48C - Stanza 108

7.4K 443 53
                                    

Un momento cammino tranquillamente insieme a papà vicino a un parchetto, quello dopo sono seduta in un'ambulanza e osservo i paramedici lavorare per aiutarlo.

Il mio papà.

Lui che è forte. Muscoloso. Possente. La mia roccia.

La squadra si sta allenando costantemente in vista delle ultime partite, ciò significa giornata colma di esercizio costante, schemi, filmati e ancora esercizi. Tuttavia, all'evento ho chiesto a papà se avesse potuto prendersi mezza giornata per me e, tra una cosa e l'altra oggi si è concesso un paio d'ore. Il piano era riaccompagnarlo allo stadio dopo pranzo, intorno alle due e approfittarne anche per fare un saluto ai ragazzi.

Volevo anche vedere Jordan perché ultimamente è come vivere con un fantasma. Lascia delle tracce ma sparisce subito dopo. La mattina esce quando sto ancora dormendo e a cena è distrutto. Lo capisco, davvero, ma è snervante non poter passare anche quel poco di tempo che abbiamo insieme perché non voglio infastidirlo ulteriormente.

A ogni modo, stavamo camminando e stavamo parlando della brutta situazione in cui mi ero ritrovata. Già in mattinata gli avevo fatto presente che non mi piaceva il pallore sul viso. A un certo punto si porta la mano al petto e si accascia sull'asfalto.

Ricordo di essere stata accorsa da alcuni passanti quando ho iniziato a urlare, il resto è confuso.

Ho provato a chiamare Jordan, a cercare un minuscolo segno di vita ma niente. Alla sesta chiamata mi sono arresa e ho mollato il cellulare in borsa dopo averlo messo in silenzioso. Sono in un ospedale che non conosco da ore, sola, senza nessuno su cui contare.

Giunta in ospedale sono stata fermata da alcuni medici che hanno iniziato a fare domande sulla storia clinica di papà, a chiedermi se di recente era stato sottoposto a stress. Ho detto loro che è il coach dei Brisbane Broncos, nonostante l'avessero già riconosciuto, e che si è preoccupato anche per me in merito a una faccenda personale, ovviamente ho dovuto spiegare loro, in breve, di che si trattava.

Soddisfatti dalle informazioni, sono svaniti.

Dopo due ore in cui non ho fatto altro che domandare ripetutamente se vi erano notizie, un medico viene a parlarmi. «La signorina Spencer? Sono il dottor Hunting.»

Mi alzo immediatamente dalla sedia. «Salve, sì. Sono io. Come sta mio padre?»

«Adesso sta riposando, può prendere un sospiro di sollievo. Ci scusiamo per averla fatta attendere così a lungo ma abbiamo preferito prima indagare a fondo in modo da poterle fornire un quadro più chiaro possibile.»

«Dunque, di che si tratta?» domando, terrorizzata. Sono felice che stia riposando, ma ciò non significa che sia fuori pericolo.

«Abbiamo sottoposto il signor Spencer a diversi esami, inclusi quelli del sangue, un ecg, un ecocardiogramma, una coronarografia e una risonanza magnetica cardiaca. Siamo fortemente convinti che si tratti della sindrome di Takotsubo. I sintomi sono molto simili a quelli di un infarto, quindi è abbastanza comune confonderli, ma dalle analisi e dalla risonanza in cui abbiamo notato l'estensione del miocardio colpito, molto simile al Takotsubo, è evidente che si tratti di quello.»

Lo scruto un po' perplessa, non avevo mai sentito niente del genere. «Cosa sarebbe questo Takotsubo

«Di base è uno cestello per la pesca giapponese, è da qui che prende il nome la sindrome. Il miocardio si estende fino a ricordare la forma dell'utensile» spiega il medico.

«Quindi... come fate a essere certi che si tratti di questa sindrome e non di un infarto?» Mordicchio il labbro inferiore.

«Questa sindrome fa parte delle cardiomiopatie non ischemiche, in quanto durante la sua presentazione non vi sono interruzioni al flusso di sangue che irrora il miocardio.»

𝐓𝐇𝐄 𝐓𝐑𝐘 𝐙𝐎𝐍𝐄Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon