capitolo 36

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Avevo detto a Federico che mi sarebbe bastata la sua sincerità, eppure ora che lo sentivo raccontare l'intera vicenda per filo e per segno iniziavo a dubitare della mia decisione. Non sapevo se sarei riuscita a digerire ogni dettaglio della storia che stavo apprendendo.

Ci eravamo entrambi infilati in pigiama e poi seduti sopra il letto matrimoniale. "Direi di iniziare a raccontarti ogni avvenimento dal principio, se poi lo desideri puoi interrompermi e fare tutte le domande che reputi necessarie" aveva proposto ed io avevo fatto cenno di si con un movimento della testa.

"Prima di tutto, la ragazza che aveva correttamente affermato di essere la mia fidanzata durante l'allenamento a porte aperte si chiama Benedetta Quagli. Io e lei ci eravamo conosciuti due anni fa durante un soggiorno a Firenze, all'epoca giocavo ancora per la fiorentina mentre ora come sai sono passato alla Juventus da un anno.

Tra noi era scattato un colpo di fulmine, avevamo approfondito la conoscenza e subito avevo etichettato il sentimento che provavo nei suoi confronti con la parola 'amore'.

Benedetta aveva 5 anni in più rispetto a me e infatti la vedevo anche come un punto di riferimento. La sua bellezza, che per la cronaca non è lontanamente paragonabile alla tua, mi aveva attratto e il carattere mi aveva convinto a far si che lei diventasse la mia ragazza.

Insieme avevamo comprato due cani, Mela e Mora, due barboncini. In più eravamo andati a convivere assieme, dapprima in un appartamento nel capoluogo della Toscana, in seguito in una casa situata a Torino a causa del mio trasferimento alla Juventus.

I mesi passavano e, mentre lei desiderava starmi più vicino, sentivo che qualcosa stava cambiando. Non la vedevo più allo stesso modo, l'amore stava svanendo, o forse non era mai stato amore. Sta di fatto che cominciavo a trovarla appiccicosa e volevo reclamare i miei spazi, avevo bisogno di una pausa da tutto ciò.

Fortunatamente, proprio lei era stata selezionata per seguire uno stage nella città di New York. Saremmo stati a 6.376 chilometri di distanza l'uno dall'altra, avrei potuto tornare a respirare per almeno sei mesi. L'avevo spronata ad accettare l'offerta ricevuta e lei aveva ascoltato il mio consiglio.

Una volta partita per la Grande Mela ero quasi sicuro che il nostro rapporto avrebbe preso una brutta piega e che magari mi sarebbe stata proprio lei a mettere un punto alla nostra storia. Le mie considerazioni erano sbagliate.
Per i primi tempi mi sembrava di averla ancora al mio fianco dato che ricevevo continue chiamate, videochiamate e messaggi.

Piano piano con il trascorrere dei giorni ci sentivamo meno frequentemente, le dieci chiamate giornaliere erano state sostituite da conversazioni della durata di soli dieci minuti che avvenivano tramite messaggio. Non è molto carino da dire, ma ero felice. Avevo riconquistato la mia libertà, la mia autonomia, oramai Benedetta era un'amica considerando che non provavo più nulla per lei.

Non avevo nessuna ragazza per la testa fino a quando sei arrivata tu. Nel momento in cui hai fatto il tuo ingresso nel campo di Coverciano il mio cuore e la mia mente si sono risvegliati. Avevi catturato la mia totale attenzione e per quanto tentassi non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso. Ricordo di essermi detto "La figlia di Mancini deve essere mia".

Volevo avvicinarmi a te ma ogni volta mi sentivo in imbarazzo, non mi reputavo alla tua altezza, cosa che ancora adesso non faccio.
Eri bella, sveglia, intelligente ed educata; i tuoi occhi erano grandi e avevano parecchio da dire, perdersi in questi ultimi sarebbe stato più semplice di segnare un gol a porta vuota.

Non avevo avuto neanche il tempo di pensare a come agire che Matteo Pessina ti aveva già conquistato, adesso eri la sua ragazza.
Meglio scegliere la via dell'indifferenza avevo creduto in un primo momento, in seguito  avevo realizzato che sarebbe stato più utile effettuare un cambio di strategia.

Sono incredulo persino adesso se mi ascolto quando affermo che ti avevo sottratto al bergamasco, che eri diventata la mia ragazza.
Ero riuscito addirittura a dedicarti un goal, quello al novantacinquesimo contro l'Austria.

Purtroppo il destino aveva altri piani per noi due, infatti, erano terminati i sei mesi all'estero di Benedetta Quagli, colei che ancora si definiva la mia fidanzata nonostante la relazione fosse andata a rotoli.

Non oso immaginare le sensazioni che hai provato quando hai udito le parole di lei, ti garantisco che io stesso ho sofferto per te, per noi. Se mi hai preso per folle non ti biasimo, sappi che qualunque appellativo tu mi abbia assegnato dopo l'apprendimento di quella notizia è più che giustificato.

Insomma, vado dritto al punto. Ho rotto con Benedetta, la nostra relazione è finita ufficialmente. Viviana Mancini, desidero stare con te e non smetterò mai di dirlo e volerlo."

Il calciatore della Juventus e della nazionale non aveva preso fiato neanche per un istante. Si era dedicato soltanto a spiegarmi la sua situazione sentimentale degli ultimi due anni.
Aveva riassunto il racconto efficacemente ed ora le mie idee erano più chiare.

"Federico, io ti perdono. Hai vissuto una situazione un po' complicata in questi ultimi mesi e capisco che possano esserci stati vari fraintendimenti. L'unico dubbio che mi è: chi mi da la certezza che non ti stancherai di me come è successo con la tua ex ragazza?" dovevo chiederglielo; dovevo porgli domanda seppur avrebbe fatto trasparire un leggero velo di sfiducia nei suoi confronti, volevo certezze.

"Non potrei mai stancarmi di te come di Benedetta perché tu non sei lei" confessa lui.
Dopo aver ascoltato le sue ultime parole inizio ad avvicinarmi verso il bianconero, il mio respiro si fa più corto. "Chiesa, ti amo", lo bacio, torturo dolcemente le sue labbra e poi lui lascia baci umidi lungo il mio collo.

Veniamo interrotti da qualcuno che bussa alla porta. Vado ad aprire e trovo davanti a me Pessina, il quale fa un passo nella stanza e dopo nota la presenza del compagno di squadra. "Viviana, cosa ci fa lui qui? Non dirmi che..." sussurra nella speranza che lo senta solo io.
"Matteo, io ho scelto lui" gli dovevo la verità.

Cinque semplici vocaboli erano bastati a farlo uscire dalla mia vita. Il numero dodici degli azzurri non si sarebbe fatto vedere per un po'. Avevo perso una figura importante per me, ma non avrei potuto fare altrimenti; il ragazzo non si sarebbe mai accontentato di una amicizia.

Il centrocampista dell'Atalanta stava abbandonando a testa bassa e spalle ricurve la stanza 321, nel frattempo io ero sullo stipite della porta e lo guardavo ritirarsi nella 315, dopo un ultimo ma non primo tentativo di riportare in vita una relazione chiusa da anni.

Sono le undici di sera del giorno seguente quando Barella si presenta in camera. Io e Chiesa eravamo lì già da un po', intenti a scambiarci carezze e baci. Puntiamo lo sguardo sul centrocampista, gli si legge il terrore negli occhi. "Cosa ti prende?" gli domando. "Nella finale affronteremo l'Inghilterra" annuncia lui.

bella come quel goal || Federico ChiesaWhere stories live. Discover now