9. Ary: Ha per caso fatto una battuta?

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Le note della melodia nuziale risuonavano nella mia mente. Il mio lungo abito bianco era splendido e il velo che mi copriva il volto mi solleticava i zigomi.
Al mio fianco, James si era offerto di accompagnarmi. 
Sull'altare c'era lui che mi aspettava con il suo sorriso modesto e gentile.
Immaginavo già i nostri bambini, bellissimi, con i miei capelli biondi e i suoi meravigliosi occhi del mare che riflette il cielo nuvoloso.
«Terra chiama Arianne Barker!» esclamò Seth Frost chinato su di me a pochi centimetri dalla mia faccia. Balzai indietro e rovesciai la sedia, cadendo di schiena.
Gli altri risero.
«Mr. Frost! Ha per caso fatto una battuta?» chiesi sorridendo birichina. Sperando che chiudesse un'occhio.
«Il senso dell'umorismo non ti aiuterà a imparare l'italiano» mi disse fissandomi dall'alto in basso.
«Però mi aiuterà a socializzare con gli italiani.» risposi in perfetto italiano.
Se Seth ne rimase sorpreso, non lo diede a vedere.
In realtà non sapevo bene l'italiano. Mi ero preparata semplicemente alcune frasi ad effetto in ogni lingua per tirarmi fuori dai guai, come in quel momento.
Fortunatamente funzionò perché Seth tornò a sedersi dietro il tavolo, lasciando che la nostra insegnante continuasse la lezione.
Al termine, puntai immediatamente verso Nick per chiedergli se volesse pranzare assieme a me, ma il ragazzo era distratto.
Mentre tutti gli altri uscivano dall'aula, notai anche io che Seth aveva trattenuto il Rubinetto e, in quel momento, stavano parlando fitto fitto di qualcosa.
«Di cosa pensi che stiano parlando?» chiesi a Nick.
«Probabilmente dei suoi progressi. Dopotutto è risultato il migliore negli ultimi test.» commentò Nick mettendo via il tablet.
«Ti spiace precedermi, Ary? Dovrei parlare anche io con Mr. Frost.» chiese il ragazzo.
Non dicevo mai di no a richieste del mio amato Nick.
«Non c'è problema.» replicai sorridendo ampiamente.
Nel frattempo anche il Rubinetto stava uscendo dall'aula.
Accelerai il passo per superarlo ma lui non sembrò nemmeno accorgersene.
Mi voltai, trovandolo intendo a controllare il telefono con espressione indecifrabile. Poi mi superò, ancora una volta, senza accorgersi di me.
Ero tentata di gridargli dietro, ma non ne avevo alcun motivo, così lasciai perdere.

