capitolo 18

1.5K 55 5
                                    

"Ti devo parlare" si impone il moro che mi aveva dato alla testa la sera prima.

"Non ne ho voglia adesso" rimando. La cosa di cui ho meno necessità per ora è aggiungere altri pensieri alla mia povera testa confusa.
Non aver detto a Matteo la piena verità mi stava torturando, era vero che lo amavo ma avevo omesso di provare qualcosa per Chiesa.

Capivo che quest'ultima era la cosa migliore da fare, che a volte non si raccontava tutto proprio a fin di bene. Volevo evitargli ulteriori sofferenze, stava già male abbastanza e non volevo peggiorare il nostro rapporto compromesso. Quanto a Federico, non potevo e non volevo che scoprisse nulla riguardo i miei sentimenti verso di lui.

Ora dovevo concentrarmi solo su Pessina e arrivare a capire quali fossero le mancanze che mi avevano spinto verso l'attaccante Juventino.
Volevo spiegarmi la ragione di quell'atto scorretto che però non rinnegavo. Quel bacio, reclamato a lungo dalle mie labbra, mi aveva aperto la mente. Ero arrivata a mettere in discussione persino un rapporto così stabile.

Per ora di Matteo conservavo solamente un tenero ricordo e qualcosa di irrisolto...
Da dove dovevo partire per chiarirmi le idee? Dovevo sfruttare il fatto di averli entrambi sempre intorno per aiutarmi a capire.
Dovevo, dovevo, dovevo... Riflettevo e di conseguenza spuntavano più doveri e curiosità.

"Viviana mi stai seguendo?" è di nuovo Chiesa.

"No, scusa stavo pensando ad altro. Non sono in vena di affrontare la conversazione che tu desideri. Possiamo posticiparla?" la mia domanda è più che lecita e prima di affrontare quel discorso con il terzo incomodo mi serve conoscere le frasi da utilizzare. Noto dissenso dall'espressione del suo volto e lo manifesta anche a parole, "Dobbiamo parlare adesso" scandisce fortemente l'ultimo termine.

Scuoto la testa in segno di rifiuto e lui determinato mi afferra il polso e mi trascina con fatica in un posto più appartato del giardino dell'albergo per non essere visti.
Faccio resistenza ma passo dopo passo gli risulta più semplice condurmi lontano dal luogo in cui era radunata la squadra.

Si ferma alle spalle di un albero, una quercia secolare che copre del tutto le nostre sagome.
La mia schiena guarda il tronco dell'albero e i miei occhi sono fissi su quelli di Chiesa.
Lo controllo nel caso in cui compia qualche gesto avventato o poco gradito al momento, non voglio che mi colga di sorpresa.

Sbatto le palpebre e respiro a comando, sono focalizzata su ogni mia e sua singola azione.
Sta riducendo la distanza fra noi, pochi centimetri alla volta, molto gradualmente, per darmi il tempo di prenderci l'abitudine.

Arriviamo ad essere separati da un decimo di metro e sento il suo fiato caldo sul mio collo.
La sua mano destra percorre il mio braccio sinistro imprimendo una lieve pressione su di esso e si blocca all'altezza del mio polso.
Si aggrappa con forza alle mie dita ed è come se tra queste cercasse conforto, sostegno, forza.
Averlo così vicino potrebbe giocarmi altri scherzi e stavolta non ci sarebbe nessun cibo o bevanda con cui giustificare il grave gesto.

Il suo profumo semina una scia a cui resistere è impossibile, riconoscerei il suo odore a metri di distanza pur conoscendolo da qualche settimana. La tensione aumenta a vista d'occhio e con essa anche il mio battito cardiaco. È come se qualcosa premesse contro il mio petto, avverto un nodo alla gola che sembra non far passare neppure l'ossigeno e la saliva, che deglutisco faticosamente.

Ho il terrore che possa avvicinarsi perché so che non sarebbe facile respingerlo. La mano del giocatore è tutt'ora salda alla mia, forse crede che io possa scappare e sta tentando di tenere lontano questo rischio o opportunità, non saprei se definirlo negativamente o no.

