3C - Stupido Jet lag

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Se c'è una cosa che odio è viaggiare. O meglio, prendere i mezzi per raggiungere la destinazione. Posso pure recarmi alle Maldive, maledirò ogni secondo di viaggio perché non è vero che in aereo si più lavorare comunque. Certo, se ti trovi in prima classe, con il tuo calice di champagne e gente che sonnecchia forse è pure possibile, ma in economy? Andiamo. Bambini che urlano, gente che discute, hostess che ti stressano sulla cintura di sicurezza... Sì, Janice, so che devo tenerla allacciata fino a quando non avrò il segnale, non sono stupida. Insomma, è un incubo.

Adesso, se consideriamo che al viaggio si somma il jet lag, il risultato non è tanto appagante. Ecco perché il primo giorno di vacanza si finisce stremati a letto.

Ecco perché questa sarà la mia fine stasera. O stamattina. O qualsiasi sia l'ora australiana.

Ecco perché non vedo l'ora di salutare papà, mangiare e dormire, dormire, dormire.

Al momento è al lavoro, ma dovrebbe esserci un autista della federazione, a cui ha chiesto il favore di venirmi a prendere, che mi aspetta.

CALISTA SPENCER

Vedo un uomo in completo nero che tiene in mano un tablet dove vi è scritto a caratteri cubitali il mio nome e capisco di aver trovato la persona giusta. È alto, ben impostato e dall'aria seria e professionale. Assomiglia vagamente a zio Niall, il fratello di papà.

«Buongiorno. La signorina Spencer?» domanda per sicurezza l'uomo.

«Sono io, piacere.» Gli porgo la mano.

Lui la scuote e sorride. «Sono Alan McCay, il suo autista. La scorterò a casa e poi mi dirà lei se vorrà raggiungere suo padre o preferisce riposare.»

Ricambio il sorriso e stringo la presa attorno al manico del trolley. «Sono super frastornata dal jet lag, in aereo non sono riuscita a dormire e il cibo era pessimo, credo farò una doccia e andrò a letto.»

Alan mi invita a seguirlo fuori dall'aeroporto di Brisbane prima di riprendere parola: «Se posso offrirle un consiglio, è meglio che attenda il tardo pomeriggio o la sera per dormire, altrimenti sarà peggio smaltire il jet lag.»

«Dovrebbe essere una tortura» borbotto, cosa che lo fa ridacchiare.

Raggiungiamo un suv nero, Alan si affretta a prendere i miei bagagli mentre io mi accomodo sul sedile anteriore, proprio vicino a lui. Non ho intenzione di stare dietro. È vero, è un autista, ma non il mio e non mi sembra carino lasciarlo solo.

Rilascio un altro sbadiglio nello stesso istante in cui Alan prende posto al mio fianco e si accorge della mia presenza. «Non vuole accomodarsi dietro?»

«Sto bene qui. E ho bisogno che mi parli, altrimenti rischio di crollare.»

«Capisco che non deve essere semplice. Se qui sono da poco passate le dodici significa che a Chicago sono le... otto di sera?»

Annuisco. «Esatto. Il punto è che ieri notte non ho dormito molto a causa dell'agitazione e il viaggio è stato infinito. Non sono riuscita a chiudere occhio perché due neonati non ne volevano sapere niente di smettere di piangere e alla fine due ragazzini hanno vomitato in corridoio. Stavo per appisolarmi quando il comandante ci ha informato che mancavano dieci minuti all'atterraggio.»

«Diciassette ore e mezzo, mi sembra. Giusto?» Svolta alla rotonda, prendendo l'autostrada.

«Ben detto. Quindi ho pochissime ore di sonno, puzzo e ho fame. Non esiste che mi muova di casa prima di domani.»

Alan sbuffa una risata. «Dorma il più tardi possibile, è l'unico consiglio che le posso dare.»

Raggiugiamo il 248 di Adelaide Street in circa venticinque minuti. Mi rallegra sapere di non dover fare tanta strada, sono sincera. E anche se farò del mio meglio per non collassare sul letto, la sola idea di potermi riposare, nel silenzio più totale, mi attira da matti.

𝐓𝐇𝐄 𝐓𝐑𝐘 𝐙𝐎𝐍𝐄Where stories live. Discover now