20. Nick: Ostaggio

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Drogati. Ci avevano drogai tutti quanti e usare i poteri era fuori questione.
Ero paralizzato e il mio corpo era seduto mollemente in un angolo di una stanza vuota.
Non riuscivo più a parlare e a tenere la testa alta, ma il mio udito funzionava ancora.
Mi ero svegliato in quello stato dopo che mi avevano tramortito. Ma non potevo non reagire dopo che aveva ucciso quell'uomo.
Non avevo la minima idea di dove mi trovassi, sapevo solo di essere impotente.
Non sapevo nemmeno dove fossero le ragazze.
Non avevo potuto fare niente per loro, mi avevano colto di sorpresa.
E poi... L'ostaggio. Non potevo fare nulla.
Mi sentivo così inutile e stupido.
Courtney ed Eli si sarebbero dovuti sposare il giorno dopo e invece li avevo coinvolti in qualcosa che non li riguardava.
Non sarei più stato capace di guardare mio fratello in faccia. Avevo messo in pericolo la persona che amava quando lui non c'era. Mi detestavo per ciò.
Sicuramente se Eli fosse stato in casa in quel momento nessuno sarebbe stato preso nonostante l'ostaggio. Mentre io ero stato sopraffatto dal numero.
«Siamo sicuri che l'effetto non possa svanire?» sentii chiedere qualcuno. Una voce di una ragazza.
«Ma che ne so? Se loro ci dicono che è così allora è così, no?» sbuffò un altro. Questo era un ragazzo.
«Io non capisco perché diamo retta quei cervelloni. Non c'è alcuna differenza con la B.L.C. in questo modo, secondo me. Anche questi ci sfruttano per i nostri poteri... Che schifo.» sbuffò lei.
«Diana non dire certe cose.» la avvertì lui.
«È solo che... Da quando lui ci ha fatto scappare pensavo che sarebbe andato tutto bene e invece ci ritroviamo coinvolti in un'altra stupita faida. Io non ce la faccio più» singhiozzò lei.
Si sentì un fruscio. Forse si erano abbracciati.
«Questa è per una buona causa. Di Prometeo ci si può fidare.» sentii dire lui.
«Non l'hai nemmeno mai visto. Come puoi esserne tanto certo?» chiese lei.
«Perché quando sono con voi mi sento a casa... Mi sento di appartenere a qualcosa. Cosa che non ho mai sentito quando ero alla B.L.C. e nemmeno sotto la guida di Ellen Frost. Non hai la sensazione di non essere usata e di avere una scelta? E se non fosse stato per Prometeo non ci saremmo mai ritrovati, no?» sentii dire lui.
Lei non rispose.
Lui sospirò.
«Come stanno le altre ragazze? Non voglio sembrare un mostro come loro.» disse lui.
«Li abbiamo drogati, cosa ti aspetti? Che ti ringrazino, Caleb?» commentò sarcastica Diana.
«Lo so, ma questi ragazzini sono dell'Élite e lei è la Fenice! Non è che uno di noi possa avere qualche speranza contro di lei se fosse in perfetta salute. Cioè, già mi sento in colpa per quel signore italiano.»
«Non pensavo ti potessi sentire in colpa, Caleb, considerando che eri un Ribelle» commentò lei.
«Ma stai zitta tu. Lo sanno tutti che gli Imperium della Base di Philadelphia sono i peggiori. Avete dato inizio al secondo programma per le Guardie Dirigenti, no?.» replicò lui.
«Ma come os...» iniziò Diana. Ma venne interrotta da una porta che si apriva.
«La piantate voi due di battibeccare? Sono arrivate le comunicazioni da Prometeo.» affermò la voce di un'altra donna.
«E che facciamo con lui?» chiese Diana preoccupata.
«Questi tizi non sanno veramente niente. Non dovevamo preoccuparcene troppo. Dobbiamo solo recuperare l'Element che a quanto pare è con gli altri marmocchi» spiegò la nuova arrivata. «secondo Prometeo dovremmo nasconderli da qualche parte per attirare gli altri. Verranno e porteranno anche gli Elments»
«Potrebbero aver già chiamato la B.L.C. I rinforzi potrebbero essere già in volo» commentò Diana.
«E lascia che vengano. Abbiamo Prometeo dalla nostra parte.» replicò la nuova arrivata.
«La B.L.C. conta grandi Imperium. Il Geminus si è unito a loro e ci sono anche gli ex membri dell'Élite! Come pensa Prometeo di sconfiggerli?» chiese Diana.
