Ventunesima tappa

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Passate le intense sei settimane, i tre marinai calarono l'ancora al molo di una grossa e popolosa isola del Nord-Est.
- Qui siamo a poche miglia dall'arcipelago, quello di cui avevano discusso poco dopo aver salpato. Sulla mappa è solo una spanna più su, verso Ovest. Propongo di fare scorte e di ripartire subito. Ho proprio voglia di tornare in quel posto!
- A noi non fa differenza la destinazione. Se lì desideri andare, noi verremo lì.
- E sia! Facciamo un salto al mercato, poi si salpa.-
Quindi si diressero verso la pubblica piazza. L'isola, vecchia colonia di altre nazioni, ora indipendente, vantava un'abbondante città, la cui edilizia sembrava imitare, in tutto e per tutto, i lineamenti dei borghi del deserto. Infatti, la piazza del mercato pareva l'esatta copia in scala di tante altre. Gli stessi odori e lo stesso baccano barcollavano nell'aria.
- Salve! Ci servono scorte. Cibo che possa durare almeno un paio di settimane. Ha niente del genere?
- Beh, in effetti avrei della carne secca della migliore qualità. Desiderate assaggiare?
- Assolutamente. -

E ne presero una striscia sottile e magra, che divisero per tre. Era una carne singolare, già dall'aspetto, rigata da numerose venature, così tante che poteva essere confusa con del granito. Non appena mise quell'esile trancio sotto i denti, il viaggiatore spalancò gli occhi.

- A quanto la vende?
- Cinque pezzi d'oro per chilo.
- Ma sta scherzando? Ci sta prendendo per il culo? Guardi che non mi faccio derubare io! - Si agitò il pirata.
- Datti una calmata. È un buon prezzo. Certo, se ne posso trovare di più bassi, ma non è esagerato, in proporzione alla qualità del prodotto.
- Ascolti il suo amico. E se ne vada. Non ho bisogno dei suoi soldi! Posso trovare clienti più a modo.-

Furono costretti a girare i tacchi e a rimandare l'acquisto delle provviste. Sarebbero arrivati al grande arcipelago con quello che rimaneva in cambusa. Issavano l'ancora e il viaggiatore provò a capire nello sguardo del pirata cosa lo avesse fatto infuriare in tal modo.
- Come sarebbe a dire "perché" ?
- Hai visibilmente esagerato.
- Non mi sembra proprio. Quella roba non può avere un prezzo così salato.
- Era di ottima qualità e avrei potuto trattare.
- Non diffido delle tue arti oratorie, ma l'avremmo acquistata a peso d'oro! Ti rendi conto di quanto siano cinque pezzi d'oro? E per solo un chilo! Ce ne sarebbero voluti almeno altri - si mise a contarli con le mani, con il volto di chi sta sopportando un'immensa impresa - sei!
- Sì, è tanto. È tantissimo anzi. Ma fidati quando ti dico che ne sarebbe valsa la pena. Se mi avessi dato il tempo l'avrei anche truffato un pochino! Dove la macellano ed essiccano, la chiamano "il diamante di carne" . Sai che sono stati scritti miti in cui quella roba cura le persone da malattie fatali? Addirittura dalla follia, secondo i più pazzi.
- Bene! Ma io ho un unico rene e non porto né malattie né gioielli, addosso. O forse malattie sì, forse un giorno anche i gioielli. Ma sarebbe stata una spesa ugualmente inutile. -
E si chiuse in cabina, urtato e offeso. Forse il viaggiatore aveva pestato un tasto dolente. Però, passata giusto un'ora fu come se nulla fosse accaduto.

Tre giorni più tardi, alle prime luci del quarto, scorsero le rive di quel fantomatico arcipelago.
Approdarono alla prima isola. L'asmatico orologio  di bordo batteva le otto, il Sole splendeva, alto nel cielo, e sulle soffici spiagge si stava tenendo un ballo. Da lontano, i tre viandanti non seppero figurarsi di cosa si trattasse, dunque decisero di avvicinarsi.

Notarono alcuni soggetti, abbigliati con delle curiose vesti, costruite cucendo assieme pelli di svariate bestie, suonare dei grossi tamburi, battendovi sopra con le mani.
Il canto tribale alimentava l'andamento sinuoso di una fervida danza, un'onda caotica e calda che abbracciava i suoi ballerini, ardeva nei loro corpi facendo oscillare loro le gambe, muovendo loro i piedi con fare frenetico, furioso e confuso. Donne e uomini partecipavano, piegati dalla volontà di quel ballo sbilenco, come scossi dai fili di un burattinaio demente.
Non erano in molti a prendervi parte, ma senza pensarci più di due volte altri tre si aggiunsero al gruppo. E danzarono. E danzarono. E non riuscirono a smettere. Finché il tramonto non colorò il cielo, facendo sentire l'incombenza del buio notturno.

Si divertirono. Persino più di quanto avessero potuto immaginare.
Ballarono bene o male con tutte e tutti i presenti. Tranne una giovane rimasta in disparte, seduta sulla sabbia, a sorvegliare l'acqua salata, quasi presa dalla paura di non rivederla più, dopo essersi voltata.

Ma quando sentì la musica cessare, anche lei si sollevò in piedi, e si mosse, per pura coincidenza, verso i tre vagabondi.
Fu in quel momento che l'autista se ne accorse, finalmente. La donna dell'ovunque, del deserto e dell'epifania, dell'incidente e delle terme, era lei e lì davanti a lui.
L'autista sbatté gli occhi, due, tre, persino quattro volte, per essere sicuro che stavolta non fosse un'allucinazione. Quanto si rese conto di averla fisicamente di fronte al suo naso, senza nemmeno capire cosa stesse facendo, non seppe fermare i piedi e le piombò incontro.

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