10. Ary: Non è un granché

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«Come ti sembra Nathan Harrison come nome?» chiese con le mani intrecciate dietro la testa.
«Non è un granché.» commentai piatta.
«E Nathan Ellis?» chiese ancora.
«Pensavo odiassi i tuoi veri genitori, perché me lo chiedi?» replicai accelerando il passo per raggiungere il suo fianco.
«Almeno hanno qualche valore in più di Cray, dato che non sento niente per questo cognome.» commentò.
«Ma prima di Cray non hai avuto alcun cognome, giusto?» chiesi.
«Nessuno.» confermò.
Accelerai di due passi e mi voltai verso di lui con le mani allacciate dietro la schiena.
«Non importa che cognome hai. Tanto per me sei solo il Rubinetto perdente.» gli dissi. Poi sorrisi e mi fiondai verso le scale della metro.
Prima che potessimo salire venimmo circondati da alcuni individui vestiti di abiti neri. In silenzio ci guardarono e si avvicinarono piano piano. I Popolani lanciavano solo sbieche occhiate per poi tornare a farsi gli affari loro.
Il Rubinetto mi prese per un polso.
«Non reagire.» mi avvertì.
Per una volta gli diedi ascolto.
Non ero così scema da far sfogo ai miei poteri con tutti quei Popolani e senza un Mini-Flash a portata di mano.
Seguimmo quei uomini in silenzio su per le scale.
Poi ci fecero salire su un'auto nera.
«Vi manda Harrison?» chiese Nathan con tono fermo.
L'autista non replicò.
Non impiegammo molto a giungere a destinazione, ovunque essa fosse.
Ci aprirono la porta dell'auto.
Un uomo con gli occhiali da sole mi fece il cenno di scendere.
Lo feci.
Mi trovavo dinanzi ad un edificio alto e bianco, dotato di finestre riflettenti che rispecchiavano alla perfezione il cielo azzurro.
Il Rubinetto fu immediatamente al mio fianco.
Ci fecero salire sull'ascensore.
I numeri lampeggiavano, aumentando di numero finché non si fermarono all'ultimo.
Appena le porte dell'ascensore si aprirono ci ritrovammo in un'ampia sala dal pavimento lucido e bianco. Le uniche macchie di colore erano la segretaria dietro il bancone con l'abito nero in tinta con la sedia girevole sulla quale era seduta. Il resto era tutto bianco, compresi i divanetti del piccolo atrio alla destra. Sulla sinistra, invece, c'era un grande portone con doppi battenti, bianco anch'esso e praticamente fuso col muro.
«Penso che mi piacerà distruggere questo posto» sussurrai al Rubinetto.
«Idem» replicò lui sorridendo.
La segretaria si staccò dalla sua sedia e si avvicinò per aprirci la porta.
Mi aspettavo il vecchio del Rubinetto, che effettivamente c'era, ed era in piedi dietro una figura seduta di spalle, affacciato su un panorama da vertigini dall'alto della sua postazione.
Dall'altro fianco c'erano due uomini vestiti esattamente come i tizi che ci avevano scortato fin lì.
«Sì, è proprio questo ragazzino.» disse il verme che aveva dato alla luce il Rubinetto.
«Harrison, Harrison, Harrison... Tutto questo trambusto solo per via di un bambino?» commentò la voce calma della sedia.
Si girò verso di noi.
Un ragazzo sui venticinque anni ci sorrise da sotto gli occhiali squadrati.
I capelli mossi gli arrivavano indomabili fini alle spalle ed erano trattenuti da un semplice elastico.
«Mi sembra di avervi già visto da qualche parte. Ci conosciamo?» chiese con voce piatta e calma.
Scattò in piedi e girò attorno la scrivania, squadrandoci da capo ai piedi.
Anche a me sembrava di averlo già visto da qualche parte.
«Perché portarci fin qui?» chiese il Rubinetto.
«Oh, niente di speciale. Ho fatto un favore al mio socio d'affari. Lui ha fatto qualcosa per me e io ricambio con qualcos'altro.» commentò il ragazzo agitando la mano tranquillamente.
«Però mi sembra eccessivo, Harrison. Cosa vuoi fare loro?» chiese il ragazzo al vecchio balordo.
«Mr. Smith, questo ragazzino ha violato la mia privacy, mi ha umiliato e ferito. Lei puoi anche tenertela ma voglio che lui soffra, in modo che capisca con chi abbia a che fare» affermò l'uomo.
Fui veramente disgustata dalle sue parole che non potei non intervenire.
«È tuo figlio! Schifoso vecchio pelato! Ha tutto il diritto di prenderti a pugni!» esclamai puntandogli un dito contro.
«Stai zitta stupida ragazzina! Non sono affari tuoi!»
Il ragazzo in completo scosse la testa e rise, facendo zittire sia me che l'uomo.
«Andiamo Harrison, un figlio? Sul serio? Sei proprio un bravo contadino, eh?» commentò con ironia.
«Mr. Smith, sicuramente mentono. Non può essere mio figlio. Vuole solo ricavare qualcosa da me. Ma non glielo possiamo permettere!» esclamò l'uomo corrucciando la fronte.
«Se ti ha preso a pugni penso che essere tuo figlio sia un buon motivo per farlo, non è così?» chiese Smith con la voce più bassa e con un filo di minaccia.
Infatti il padre del Rubinetto tremò e si zittì a pugni stretti.
«Però un favore è un favore. Quando si è uomini d'affari bisogna accettare di vendere l'anima al diavolo e di fare cose deplorevoli. Anche picchiare un ragazzino.