«Devi solo avere fiducia in lui. Ci aveva detto che sarebbero arrivati dei ragazzi-esca con l'Element e sono effettivamente arrivati. Ci ha detto che ci avrebbe dato una casa e una famiglia e l'ha fatto.» disse l'altra.
«Ora rinchiudiamoli in luoghi separati come ci ha detto lui. E una volta fatto attendiamo che si sveglino. Gli altri ragazzini arriveranno. Dobbiamo solo stare attenti a quel tizio
«Pensi ci troverà?» chiese Caleb.
«È solo un Imperium. Sarà anche forte ma non può batterci in numero. E poi ha scelto di ritirarsi, deve essersi arrugginito molto. Basta non abbassare la guardia.
Ah, giusto. C'è Diaz che vuole interrogare questo ragazzo, quindi avvertitelo quando si sveglia.» affermò la donna prima di uscire di nuovo.
La porta sbatté e ci fu nuovamente il silenzio.
Mi resi conto in quel momento che riuscivo a muovere le dita.
Provai a muovere anche un piede ma quelli erano ancora paralizzati.
Mi sforzai di aprire le palpebre.
Con gli occhi semiaperti e appannati, vedevo sfocate le mie gambe. Intravidi il pavimento di sporco di polvere.
Avevo le gambe legate da del nastro per imballaggi e le braccia dietro la schiena avevano delle manette.
Provai a muovermi di nuovo, ma, con il corpo ancora mezzo addormentato, riuscii solo a farmi scivolare a terra.
Non sentii nemmeno il dolore.
«Si è svegliato» commentò la voce di Caleb.
Il ragazzo venne a tirarmi su.
«Ehi, ci sei?» chiese.
Riuscii a guardarlo, ma quando provai a parlare mi resi conto che avevo anche la lingua intorpidita.
«Tranquillo, i sapientoni russi dicono che è momentaneo questo stato» disse Caleb.
Era un ragazzo piuttosto giovane. Probabilmente aveva l'età di mio fratello. Aveva i capelli biondi che erano tirati indietro e legati in una mezza coda.
Aveva un viso con le mascelle squadrate e gli occhi erano chiari. Non riuscivo a dire se fossero azzurri o verdi, o forse grigi.
Mi sorrideva amichevolmente, ma allo stesso tempo sembrava distante e freddo.
La ragazza dietro di lui, sicuramente Diana aveva capelli neri raccolti in una coda. Aveva una specie di bandana attorno alla testa e portava una giacca da aviatore argentata.
Mi guardava con le sopracciglia scure inarcate e gli occhi del medesimo colore erano truci.
Anche lei sembrava giovane, della stessa età al massimo.
I sapientoni russi? Provai a dire. Ma avevo ancora la lingua morta.
Possibile che la S.S.U. fosse malvagia?
«Io sono Caleb O'Brien e lei è la mia amica Diana Arrow. Credo che tu ci conosca come membri della Resistenza.» si presentò.
«Stai tranquillo, non vogliamo farti niente. Ti tratteniamo un po', così come voi avete trattenuto il mio amico Bob. E sì, si chiamava Bob. Lo vedo dal tuo sguardo che ti fa ridere il suo nome. Non sembra reale che esistano veramente persone che si chiamano Bob, eh? Eppure Bob Dylan era un grande, non pensi?» si mise a ridere da solo ottenendo un'occhiataccia da parte di Diana.
«Comunque davvero, non abbiamo cattive intenzioni.» disse Caleb diventando più serio.
Provai a parlare ma mi colò la bava e uscì un verso strano.
Caleb sorrise.
«Ohi, ohi. Cosa cerchi di dirmi, giovane Imperium?» sorrise Caleb.
Diana allungò un fazzoletto e mi pulì la bocca.
«Giovanotto, fai meglio a stare in silenzio per un po'. Vado a chiamare Diaz» disse poi rivolta a Caleb. Lui le fece un cenno di assenso.
La ragazza uscì dalla stanza.
In realtà non si trattava di una stanza. Sembrava un ufficio vuoto. Respirando profondamente notai l'odore di vernice fresca e guardando oltre la spalla del ragazzo chino su di me, vidi che tutto sembrava nuovo.
Forse era un'ufficio di un edificio appena costruito.
«Diaz è un nostro amico che ti vorrebbe parlare. Tranquillo, non usiamo torture o quant'altro. Non siamo pazzi come Susan Blackwood. O stronzi come Christopher Barker. Diaz è simpatico e...»
«Diaz ha avuto un impegno» disse Diana ritornando nella stanza.
«Cosa? Certo che quell'uomo fa sempre i comodi suoi.» sbottò Caleb. «È come avere un fratello maggiore bambino. O uno zio infantile» continuò.
