidenza delle cose, hanno fiducia nell'uomo ma in quello sbagliato.
Il viaggiatore non dovette attendere molto, dopo l'uscita dal palco di quel malato personaggio, per rivedere il ballerino. Sembrava ferito, dal goffo modo con cui premeva la mano destra sul fianco bendato. E dal biancore della candida e fresca fasciatura sgorgavano velocemente i colori accesi e furiosi del sangue.

- Fuggo,
perché spacciato,
nell'intera contea ricercato.
Fuggo,
perché al patibolo condannato,
per non essere giustiziato.
Fuggo,
perché a pedate cacciato
dalla casa in cui sono nato. -

Piangeva e sanguinava, esule. Gli eleganti abiti gli erano stati strappati, le scarpe rubate e l'onore ridotto in brandelli. Le lacrime gli annegavano le parole e il canto gli affogava nei singhiozzi, soffocato dall'amarezza di tanti ricordi. Dal fondo del palco, avanzava lentamente verso il centro, ma faceva fatica a camminare. La musica aveva preso una piega tragica e sovrastò per qualche momento la sua voce.

- Quel poveretto è rimasto zoppo e senza patria, ma quei maledetti dei musicisti dell'orchestra pensano ancora all'esibizione, piuttosto che a tendergli una mano fraterna! - Esclamò il viaggiatore, sdegnato e pronto a scendere sul palco lui stesso.
- Fermo! - Lo bloccò la dottoressa - È tutto parte della finzione scenica!
- Tu credi?
- Ne sono certa!
- E il sangue? - Alzò la voce, incuriosito. Qualcuno si stizzì e gli intimò bruscamente di portare rispetto e fare silenzio.
- Sarà passata di pomodoro. - Gli rispose la dottoressa, abbassando il tono per dare meno fastidio.
- Sarà. - Le disse - Chiedo scusa. È la prima volta che vengo in teatro. -

Le luci si affievolirono e la musica abbassò la voce, facendosi più delicata, così il ballerino potè riprendere a cantare, dopo essersi asciugato il volto. Umidi e vagamente arrossati dal pianto, i suoi occhi brillarono nel buio della sala, uniche stelle in un cielo coperto dal temporale.

- Mi uccida
se tanto vuol farlo.
Le mie grida
gli saranno un tarlo.
Ditelo a tutti,
belli e brutti.
Ditelo ai bambini,
lo sappiano pure i piccini.
S'è bevuto la
ragione, l'ha
segregata sulla Luna
o sepolta con quell'una,
unica e sola.
E sol la rivedrò se
dal corpo quest'anima mia se
ne vola. -

Dietro di lui si avvicinava un lento brusio, il vociare di una massa contadina non lontana. Sbraitavano e inneggiavano alla violenza, alla giustizia e altre macabre cose. Ancora non erano sul palco, ma si facevano sentire da poco oltre le quinte.

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