Janis, cerca di non fargli troppo male e fai in modo che Harrison sia soddisfatto.» concluse Smith tornando dietro la scrivania e girando nuovamente la sedia per darci le spalle.
Evidentemente non voleva guardare quello schifoso verme.
Uno dei due uomini avanzò verso di noi facendo scrocchiare le nocche.
Ma non diedi a nessuno il tempo di godersi il Rubinetto a prendersi un pugno nello stomaco che ero già addosso all'uomo. Gli saltai al collo e torsi il corpo, sfruttando la forza dello slancio per puntarlo a terra. Poi veloce saltai sulla scrivania e con una capriola a mezz'aria buttai a terra anche il vecchio pelato.
Tirai indietro il pugno chiuso, pronta a colpirlo su quel muso spaventato e spaccargli il naso, ma qualcuno mi afferrò per il polso e mi trascinò indietro violentemente.
Una mano incandescente minacciava di bruciarmi la faccia.
Era l'altro bodyguard.
Imperium pensai.
«Molla l'osso ragazzina. Vedo che te la sai cavare bene, ma non puoi farcela con qualcuno con i poteri del fuoco.» disse il bodyguard compiaciuto come se fosse sicuro di avermi in pugno.
«Che ne dici di un po' di ghiaccio per gelare questa calda situazione?» sussurrò il Rubinetto comparso ad un tratto alle spalle del bodyguard, avvinghiato a lui come se lo stesse abbracciando ma con una punta di ghiaccio affilato tra le mani a puntargli il collo.
«Siete Imperium.» disse la voce di Smith ad occhi sgranati.
Anche l'uomo pelato a terra era sconvolto e notai con crudele divertimento che era così impaurito da aver bagnato i pantaloni.
«Beccati.» dissi sorridendo prima di accendere le fiamme.
Da quel momento in poi ci fu un putiferio.
Io e il Rubinetto ingaggiammo una lotta accesa contro i due bodyguard che erano entrambi Ignis. Quel genere di persona che faceva sfigurare il mio elemento.
Riscaldai la situazione mentre Harrison si rannicchiava in un angolo a tremare, tendando di proteggersi con le mani sulla testa.
Uno dei bodyguard mi bloccò da dietro, serrandomi in una presa ferrea che mi bloccò la respirazione.
«Fermatevi.» disse categorico Smith quando il Rubinetto era sul punto di spezzare il braccio al bodyguard.
«Lasciala andare Janis.» il bodyguard mi lasciò immediatamente.
Allora quel che si diceva tra la B.L.C. era vero. Molti dei Ribelli avevamo messo a disposizione i loro poteri al miglior offerente.
«Siete della B.L.C.» sussurrò l'uomo.
Poi ad un tratto il vetro s'infranse. I cocci volarono ovunque io mi chinai per proteggermi.
Qualcuno si alzò da terra e si spazzolò tranquillamente i vestiti, mentre dall'alto del palazzo entravano folate gelide di vento.
«Mi spiace per le finestre Mr. Smith.» commentò Nick sorridendo modestamente all'uomo che guardava a bocca aperta i vetri infranti.
«Era vetro rinforzato! Non è certo fatto di zucchero!» esclamò allargando le braccia Smith.
«Be', io sono un Imperium rinforzato. Direi che le cose in questo modo acquistino un senso.» commentò Nick guardandosi attorno.
«In realtà non pensavo di fare tutto questo baccano...» aggiunse.
«Nick!» esclamai tutta felice correndogli incontro e abbracciandolo di slancio.
«Felice di vedere che stai bene, Ary. Ma sei in grossi guai.» mi bisbigliò all'orecchio prima di lasciarmi andare.
«Temo che ci sia stato un fraintendimento, Mr. Smith. La B.L.C. le porge le sue più sentite scuse.» affermò Nick educatamente.
«Ti rendi conto, ragazzo, che il danno più grande l'hai fatto tu?» chiese Smith a braccia conserte.
«Ho avuto qualche problema ad entrare nel palazzo e sono quindi ricorso a misure drastiche. Se l'incomprensione fosse durata tenevo per l'incolumità dei miei amici.» affermò.
«Ce la stavamo cavando benissimo prima del tuo arrivo.» commentò il Rubinetto.
Nick gli lancio un'occhiataccia.
«Non avrei fatto nulla di particolare. Sono della B.L.C. e nei miei accordi non devo più avere alcun rapporto con i loro membri.» commentò Smith tornando a sedersi dietro la scrivania, con il vento che gli scompigliava i capelli. Ma lui sembrava stare comodo.
«C'è anche un altro motivo per cui mi trovo qui, Mr. Smith. Sarebbe disposto a incontrare il dirigente Steel? Vorrebbe trattare con lei dei suoi... Traffici»
«Non se ne parla. I patti sono patti. Io lascio in pace voi e mantengo un profilo basso e voi mi lasciate in pace.» disse Smith.
«Mr. Smith, le assicuro che non si tratta di niente che le possa nuocere gli affari.» insistette Nick.
«Il signor Harrison qui presente se l'è fatta addosso dalla paura, perché non lo portate alla B.L.C. per fargli il lavaggio del cervello? Guardate, ho deciso di semplificarvi la vita facendovi prendere la strada più breve che il qui presente ragazzo ha appena aperto.» disse. Ed un secondo dopo il piagnucolante vecchio Harrison era stato buttato fuori dalla finestra rotta grazie ad un controllo perfetto dell'aria. Poi, prima che potessimo anche solo reagire, anche io, Nick e il Rubinetto venimmo buttati fuori.

Elements: RimastaOpowieści tętniące życiem. Odkryj je teraz