Ventisettesima tappa

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E quindi, senza riuscire neanche a immaginare cosa stesse facendo, senza neppure pensare a dove stesse andando, il viaggiatore attaccò a vagare per quelle lande ghiacciate, circondato e abbracciato dal cupo velo notturno. E non era neppure più in grado di chiedersi quante forze gli restassero. Ma lui incedeva, non indietreggiava. Marciava e marciava, solo perché quella voce lo aveva invitato a farlo. Magari ondeggiava. Forse si chinava spesso in avanti, rischiando di franare e sfracellarsi per terra. E cadde pure. Ma si riportò in piedi ogni volta, per poi proseguire. Poi, ogni tanto la cercava.

- Anna?
- Dimmi, che  c'è ?
- Tu sei qui con me, per davvero? Ti prego non dirmi che ti ho inventata io!
- Fidati. Conciato come sei non ne saresti in grado. Sono io, quella vera!
- Allora Anna, non lasciarmi qui da solo. Ti prego non farlo.
- Ma ti pare che ti abbandono qua?
- Anna, non andare via. Non andartene mai più. Resta qui con me, in questo mondo.
- Ecco. Quanto mi chiedi ora non te lo posso promettere.
- E perché ?
- Io non appartengo più a questa terra. Dovresti averlo ben impresso in mente.
- E così è.
- Allora che domande fai?
- Ma ora sei qui con me. Non potresti restare solo un altro po' ? -

E quella soffice voce non replicò.

- Anna? -

E gli rispose solo il silenzio.

- Anna?! No! Non ti puoi congedare così! È maleducazione! Sei stata educata meglio di così! Anna!? Dove sei ora? Cosa sei, sadica? Me lo hai appena promesso! Mi hai appena detto che non te ne saresti andata! -

A ribattere fu il vento, lanciandogli uno strattone da dietro le spalle, spintonandolo avanti.
Il viaggiatore si voltò. Non vi era più nessuno. E capì.

- D'accordo, tesoro mio. Bene! Vado avanti, angelo mio. Grazie per il salvataggio. -

Fece soli tre passi in più e stramazzò al suolo, senza rendersene conto. Ma nel farlo urtò una piccola porta di metallo, che si ergeva lì di fronte a lui, piazzata nel nulla, attorno al nulla, in un punto qualsiasi di quell'infinito corridoio buio, nero quanto il vuoto siderale. E, per qualche insensato, assurdomotivo, quella solinga porta l'avevano lasciata aperta. Dunque, andandovi addosso, il viaggiatore la spalancò e si addormentò sull'uscio, stremato dal suo lungo cammino.

Quando riacquistò i sensi gli pareva fosse passato così tanto tempo. E si meravigliò anche solo di aver riaperto gli occhi, di avere ancora il dono della vista,  di poter respirare. Era sdraiato su un prato. I fili d'erba gli facevano il solletico ed era all'ombra di una vecchia quercia. La luce del Sole ne forava la chioma, piovendo a piccole chiazze attorno ai piedi del viaggiatore. Questi si mise a sedere, posando la schiena contro il tronco dell'albero. Stava sulla sommità di un colle ricco di fiori, da cui poteva mirare, davanti a sé, acri e acri di terra che venivano zappati, arati e seminati alla buona vecchia maniera, con il carro e con i buoi. Eppure, i contadini  non parevano affatto stanchi, anzi, portavano tutti un fiero sorriso.Una fresca brezza brucava i prati, irrorati da quattro grandi fiumi, che, all'inizio della valle, si ramificavano da un unico corso d'acqua.
E lì, ai piedi della collina, in quel paradisiaco paesaggio bucolico, gli uomini vivevano in simbiosi e in pace con la natura, allevando piante di ogni genere. Convivevano tutti assieme, sotto lo stesso cielo, frutti originari di terre immensamente lontane e di climi fin troppo diversi l'un l'altro per essere messi a paragone . E nonostante tutto condividevano lo stesso suolo.
Questa grande valle formava una conca con il colle su cui aveva dormito e ora stava il viaggiatore e con una sottile catena di alti monti, oltre i quali non era possibile andare o sbirciare cosa ci fosse, e sulle cui pendici erano stati realizzati dei terrazzamenti per coltivare riso, patate, oltre a svariati alberi da frutto.
E ai margini di tale conca, laddove la terra si innalzava, erigendo colline, vi erano popolose mandrie di bestiame, lasciate a pascere e pascolare, tra le rose, i tulipani e i mille papaveri rossi.

