capitolo 34

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"Finirai per infortunarti" mi gridava Locatelli dagli spalti, eppure io continuavo ad insistere con l'allenamento. Era un quarto d'ora che i ragazzi avevano terminato gli esercizi pre-partita mentre io avevo proseguito con gli scatti, i saltelli, le ripetute lunghe e brevi.

Oggi era il giorno della semifinale degli europei del 2021 per Italia e Spagna. La nostra nazionale era motivata e pronta ad affrontare una nuova e più complessa sfida. Al contrario, io non avevo alcuna voglia di dare il mio contributo alla squadra esultando e sfogavo rabbia e nervosismo con l'esercizio fisico.

Da quella volta in cui Chiesa era venuto a parlarmi per spiegare la ragione delle sue bugie, cosa che in seguito nella pratica non aveva fatto, non avevo più intrattenuto conversazioni con il numero 14 degli azzurri.

Pessina tentava di tirarmi su il morale o di distrarmi dai pensieri che infestavano la mia mente ma con lui, pur volendo, non riuscivo più ad essere completamente me stessa. Avevo paura di ricadere tra le braccia di quel centrocampista per poi ferirlo un'altra volta.

"Viviana fermati", mi viene afferrato il polso. Voltandomi trovo Barella, il solo in grado di tenermi ancora il passo nonostante la stanchezza. "Il tuo fisico potrebbe risentirne pesantemente. Vai ad indossare vestiti puliti che ti portiamo a pranzo, tanto correre da una parte all'altra del campo non ti aiuterà a chiarire con Federico" dice con schiettezza.

Offesa dalle sue parole, mi libero dalla sua presa e scappo a rifugiarmi nello spogliatoio.
Le gambe sono doloranti, quasi bruciano. Faccio fatica a sedermi o a compiere qualsiasi altro movimento, ho esagerato sul serio.

Non ho alcuna intenzione di cambiare i vestiti e tornare dai ragazzi, non ho neppure fame. L'opzione migliore sarebbe rimanere qui a trasformare lo stress in un fiume di lacrime, però qualcuno non condivide la mia opinione a quanto pare. Quest'ultimo è Jorginho.

"Che cosa fai nello spogliatoio tutta sola? Non credi che sia meglio togliersi di dosso questo vestiti sudati, indossarne dei nuovi e andare a pranzare? Coraggio, vai a fare una doccia fredda e ti porto a mangiare ciò che desideri" mi invita il centrocampista del Chelsea.

Faccio cenno di no con la testa per comunicargli che non sono interessata alla sua proposta e lui borbotta ma non molla, "A Nicolò capita di usare toni un po' duri, è solito parlare con franchezza e non sa che qualcuno potrebbe prenderla male. Per quanto riguarda l'altra questione, sono certo che si sistemerà tutto: Federico non è un santo e neanche un bugiardo, avrà avuto le sue motivazioni per fare quello che ha fatto. Comunque vada l'importante è che tu sappia che io, Locatelli, Barella e persino Pessina ti siamo vicini".

Le sue parole mi riscaldano il cuore, Frello dovrebbe essere noto non solo per la bravura nel calcio ma anche per la dolcezza e per la straordinaria bontà d'animo che possiede.
Aveva capito al volo la causa dei miei tormenti e con poche frasi mi aveva rassicurato. Aveva ragione, dovevo prepararmi per il pranzo.

Ero entrata in doccia e avevo fatto si che l'acqua fredda bagnasse il mio corpo e alleviasse i dolori, successivamente avevo indossato dei panni puliti e mi ero avviata verso la tribuna, dove Jorge, Nico e Manu mi stavano aspettando. Assomigliavano ai tre moschettieri, desiderosi di aiutare una povera fanciulla in difficoltà proprio come me.

"Che cosa si mangia?" chiedo rivolgendomi ai tre e facendo il labbruccio. Sono parecchio affamata, probabilmente ho consumato una ingente quantità di calorie questa mattina.
Il mio stomaco brontola come Barella, il quale fa spallucce e si lamenta "Possibile che nessuno di noi quattro abbia suggerito un posto in cui mangiare?". "Siamo a Londra, Jorge Luiz Frello Filho, tu dovresti conoscere bene la tua città!" il centrocampista dell'Inter aggiunge addirittura un rimprovero per il calciatore del Chelsea, che giustamente avrebbe dovuto farci da guida considerando che la sua società calcistica ha sede nella capitale dell'Inghilterra.

