5J - Solo il nome la rende off-limits

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«Allora le ho detto: "Piccola, se questo è lo spettacolo, sono pronto a tutto".» Ride Seamus.

Fletto la gamba in avanti, allungandola e scuoto piano il capo.

«Amico, aveva a malapena vent'anni» ribatte Jaxon Mayer, il nostro estremo.

«E allora?» sbuffa l'amico. «Ho ventotto anni, mica quaranta. Eravamo due adulti consenzienti.»

«Mah, sarò io a guardare quelle più grandi» bofonchia Jaxon. Ha ventisei anni, eppure frequenta da sempre donne più grandi di lui. Sarebbe divertente prenderlo in giro, peccato che ci stiano tutte perché è affascinante e sa giocarsi bene le sue carte.

Mi rimetto in piedi e sgranchisco le braccia, pronto ad effettuare alcuni lanci insieme a Loris e Alex. Ci muoviamo a gruppi di tre per lavorare meglio sulla precisione per i primi trenta minuti, poi passiamo a un allenamento di squadra per i restanti trenta.

Prima di raggiungere i ragazzi mi fermo a bordo campo per recuperare della bibita energetica, stanotte non ho dormito molto e mi sento un po' sottotono, cosa che il coach deve aver notato visto il bagno di ghiaccio che mi ha ordinato di fare post allenamento. Se non lo conoscessi almeno un pelo, direi che quell'uomo mi disprezza. Sto pagando per la mia brava di qualche sera fa, specie dopo aver parlato con l'addetto stampa della squadra e il team manager. Con me c'erano anche Alex e Loris e tre fisioterapisti che ci hanno controllato ancora una volta che le mani fossero a posto.

A quanto pare i media non hanno alcuna intenzione di fermare la valanga di articoli che stanno uscendo fuori, soprattutto in vista della partita di dopodomani. Sapevo che dando un pugno a quell'idiota avrei messo a rischio la mano, è per questo che sono stato più cauto e dopo il primo pugno ce ne siamo andati.

Se fossi rimasto, l'avrei lasciato a terra e questo avrebbe riportato problemi ben peggiori, come una squalifica. Non importa che non ci trovassimo in campo, avrei tolto alla squadra un componente fondamentale e la federazione me l'avrebbe fatta pagare. Il coach me l'avrebbe fatta pagare. Quell'uomo incute timore persino al sottoscritto.

«Siamo pronti?» chiede Loris.

Annuisco e mi preparo a correre per ricevere la palla, poi la lancio all'indietro, passandola ad Alex. Continuiamo così per i minuti successivi, fino a quando non veniamo fermati dalla voce squillante di Christopher: «Coach, non ci presenta la sua signora?»

Veniamo colti tutti alla sprovvista. Il coach è sposato? Non sappiamo molto della sua vita privata perché è più chiuso di un sasso, a volte Loris dice che non andiamo troppo d'accordo perché in realtà siamo più simili di quanto crediamo.

Io non la vedo proprio così. Voglio dire, è vero, non mi apro e non racconto chissà cosa dei fatti miei, ma lui è proprio una cassaforte chiusa a tripla mandata. Persino quando siamo a eventi mondani non riescono a cavargli niente.

Mi volto e rimango spiazzato quando mi accorgo di una ragazza stringere in un abbraccio il coach. Lui le lascia un bacio sui capelli e poi si scosta leggermente, il viso è rabbuiato.

«Ehilà, ragazzi, sono Calista Spencer!» esclama. I capelli scuri e mossi le ricadono sulle spalle, non riesco bene a scorgere il colore degli occhi ma intuisco che sono anch'essi scuri. Indossa un paio di jeans e una semplice maglia, niente di sfarzoso. Con sé porta una borsa in spalla e quello che ha l'aria di essere un porta pranzo. Non è alta, sarà sul metro e sessantacinque. È snella, ma formosa nei punti giusti e ha il più bel paio di labbra che abbia mai visto. Sono carnose, morbide, lucide di un rossetto leggero.

Cazzo, non posso fare apprezzamenti sulla moglie del coach, anche se avrà trent'anni in meno di lui. È proprio vero che l'amore non ha età.

«Cali!» sibila il coach.

𝐓𝐇𝐄 𝐓𝐑𝐘 𝐙𝐎𝐍𝐄Where stories live. Discover now