«Lo trovo incredibilmente ingiusto.» stava borbottando Alan mentre cercava annoiato di cuocere un pesce.
La puzza si stava diffondendo per la piccola stanza che ci avevano assegnato quel giorno. Mi veniva da vomitare.
«Parli sempre della scommessa? Siamo uomini di parola, non possiamo mangiarci quel che abbiamo detto.» disse il fratello.
«Ma lo trovo ugualmente ingiusto.» si lamentò ancora Alan.
«Voi due. Invece di chiacchierare concentratevi sul vostro pesce. Vi ho assegnato 45º, voi a quanto li state scaldando?» si avvicinò il grande uomo barbuto e muscoloso chiamato Hiram Stark.
«45º?» tentò Albert sorridendo.
Il padre lì afferrò entrambi per la testa e iniziò a stringere.
«Ahia! Papà! No!» si lamentò Alan prendendosi la testa ancora nella mano gigante del padre.
«Voi due marmocchi...» ringhiò l'uomo. Me lo immaginai mentre iniziava a infiammarsi alla lettera, conoscendo il suo animo di fuoco.
Era comico vedere quei due gemelli torturati dal genitore.
Mentre la felice famigliola continuava a battibeccare come al solito, notai il Rubinetto passare davanti alla porta a passo svelto.
Perché tanta fretta? Non aveva esercitazione con i poteri anche lui?
«Mr. Stark, posso andare in bagno?» chiesi sorridendo candidamente.
«Certamente» replicò l'uomo continuando a stringere la presa sui suoi figli, che in quel momento stavano venendo soffocati dalle braccia possenti del padre.
Uscii velocemente e raggiunsi di corsa il Rubinetto, sperando di non averlo già perso di vista.
Aveva l'aria sospetta e io volevo sapere cosa avesse in mente.
Lo scovai all'uscita Dove stranamente non c'era nessuna guardia postata all'ingresso.
Lo seguii in fretta, mantenendo una notevole distanza.
Fuori, dopo qualche miglia a piedi lontano dalla prigione in cui soggiornavamo, c'era un taxi ad aspettarlo e lui ci salì tranquillamente.
Poi partì.
Proprio quando pensai che la mia intenzione di seguirlo fosse stata vana, per quella strada scorsi in lontananza un altro taxi. Alzai la mano frettolosamente e quella di fermò. Vi entrai tutta emozionata.
«Segua il taxi davanti!» esclamai.
L'autista mi guardò male.
Evidentemente le cose non funzionavano come nei film.
«È importante! Dentro c'è il mio ragazzo e sta partendo per l'Europa pensando che l'abbia tradito! Devo raggiungerlo prima che sia troppo tardi o faccia qualcosa di stupido!» esclamai con il mio miglior tono da bugiarda.
Ebbi l'effetto voluto poiché l'autista mutò espressione e disse:«Questo cambia tutto!»
Poi partì a tutta birra.
Arrivammo in centro città di Philadelphia dove il Rubinetto scese ai piedi di un centro commerciale.
Scesi anche io e tirai fuori i miei soldi di riserva dal reggiseno per poi darli al tassista.
«Tenga il resto!» esclamai mentre lui guardava il biglietto da cinquanta dollari stranito.
Poi mi voltai per trovare il Rubinetto.
Prima di correre dentro attraversando la porta scorrevole, mi accorsi che si era fermato davanti ad un fioraio ambulante e non era entrato nel centro commerciale.
Mi affrettai a nascondermi dietro alla pianta posta per bellezza davanti all'entrata dell'edificio.
Il Rubinetto pagò il fioraio ma non lo vidi con in mano alcun fiore.
Controllò il telefono e ci tenne lo sguardo fisso, poi si guardò intorno con aria circospetta e iniziò a dirigersi verso le scale per la metropolitana.
Lo seguii a debita distanza.
Il Rubinetto continuava a guardare il telefono e mi meravigliai che non andasse a sbattere contro nessuna di quelle persone di fretta.
Passò il cancelletto senza passare alcun biglietto, subito dietro ad una ragazza.
Imitai il suo trucco, sfruttando la marea di gente che continuava a scorrere.
Lo seguii mentre scendeva ancora le scale per poi infilarsi in una cabina della metropolitana.
Riuscii ad entrare anche io, poco prima che le porte si chiudessero alle mie spalle.
Era veramente piena di gente, positivo per nascondermi, ma scomodo per tener d'occhio il Rubinetto. 
Ad una seconda ripartenza persi l'equilibrio e quasi andai a finire addosso ad una povera vecchietta. Fortunatamente una ragazza seduta ebbe la decenza di farle prendere il suo posto.
Il Rubinetto scese alla fermata successiva e lo seguii quatta quatta.
Lo scorsi finché non prese le scale, ma quando arrivai all'uscita e mi guardai attorno non lo trovai.
Ci trovavamo in un quartiere tranquillo, abitato e senza uffici, di Philadelphia, c'era molta meno gente rispetto al centro, non sarebbe dovuto essere difficile scorgerlo.
Mi aggirai per le una strada laterale, tenendo di aver sbagliato scelta non appena la presi.
«Che hai in mente, stupido Rubinetto? È dove sei finito?» borbottai tra me e me. In realtà non mi spiegavo nemmeno perché mi interessasse tanto cosa avesse in mente. Solo che mi era sembrato... Sospetto. Sì, era sospetto e per questo volevo accertarmi che non facesse niente di strano.
«Non è carino pedinare la gente, FireLiz» commentò una voce alle mie spalle.
Mi voltai di scatto e lo ritrovai appoggiato tranquillamente al muro. Eppure non mi sembrava di averlo notato quando ci ero passata prima.
«Non ti sto pedinando! Sei tu che sei sospetto!» esclamai puntandogli il dito contro, già pronta a scagliarmi su di lui. Però lui non stava sorridendo come faceva il suo solito. Lo faceva ma sembrava più forzato e meno sicuro.
«Vieni con me?» mi chiese staccandosi dal muro e precedendomi, senza replicare alla mia accusa.
Lo seguii confusa senza dire niente.
Il Rubinetto camminava davanti a me, con le mani infilate nella tasca della giacca a vento blu. Ciondolava leggermente in avanti quando camminava, era molto meno aggraziato di quanto avessi pensato. Credevo che in questi anni in cui ci eravamo perduti di vista fosse improvvisamente cambiato completamente; credevo che fosse diventato troppo bravo e sicuro di sé; credevo di non essere più al suo stesso livello. Ma camminava esattamente come quando eravamo piccoli e questo piccolo dettaglio mi fece sorridere.
Riconobbi il cimitero solo una volta attraversati i cancelli di ferro. Le lapidi ben curate erano disseminate ordinatamente per una lunga distesa a dislivelli. Regnava un inquietante silenzio che sembrava zittire persino il vento tra le foglie degli alberi.
Il Rubinetto proseguì a passo sicuro con il telefono in mano.
Sembrava avere una metà precisa.
Poi si fermò davanti ad una lapide in pietra scura e le incisioni più chiare.

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