- Bene! Allora sappi che ce ne verremo via da qui tra cinque settimane esatte. Dove vorrai portarci, dopo?
- Non lo so. A Ovest?
- Andata! -

Così dicendo la ricercatrice prese i piatti vuoti e se ne tornò di sotto, al lavoro.
Nei giorni successivi l'autista fu sottoposto a un'intensa attività di riabilitazione, accuratamente pianificata dalla sua amica.
E nel giro di due settimane era già tornato sulle sue gambe. Prese subito ad aiutare e a darsi da fare, occupandosi dei vari esemplari feriti. Li tenevano, nella clinica, al primo piano, in delle spaziose e ariose gabbiette. Ma ogni giorno li facevano uscire per qualche minuto, in modo tale da controllare la loro salute, mantenendoli anche allegri. Il viaggiatore ne prese in simpatia soprattutto uno. Era un cucciolo di orso bianco, estremamente affettuoso nei suoi confronti. Forse gli ricordava sua madre, per il cielo solo sa quale motivo. Difatti passavano molto tempo assieme. Il viaggiatore lo avrebbe portato con sé nei suoi viaggi. Ma la veterinaria fu proibitiva su questo. La povera bestia non sarebbe sopravvissuta ai climi caldi. Quindi poco prima di andare via la liberarono.

E una mattina, dopo essersi abbondantemente coperto, il viaggiatore uscì. Portava in mano la vanga che aveva in zaino, al momento del naufragio. Avrebbe voluto utilizzare anche il bastone di legno, ma era marcito e la ricercatrice aveva pensato bene di buttarlo.

Non si allontanò molto dalla clinica e prese a spalare la neve, accumulandola andando a formare un esile dosso. Allora vi pianto sopra la pala, e disse al cielo:

- Non sarà una tomba chissà quanto dignitosa. Non v'è la bara e non v'è neppure il tuo corpo. E sono addirittura volati tre anni. Pirata, amico mio, questa è per te. -

E se ne andò asciugandosi una fredda lacrima.

Solo una settimana più tardi giunsero i nuovi scienziati, che avrebbero sfruttato la stazione di ricerca per gli anni seguenti. La dottoressa spiegò al viaggiatore che per farlo era necessaria una speciale autorizzazione, molto difficile da reperire. Bisognava recarsi alla sede più importante di una grossa comunità scientifica internazionale, nell'Est, poco oltre la nostra amata nazione, e spiegare a una larga commissione le proprie necessità e il proprio fine. Al suo discorso piovvero applausi. Ottenne pasciute sovvenzioni e un'autorizzazione per ben cinque anni di studi. Con lei non venne nessun altro perché banalmente non ci furono altrettante proposte interessanti o minimamente allettanti.

I nuovi arrivati sembravano gente tranquilla, spensierata, qualificata ma con idee meno sofisticate e obiettivi più leggeri, rispetto alla giovane dottoressa.
Uno di loro, già cinquantenne, era fuggito dalle smanie di sua moglie e dalle asfissianti conversazioni con sua sorella, con la complessa e ben costruita scusa di voler porre dubbi legittimi su alcune ipotesi avanzate di recente nell'abito della fisica nucleare. Un'altro, trentenne, aveva fatto passi da gigante nell'astrofisica e si mostrava molto promettente, volenteroso di studiare l'aurora boreale, ma in realtà deciso ad andare lì, nel continente gelato, solo alla ricerca di pace interiore. La terza, una donna minuta, piccina, fresca di laurea, cercava successo, complimenti e carezze in questo mondo di inganni, ma soprattutto applausi e danaro.
Un altro invece era là non riusciva nemmeno a spiegare il motivo. Continuava a ripetersi cose come "mi hanno costretto", "sono stato incastrato", "io non sono uno scienziato", ma non gli diede retta mai nessuno.
L'ultima, invece, fece un'ottima impressione al viaggiatore. Era una neurobiologa, interessata nell'osservare gli effetti del freddo su altri esseri umani, nello specifico i suoi nuovi colleghi. In effetti si interessò molto alla storia del viaggiatore, della sua passeggiata negli abissi notturni, e delle visioni che egli ebbe. La donna arrivò a lanciargli massicce offerte in contante, in cambio della possibilità di osservare bene la sua attività celebrale. Il viaggiatore si disse lusingato ma dovette rifiutare.

Appena quattro giorni dopo la venuta di queste persone, il viaggiatore e la dottoressa partirono. Sul dorso di un amichevole gatto delle nevi raggiunsero la costa, dove salirono a bordo di una corposa nave in metallo, che li scorrazzò fino al porto dei deserti, nella nostra nazione, da cui  presero un traghetto diretto verso Ovest, come da programma.

Il viaggioWhere stories live. Discover now