capitolo 33

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"Lascialo entrare, voglio chiarire la situazione perché non posso ignorare l'accaduto" avevo autorizzato Teo a farlo entrare e poi avevo chiesto a quest'ultimo di uscire dalla stanza per avere una conversazione privata con lo juventino. Il primo ragazzo aveva mostrato disapprovazione per la mia volontà ed era uscito dalla stanza agitando il capo.

La voglia di chiarire la situazione era svanita quando Federico si era avvicinato a me e aveva preso posto sul materasso del suo letto, dove ero seduta anche io. Mi aveva scrutato per il tempo necessario a capire che qualcosa non andasse, "Come stai? Sei pallida, che cosa è successo?" mi aveva per l'appunto domandato.

Ero incredula, come poteva pormi delle domande del genere? Come potevo stare secondo lui dopo aver scoperto che la persona che più di tutti amo mi aveva tradito?
"Davvero non capisci?" aveva capito benissimo, ma era come non volesse accettarlo.

Non sapevo cosa gli stesse frullando in testa, aveva la solita aria da ragazzo confuso. I suoi occhi castani vagavano per la stanza mentre la luce del sole, che a breve avrebbe lasciato posto alla luna, li faceva sembrare piscine di miele.

Inaspettatamente il calciatore juventino si era alzato e aveva abbandonato la nostra stanza, lanciandomi solamente uno sguardo veloce. Resto sola e senza parole. La porta era rimasta aperta e Pessina, che aveva visto la scena, era immobile e scosso. Un passo, un altro passo ed ecco che il bergamasco aveva fatto il suo ingresso nella camera per la seconda volta.

Il calciatore dell'Atalanta aveva un aspetto più sicuro, doveva avere qualche idea ben definita in mente. "Senti, dimentica tutto quello che ci siamo detti poco fa e indossa uno di quei vestiti che ti piace mettere, così ti porto in un posto".
Non mi aveva concesso possibilità di scelta.

Esce per permettermi di cambiare l'abito; ne scelgo uno lilla corto di seta e lo abbino a degli stivali alti neri. Afferro una pochette che avevo abbandonato in precedenza sul comodino e mi avvio verso la stanza di Matteo. Sapevo che sarebbe andato lì per rinnovare il suo look per l'uscita improvvisata. Busso due volte.

La porta si spalanca insieme agli occhi di Teo, "Sei..." non serve che aggiunga un aggettivo. "Grazie" mi limito a commentare e dopo mi avvio con lui verso il parcheggio dell'hotel.

Entrare nella sua auto stavolta mi fa un effetto diverso, non sono più la sua ragazza. Non sentirò più la sua mano sulle mie gambe mentre percorriamo strade ad alta velocità, non dovrò più usare lo specchietto del parasole per sistemare il gloss, non canteremo più strane canzoni neomelodiche a squarciagola.

Adesso siamo semplici a... Cosa siamo noi due? Posso ancora usare il "noi" per parlare di me e Teo? Per lui andrà bene se continuo a chiamarlo Teo o dovrò rivolgermi a lui usando il suo nome per intero? Meglio usare Matteo.

"Che fai lì impalata? Forza, sali così partiamo", faccio come mi suggerisce e salgo in macchina, allaccio la cintura e domando "Quanto ci vorrà?". "Tra una trentina di canzoni saremo arrivati, accendi la radio e preparati a stonare".

Dunque nulla era diverso per lui? Dovevo svuotare la mente e farmi meno problemi, pormi meno domande. 'Semplicità' doveva diventare la parola chiave della mia esistenza.

La prima canzone che ci propone la radio è Paraocchi di Blanco. "Se il sole bacia i belli, ti bacio il culo... Ed è così morbido, un tocco di fumo" strilla Pessina, ma nonostante stia gridando riesce ad intonare ciascuna nota.

Mentre ci avviciniamo sempre più alla metà osserviamo il sole tramontare, sono le 20 e a breve farà buio. Dove vorrà mai portarmi il centrocampista della nazionale a quest'ora?

Le ruote dell'auto marcano l'asfalto, il vento attraversa i finestrini e mi scompiglia i capelli, la musica caccia via le paranoie che mi ero fatta e la mano del calciatore azzurro si sposta dal cambio delle marce alla mia gamba sinistra.