Dopo una lunga riflessione ci gettiamo nel The Lounge Cafe, uno dei ristoranti suggeriti da Tripadvisor. "Non esagerate con il cibo, stasera dovete giocare una partita di vitale importanza. Siete carichi?" oramai la mia mente era proiettata all'incontro delle 19:45, ora londinese. "Carichissimi" risponde Loca, intento a gustare la pietanza ordinata.

Terminato il pasto facciamo ritorno al campo dello stadio di Wembley, dopo esser passati per qualche istante in albergo. "Ragazzi, la partita che state per giocare rappresenta per voi un'ostacolo grande, ma non insormontabile. Avete le capacità per vincere, la passione e l'amore per il calcio di sicuro non vi mancano, perciò date il massimo e divertitevi!" sono le frasi conclusive del discorso che Mancini si era preparato per essere di supporto alla squadra.

La formazione mi era già ben nota, avrei trascorso la gara in panchina, vicino a Pessina e Locatelli. Federico non mi avrebbe causato alcun problema dato che sarebbe entrato in campo dal primo minuto.

Ora che ci ripenso, avevo incrociato lo sguardo dell'attaccante Juventino ripetutamente durante l'allenamento pomeridiano degli azzurri che avrebbe preceduto la partita. Sospettavo che avesse qualcosa in mente, però avevo preferito non dare peso a ciò. Adesso ciascuna persona si preparava ad intonare l'inno della propria squadra con la voce altissima e la mano posizionata sul cuore. Ed ecco che arriva il fischio di inizio dall'arbitro.

Le furie rosse e i miei azzurri si stanno confrontando e la gara è cominciata su buoni ritmi: l'Italia c'è e si sta facendo sentire.
Le sorti si invertono, si può dire che la Spagna abbia dominato il primo tempo. I quindici minuti di recupero accrescono l'ansia nei tifosi e in particolare nei calciatori, che avvertono il peso di una intera nazione sulle spalle.

Malgrado il fatto che il possesso palla della Spagna fosse superiore, al sessantesimo si sblocca la partita per merito di Chiesa. L'attaccante esterno aveva appena riprodotto uno dei goal simili a quelli del padre Enrico e ora stava riproducendo la sua esultanza ma...
"Viviana ti sta indicando, GUARDA FEDE!" mi distrae urlando il centrocampista del sassuolo.

Era vero, il suo dito stava puntando nella mia direzione: mi aveva dedicato il suo secondo gol.  D'istinto mi ero alzata in piedi e stavo camminando avanti e indietro per scacciare l'ansia e le domande che avevano bussato alle porte della mia testolina dopo che il numero 14 della nazionale italiana mi aveva indicato.

"Cosa hai intenzione di fare con lui?" è Pessina, interessato e dubbioso riguardo le mie scelte.
"Non ne ho idea, devo parlargli subito, tiratelo via da lì, ho la necessità di capire cosa gli sia saltato in testa" pronuncio frasi causali, che sfuggono alla mia bocca. Ho male al capo ma non ho la ben che minima voglia di rimandare la conversazione, quando uscirà dal campo ascolterò il mio cuore e lascerò che sia quest'ultimo a discutere con il bianconero, spero di non pentirmi della mia decisione.

"Pessina, devi sostituire Verratti" ordina mio padre, che sembra rallegrarsi nel sottrarmi ogni supporto morale. "Sono pronto mister" afferma l'Atalantino.

"DANNAZIONE, tutto da rifare" grida Roberto, Alvaro Morata ha segnato e condotto la sua squadra al pareggio all'ottantesimo.
Troppo poco il tempo per rimediare, si va ai supplementari. Il match sta durando più del previsto, "È come se l'universo facesse di tutto per impedirti di chiarire con Federico" mi sussurra Barella, a cui il 5 degli azzurri aveva dato il cambio all'ottantacinquesimo minuto.

"Chiesa è stremato, dobbiamo mettere qualcun altro al suo posto" sento dire dal capo azzurro ed effettivamente agli inizi del secondo tempo supplementare si effettua la sostituzione dell'autore di un gol che aveva ravvivato la partita con il numero 20 della nazionale.

La tavoletta luminosa si solleva, su di essa si leggono due numeri: il 14 in rosso e il 20 in verde. Chiesa stava cedendo il posto a Bernardeschi, stava venendo a parlare con me.

bella come quel goal || Federico ChiesaWhere stories live. Discover now