Caleb andò avanti a borbottare e a lamentarsi di Diaz con Diana ed entrambi mi ignorarono.
Pensai che quei due... Sembrassero così umani...
Iniziai a chiedermi se le idee che ci eravamo fatti della Resistenza fosse esatta. Però non ne sapevo ancora molto e l'esistenza di questo Prometeo mi rendeva irrequieto.
Mi accorsi di aver preso sensibilità nella parte superiore del corpo e riuscivo ormai a muovere bene le dita.
Le mossi, cercando di creare delle piccole lame d'aria per potermi liberare dalle lamette.
Non sapevo se sarei stato in grado di sopraffare quei due ragazzi ma ci dovevo provare.
Non sapevo dove mi trovavo e non sapevo dove erano le ragazze, ma da buon Imperium dell'aria dovevo essere anche capace di improvvisare.
E il mio istinto mi diceva di andarmene da lì al più presto, non importava come.
Stavano cercando di attirare Arianne e gli altri usando noi come ostaggi. Senza ostaggi non li avrebbero catturarti.
Inoltre non mi piaceva il loro modo di parlare di Prometeo, come se fosse una divinità salvatrice. Inoltre, avevano una tale fiducia in questo individuo che pensavano fosse all'altezza della B.L.C., nonostante conoscessero l'esistenza di gente come gli Sharp.
E poi sapevano che eravamo esche. Com'era possibile? Era un'informazione riservata persino agli altri membri della squadra. Solo in pochi ne conoscevano l'esistenza.
Non volevo certo pensare che ci fosse stata una fuga di informazioni... Magari causata da una spia all'interno.
Il mio pensiero andò immediatamente a Cray. Non si trattava del fatto che ce l'avessi con lui perché mi stava antipatico, ma ero solamente andato per esclusione.
Se alla B.L.C. c'era una spia era il più probabile.
Gli unici a sapere del piano erano Meng Xu, James, sua sorella Joanne, io e Cray. Più alcuni dirigenti russi. Ma non potevano essere loro. Che senso aveva aiutarci fornendoci l'Element per poi rubarcelo?
Quindi restava solo Nathan Cray. Era pure stato inserito nella lista dei problematici da tenere sotto controllo per via dei suoi comportamenti ambigui e sospetti.
James una volta mi aveva confessato che trovava Nathan di una intelligenza spaventosa e che avrebbe voluto essere suo mentore per evitare che quella mente brillante prendesse una strada sbagliata.
Quella volta, pensai che James avesse preferito tenere lui tra gli Élite piuttosto che un Geminus incapace come me, ma, notando la mia espressione, James mi disse:«Ma dopotutto è più difficile guidare un grande leader dal cuore tenero.»
Prima di partire avevo pure esposto i miei pareri a James e Joanne. Avevo detto loro che non ritenevo Cray adatto alla missione.
Quei due si erano guardati e poi lei mi si era avvicinata e mi aveva colpito la fronte con le dita, facendomi male.
«Anche se Nathan è un tipo da mente, non tradirebbe mai il suo cuore» aveva affermato la sua mentore. Quella frase non aveva senso per me.
Detestavo quando gli Sharp facevano i criptici. Preferivo che dicessero che cose chiaro e tondo. Ma anche se quei due si fidavano di Cray, ciò non riguardava me.
Dal mio punto di vista, Cray non teneva veramente a nessuno. L'avevo sempre percepito come una persona distante, nonostante fosse sempre in mezzo a noi, come la pecora nera tra le cento bianche.
E quindi probabilmente avevo ragione a sospettare di lui.
Riuscii a liberarmi, ma cercai di non darlo a vedere ai due ragazzi di guardia.
Ad un certo punto avevano iniziato a battibeccare per qualcosa a cui non avevo prestato attenzione, dato che ero concentrato a fare altro.
Dovevo mantenere la calma.
Presi un profondo respiro e soffiai. L'aria che fuoriuscì dal mio petto mandò a sbattere i due ragazzi contro il muro.
Mi misi in piedi, liberandomi delle manette ai polsi e dello scotch ai piedi.
La finestra sembrava fatta di vetro infrangibile, così concentrai una sfera d'aria nel palmo della mano e la lanciai contro di essa.
Era un trucchetto che avevo inventato io prendendo ispirazione dal manga di Naruto e il fatto che funzionasse veramente aveva stupito più me che gli altri.
I vetri si infransero esplodendo.
Pezzi taglienti volarono ovunque e Caleb fece da scudo a Diana, loro che erano i più vicini alla finestra.
Lui venne ferito, ma la cosa non doveva interessarmi.