Stare a dieci centimetri da lui è un pericolo: provo a indietreggiare. Chiesa non lo permette, posiziona l'intero braccio dietro di me affinché non mi sposti. Peggiora la situazione e accresce il contatto fisico, per giunta con il silenzio l'atmosfera diventa più intima, romantica.
Pare di stare in un romanzo, invece è la realtà.

"Cosa è significato per te quel bacio? E non dirmi 'nulla' perché non potrei crederti".

Taccio.

"Viviana ho il diritto di saperlo" insiste con fermezza; la tonalità della voce è fredda. Il suo volto appare talmente concentrato che non riesco a percepire emozioni, sembra apatico.
Prolungo ancora il mio periodo di silenzio.
"Dimmelo, ti prego" quasi mi implora "Ha scatenato qualche reazione in te perlomeno?".

"No" e contemporaneamente dico si scuotendo il capo dall'alto al basso e viceversa.
"Positiva?" chiede accennando un sorriso prima di aver sentito la risposta. La mia voce nega, ma cuore, occhi e testa affermano di sì.

"Non sto capendo le tue risposte, dici una cosa e nello stesso istante ti contraddici! Viviana devi permettermi di capirti" si esaspera Chiesa.
Il 22 del team bianconero convocato da Roberto Mancini per il campionato europeo, dopo avermi incontrato, si sarà pentito di aver risposto alla 'chiamata dell'Italia'.

Non demorde, "Io avverto la necessità di conoscere ciò che ti passa per la testa, vorrei capire cosa pensi tu di me e cosa provi nei miei confronti" continua con l'interrogatorio.
Chino la testa verso il terreno non riuscendo più a trovare conforto nei suoi occhi castani.

A dire il vero, vedere Chiesa in preda allo sconforto e nervoso mi mette agitazione.
Vorrei vederlo spensierato ed energico come ogni volta! Possibile che Federico condizioni in tal maniera il mio umore? Credo che un legame particolare ci unisca spontaneamente e ci consenta di appartenere l'uno all'altra.

I cento millimetri vanno a dimezzarsi con il passo che il 14 della nazionale compie in avanti. Respiro con affanno e nell'atto di indietreggiare sbatto contro la corteccia dell'imponente albero. La botta mi fa sussultare e compare un lieve dolore nella parte centrale della schiena, luogo di contatto con la superficie legnosa del tronco. "Non fuggire, affrontiamo la questione insieme".

"Ho paura di affrontarla per le cose che potrei scoprire facendolo" asciugo una mia lacrima.

"Ci sono io con te, non devi avere paura perché di qualunque cosa si tratti la vivremo in due" non mi rassicura sapere che dovremo superare tutto questo insieme, la mia priorità deve essere Matteo, se lo merita, glielo devo.
Non ammetto che un amore resistito ad un nemico temibile quale il tempo svanisca così.

"Viviana tu lo ami?" racchiude la mia mano tra le sue, stringendole per sentirne la vicinanza.
Non rispondo subito alla domanda, i pensieri prendono il sopravvento sulle mie parole.
"Forse". l'impulso dichiara incertezza quando di fronte a chiunque altro avrei scandito un 'si'.

Lascia cadere la mia mano, cammina nei dintorni a passo svelto, pensante riflette.
Tamburello la pianta del piede contro la terra al fine di sfogare il nervosismo e l'ansia.
I passi in avanti vengono annullati dall'avanzare di Federico che quasi mi viene addosso. "Sei ancora la ragazza di Pessina?"

"Non lo so" le sue parole erano state chiare ma sapevamo sia io sia il centrocampista blu-nero che non era un capitolo chiuso il nostro.
"Immagino che sappia del bacio, cosa ti ha detto?". Ripeto le parole ascoltate poco prima dal 32 dell'Atalanta. "Quindi, teoricamente parlando, è finita fra voi" parla con leggerezza Chiesa ed io dentro mi riempio di tristezza.

"Se provassi a sfiorare nuovamente le tue labbra come reagiresti?" la domanda che temevo arrivasse mi era stata appena posta.
Le sue dita trovano riparo nei i miei capelli,
mi accarezzano la nuca con movimenti delicati.

bella come quel goal || Federico ChiesaWhere stories live. Discover now