Istintivamente mi volto per guardare la sua espressione in cerca di qualche spiegazione ma lo vedo tranquillo, rilassato, per lui quello era un gesto che compieva normalmente con me.
Matteo nota il mio stato di agitazione, "Che cosa ti prende? Ah, ho capito. Scusa" sposta la mano sul volante e ritorna a prestare attenzione alla strada. "Siamo quasi arrivati".

La macchina frena ed io subito mi guardo attorno per capire dove possa avermi portato.
Matteo mi precede e, dopo avermi aperto la portiera, mi porge la mano per guidarmi fuori dal parcheggio. In pochi minuti riconosco subito la mia amatissima Livorno.
Quanti ricordi avevo legati a questa città!

"Non so se lo sai, ma anni fa io e te ci incontravamo sempre qui. Livorno è a metà strada tra Monza e Roma, tu venivi in treno ed io prendevo l'auto di mio padre. Ci davamo appuntamento fuori alla stazione e poi io, che mi ero studiato alla perfezione la città, ti portavo nei luoghi più gettonati per far colpo su di te." ridacchio per la spiegazione di Teo.

"Andia... Andiamo a... Vieni con me" balbetta intimidito lui ed io stringo la mia mano alla sua al fine di farlo sentire a suo agio. Camminiamo e in poco giungiamo a destinazione. Il numero 12 degli azzurri aveva pensato di portarmi al Romito, uno dei migliori ristoranti della provincia toscana. Seduta vista mare e servizio impeccabile, il personale aveva riservato per noi un tavolo in un punto del locale più appartato per far si che fan e tifosi non ci disturbassero come solitamente accadeva.

"Ti piace?" domanda Matteo mentre si passa nervosamente le mani tra i capelli. "È tutto perfetto, grazie" sussurro in risposta. Questo ragazzo riusciva a stupirmi ogni volta di più, ma non potevo continuare a ripetere i medesimi errori. Ora mi sarei goduta la serata, invece domani sarei andata a parlare con Federico e avrei preso la mia decisione.

La cena era trascorsa e non c'era stato alcun intoppo. Le pietanze avevano sapori soavi e la vista sul mare lasciava senza fiato. "Prima di tornare in albergo dobbiamo fare un'ultima cosa" mi anticipa il mio accompagnatore.

Saldiamo il conto, o meglio, lo paga lui dopo la tradizionale lotta verbale per chi deve pagare. In seguito, tramite una scaletta, raggiungiamo la spiaggia. I miei stivali affondano nella sabbia, quindi Matteo mi solleva e tenendomi in braccio mi conduce sulla riva del mare.

Le onde si abbattevano sul bagno asciuga e l'acqua rifletteva la luce della luna. Il mare aveva un non so che di romantico ai miei occhi. E a quanto pare anche ai suoi, "Ti bacerei per concludere la serata in gran stile, ma so che non sarebbe positivo per te" bisbiglia Pessina.

"Ti ringrazio Matteo, per tutto" sorrido seppur dentro di me non ci sia tanta allegria. "Allora, me lo merito un sorriso vero?" chiede scherzando sul fatto che aveva capito che il precedente era stato palesemente falso.
Sorrido una seconda volta, adesso per davvero.

Sfilo gli stivali e ci rincorriamo per diversi metri sulla sabbia fino a quando non inciampo. "Stai bene?" chiede il giocatore azzurro, "Si, ma devo scrollarmi tutta questa sabbia di dosso".

Pronunciando quella frase mi ero ritrovata in acqua. "Fare il bagno con i vestiti era un must per noi due. Oggi stiamo facendo un po' ritorno ai vecchi tempi" ride, percepisco una punta di amarezza in quelle frasi. "È tardi, dobbiamo tornare a Coverciano", la serata è finita.

Sulle note di Ultimo stiamo rincasando, sono le due di notte. "Non fare rumore quando entri in camera, mi raccomando" mi avverte Teo, poi mi saluta con un semplice abbraccio e aspetta di vedermi far ingresso nella stanza 321.

Non faccio in tempo a rivolgere un ultimo saluto al ragazzo che mi aveva tirato su il morale per tutta la sera che vengo sorpresa da Barella. "Ben tornata" esordisce il calciatore, "Chiesa era venuto a cercarti qualche ora fa, dove eri?".  "Sono stata con Matteo. Federico era venuto a parlarmi per chiarire ma non ci siamo detti nulla e poi è uscito dalla stanza. Sono stanca Nico, vado a dormire" tronco la conversazione.

bella come quel goal || Federico ChiesaWhere stories live. Discover now