Presi la rincorsa, pronto a buttarmi fuori, ma Caleb mi trattenne per la gamba, impedendomi di buttarmi fuori.
Ingaggiammo una lotta corpo a corpo, dove lui cercava di fermarmi con prese stritolanti e io mi liberavo. Diana si mise in piedi e si unì alla lotta.
«Fa qualcosa! Questo ragazzino è forte!» esclamò Caleb a Diana.
«Sto facendo il possibile! Non c'è terra al settimo piano di un edificio!» protestò lei.
«Fai tu qualcosa piuttosto!» sbottò lei dopo avermi tirato un pugno che schivai.
«Non c'è ancora acqua corrente in questo palazzo nuovo! E non riesco a concentrarmi con questo qui e il dolore alla schiena!» esclamò mentre cercava di afferrarmi. Feci una capriola all'indietro.
Non potevo sprecare energie con questi due. Dovevo risparmiare le forze perché prevedevo una lunga giornata se dovevo salvare anche gli altri.
«Non ti ho chiesto io di proteggermi da quelle schegge!» esclamò Diana.
«Non ne avresti avuto comunque il tempo!» sbottò l'altro.
«Perché l'hai fatto se continui a lamentarti?! Me la cavo da sola! Sono stata un membro della Base di Philadelphia!» iniziò a urlare Diana. Smise di assumere una posa combattiva e strinse i pugni lungo i fianchi e sbatté un piede a terra.
La fissai stupito e confuso.
«Forse perché ti amo?!» urlò in risposta Caleb zittendola.
Lei assunse un'espressione stupita e Caleb abbassò lo sguardo, in imbarazzo, dopo essersi reso conto di cosa aveva appena confessato.
«Okay, mi sento a disagio» ammisi interrompendo quel momento.
I due si voltarono verso di me, come se si fossero appena ricordati che c'ero anche io.
«Voi risolvete la situazione, io penso che vi lascerò soli» affermai.
Creai un turbine d'aria che fece alzare i vetri rotti attorno a me.
I due ragazzi si chinarono e usarono le braccia per proteggersi.
A distrazione compiuta li superai e corsi verso il vuoto, spiccando un salto oltre la finestra.
In caduta libera, volteggiai in aria per poi intrufolarmi, spaccando il vetro di diverse finestre sotto, e rovinare dentro.
Corsi fuori dalla stanza cercando la zona degli ascensori. Lì sicuramente c'era un qualche tipo di piantina che mi avrebbe potuto dare qualche indizio su dove fossero le ragazze.
Sentii qualcuno correre nella mia direzione. Mi guardai intorno, cercando di pensare ad un luogo dove nascondermi.
Ma mi trovavo in mezzo ad un corridoio e così tornai nella stanza dalla quale ero appena uscito.
Ritrovai i vetri implosi. Anche quella stanza era vuota. Non sembravano esserci luoghi in cui nascondersi.
Poi notai le inferriate dei condotti dell'aria. Non ero certo di riuscire ad infilarmici dato che sembravano parecchio strette ma non avendo opzioni migliori mi arrampicai. Tirai con violenza le inferriate e sgusciai dentro velocemente.
Fortunatamente non soffrivo di claustrofobia perché era veramente stretto e a mala pena riuscivo ad avanzare con i gomiti.
Trovai presto un'uscita e spinsi con le gambe per uscire.
Mi lasciai cadere attraverso l'apertura e caddi in ginocchio in una stanza stranamente arredata.
Mi trovavo in una camera dalle pareti rosa e con un letto a baldacchino dalle tende rosse abbassate. Accanto, alla sinistra del letto, c'era una sedia imbottita, anch'essa aveva il tessuto rosso e le decorazioni dorate.
Dall'altra parte di essa, invece, c'era uno strano macchinario che mandava dei segnali acustici. Sembrava una di quelle macchine che tenevano in vita le persone in coma.
La tenda davanti lasciava intravedere l'interno buio e mi sembrò di scorgerci qualcuno.
Mi avvicinai a passo felpato verso il letto.
Allungai una mano, pronto a scostare la tenda, quando percepii uno spostamento d'aria.
Scattai di lato proprio mentre una freccia andò a piantarsi nell'esatto punto in cui ero.
«Freccia? Ma che siamo nel Medioevo?» esclamai spostando lo sguardo su una balestra appesa al soffitto.
Quella iniziò a sparare frecce a raffica, obbligandomi ad indietreggiare.
La porta alle mie spalle si aprì da solo, facendomi uscire da lì.
Finii addosso a qualcuno.
Mi allontanai di scatto pronto a tramortire la persona, ma il suo sguardo spaventato mi fece fermare.
«Michela!» esclamai scioccato.
