15C - Scorbutezza non è una parola, Calista

6.6K 321 25
                                    

So quanto bruci la sconfitta, sul serio; ho provato questa sensazione negli ultimi mesi ed è stato aberrante per una che si nutre di scrittura. Certo, nelle ultime settimane sembra essersi sbloccato qualcosa ma arranco ancora e ci sto andando piano. Non scrivo tutto il giorno ma mi documento e ascolto musica mentre pulisco o cucino. Questo per dire che capisco cosa vuol dire avere la vittoria a un palmo di naso e vederla sfuggire via.

Per quanto possa starmi un po' antipatico Mister Rugbista Semi Muto, è sempre brutto perdere. Pertanto, ho pensato di preparare la cena e offrirgli un ramoscello d'ulivo. Vivo in casa sua da tre settimane ed è stato lui a doversi adattare alla mia presenza, anche se fa il possibile per ignorarla.

Non è che non andiamo d'accordo, è solo che... non parliamo. Scambiamo a malapena quattro chiacchiere ma nulla di più. Persino la mattina, quando mi è capitato di svegliarmi ancorata a lui, mi sono alzata e, dopo avergli chiesto scusa, fine della conversazione. A cena provo a coinvolgerlo ma niente, è come se si rifiutasse categoricamente di riconoscere la mia presenza. Ecco perché non mi sta tanto simpatico. Non si sforza nemmeno di provarci a conoscermi e questa finta relazione non funzionerà mai.

Non pretendo chissà cosa, solo un po' più di cortesia. Tutto qui.

Comunque, a differenza sua, mi è dispiaciuto sapere che i Broncos avevano perso, per di più in casa, quindi ho preparato la cena. Poi lui arriva e mi dice che mio padre ha rovinato i miei piani.

Ci sono rimasta male, lo ammetto. Non perché volessi trascorrere la serata con il mio finto fidanzato, ma perché i miei sforzi sarebbero andati in fumo e io non cucino per tutti. Solo per dire. Così ho richiamato papà e gli ho detto che ci saremmo visti domani.

Ed ecco come mi ritrovo a cena, una bistecca con contorno di peperoni gratinati nel piatto, e Jordan Baxter seduto di fronte a me mentre consuma l'ennesimo cubetto di carne. In silenzio.

Forse era meglio andare da papà.

«Quand'è la prossima partita?» domando. Lo so quand'è, ma tutto sarebbe meglio di questo silenzio assordante. Come ho già detto, mi piace la pace, la serenità, amo lavorare circondata dal silenzio ma non voglio che quest'ultimo monopolizzi la mia vita. Il solo pensiero mi fa venire le palpitazioni.

«Il quindici aprile, a Gold Coast» risponde lui dopo aver preso un sorso d'acqua.

«È lontana da Brisbane?» Stavolta sono davvero interessata. Non conosco l'Australia, di conseguenza non ho la più pallida idea di quanto tempo ci voglia per raggiungere le città in cui giocheranno.

«No, all'incirca un'oretta di auto.»

Annuisco. «Ah, bene, allora in serata tornerete a casa.»

«Probabile. La prossima è il ventuno, a Darwin, ma resteremo una notte fuori sicuramente.»

Mi sorprende che abbia aggiunto questa informazione in più, ne faccio tesoro. Non so se questo mi renda patetica, come se elemosinassi attenzioni, ma non è così, mi piacerebbe solo fare qualche chiacchiera in più. Non mi aspetto nemmeno di diventare sua amica. «Capito. Per te è un problema se dovessi venire? Credo sarebbe strano non presentarmi di nuovo.»

Lui scuote il capo. «No. Se vogliamo essere credibili dobbiamo farci vedere insieme.»

«A proposito, ora che ci penso, stavo controllando le mail stamattina e Louis Sullivan mi ha scritto che domenica prossima, il sedici, abbiamo una cena di beneficenza.»

Jordan poggia le posate sul piatto e si tampona le labbra con il tovagliolo, poi annuisce. «Hm-hm. Mi ha accennato qualcosa tuo padre poco fa. Controllo la posta di sera.»

𝐓𝐇𝐄 𝐓𝐑𝐘 𝐙𝐎𝐍𝐄Where stories live. Discover now