49. Nathan: Un colpo al cuore

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Sentire freddo mi faceva capire che ero ancora un essere umano. Che il mio sangue fosse ancora caldo. Che il mio cuore battesse ancora.

Sentire freddo e provare dolore nel sentirlo, mi faceva capire che ero ancora sensibile alla natura e che avevo ancora il controllo sui miei poteri.

Ero felice di riconoscere che avevo freddo, che mi tremassero le dita e vedere che esisteva gente che era più resistente al freddo di me.

«Certo che fa freddo» commentai canticchiando felicemente.

La brezza gelida mi disordinò i ricci troppo lunghi.

Un tempo mi avrebbe dato fastidio. Detestavo il disordine.

Ci passai semplicemente la mano per chiarirmi il campo visivo, prima di salire sul traghetto.

Mi voltai alla mia destra, per assicurarmi che il mio compagno non si fosse perso nel frattempo.

Dopo essermi assicurato che fosse a bordo spostai lo sguardo sulla folla di gente sulla terraferma.

E per una frazione di secondo mi sembrò di riconoscere una figura femminile: una ragazza dai capelli di un biondo dorato intenso, lisci e lunghi, sbandierati dal vento freddo del Canada.

Ma forse mi sbagliavo.

Era improbabile che lei si trovasse lì.

Sarebbe stata una coincidenza troppo strana.

Non pensai nemmeno la B.L.C. avesse potuto trovarmi, perché se sapevano che ero lì, dovevano sapere del piano. E nessuno sa del piano. Nessuno sa dei miei piani se non lo voglio far sapere.

Vidi il mio compagno emozionato per qualche strano motivo. Non era mica la prima volta che saliva su un traghetto. Anzi, avevamo visitato posti migliori, con vista e clima più apprezzabile. Eppure lui sembrava più contento del solito.

Lo lascai gioire. Vidi un secondo traghetto dietro al nostro.

Se lo ribaltavo con i miei poteri, avrei potuto accorciare i tempi, ma non volevo rompere la promessa fatta al mio compagno.

«Poi meglio non coinvolgere Popolani a questo punto» mormorai tra me e me.

Arrivammo a destinazione e il ragazzo dai capelli bianchi mi prese per il braccio e mi spronò a muovermi.

Per le seguenti ore, feci tutto quello che voleva e visitammo e comprammo tutto quello che desiderava.

Camminavo due passi dietro lui, in modo che potessi tenerlo d'occhio senza perderlo di vista.

«Ehi, Dummy!» lo chiamai ad un certo punto. Era la prima volta quel giorno che cominciavo io la conversazione.

«Ti ho detto di smetterla di chiamarmi così!» esclamò voltandosi. Non sembrava irritato come le altre volte.

Non fece in tempo a aggiungere nient'altro che lo afferrai per il polso e lo tirai a me.

Damien Nagy era un ragazzo flebile, nonostante mangiasse come se il suo stomaco non avesse un fondo. Mi stupiva sempre quanto fosse leggero e sempre debole.

Elements: RimastaWhere stories live. Discover now