«Tu!» disse senza parole.
«Che ci fai qui?» esclamai sconvolto. Che ci faceva una Popolana qui? Ripetei in testa.
«Mio padre!» esclamò lei. «Il GPS del telefono... Mi sono fatta aiutare da Angelo!» disse cercando di trovare le parole in inglese. Era come se nel panico non riuscisse a parlare bene la lingua.
«Ti porto fuori di qui» dissi prendendola per un braccio.
«No! Devo trovare mio padre! Dov'è mio padre!» protestò tirandomi.
Strinsi le labbra frustrato.
«Non lo so.» dissi.
«Come sei entrata?» le chiesi tirandola per il polso.
«Dalla porta d'ingresso» affermò lei stupita.
«E non ti ha vista nessuno?» chiesi.
«Non c'è nessuno in questo edificio.» disse confusa e guardandomi in modo strano.
«Ci sono ancora dei lavori da finire, mi sono intrufolata. Non c'era neanche un muratore o tecnico.» disse.
«Io... Non capisco» borbottai tra me e me totalmente confuso.
Forse non ero all'altezza di quella situazione. Mi chiesi che avrebbe fatto James al posto mio. Quel che era certo era che la Resistenza non era quella che pensavano fosse. Era molto più organizzata, pericolosa e nascondeva molti più segreti.
«Mi stai aiutando a cercare mio padre? Che sta succedendo? Perché la polizia non ha fatto niente? Perché mio padre?» chiese a raffica Michela agitata.
«È stata...» non riuscivo nemmeno a spiegarle cosa fosse successo. Mi sentivo in colpa e tradurre certe esperienze in parole risultava difficile.
«Tuo padre non è c'entrava. L'hanno preso come ostaggio per impedirci di attaccarli. L'hanno usato come una sorta di scudo umano.» spiegai.
Michela puntò i piedi e mi obbligò a fermarmi e guardarla.
«Chi siete voi?!» esclamò sconvolta.
Scossi la testa dispiaciuto.
«Mi spiace, non te lo posso dire... Ma posso prometterti che troveremo tuo padre.» le promisi mettendole una mano sulla spalla.
Lei lo scansò arrabbiata.
«Tu sei folle! Stammi lontana! Troverò mio padre da sola!» esclamò prima di voltarsi e iniziare a correre.
Per una frazione di secondo pensai di non seguirla, di lasciarla andare, ma sarebbe stato troppo pericoloso per una Popolana. Avevo già perso Gianluca, non potevo permettere che accadesse qualcosa anche a sua figlia.
Con i miei poteri percepii un altro spostamento d'aria. Feci uno scatto e placcai Michela, buttandola a terra.
Davanti a noi, infondo al corridoio, c'erano due persone.
«Presto, corri!» esclamai tirando su Michela e ignorando i suoi gemiti di dolore.
«Corri!» la incitai nuovamente.
Creai un vortice d'aria per rallentare quella gente e presi Michela per un polso per poi correre verso il lato opposto.
«Che cazzo sta succedendo!» Imprecò nella sua lingua.
Non ci badai e continuai a correre. Non sapevo dove andare, prendevo scale e corridoio a caso, seguendo solo il mio istinto.
Esso mi portò verso le stanze degli impianti elettrici. Ci trascinai Michela dentro.
«Cosa sei?!» esclamò Michela non appena riprese fiato.
«Imperium. Sono capace di controllare l'aria. Lunga storia. Quel che devi sapere ora è che siamo in territorio nemico e io ho bisogno di scappare di qui. Ho anche bisogno di trovare i miei compagni. E tuo padre. Anche se potrebbero non essere in questo edificio
E anche di riposarmi e riprendermi dagli effetti della droga. Okay, non necessariamente in questo ordine.» dissi appoggiandomi contro un macchinario che emetteva tante luci.
«Papà è qui» disse lei. «Ho seguito il suo GPS»
Annunciò tirando fuori il suo telefono per farmelo vedere.
«Dov'è?» chiesi seguendo l'immagine dello schermo.
«Qui» indicò un punto sullo schermo.
Automaticamente mossi le dita, immaginando che l'immagine si sarebbe ingrandita in ologramma, ma non si trattava di uno dei telefoni della B.L.C., quindi lo schermo rimase dov'era.
«Che aggeggio obsoleto» commentai.
Michela mi guardò male.
«Emh, qui sembra indicare l'ultimo piano...» affermai cambiando discorso.
«Spero che gli ascensori funzionino» disse lei.
«E chi ti ha detto che useremo un ascensore?» chiesi sorridendole.

Elements: RimastaWhere stories live. Discover now