capitolo 20

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Sono sola in una camera che non è la mia, seduta sul pavimento, con la mente vuota ed il cuore pieno di sensazioni che spaziano tra la tristezza e la delusione. Matteo Pessina è uscito dalla mia vita da qualche minuto e lo ha fatto non solo sentimentalmente ma anche fisicamente, infatti, non è più nella stanza 315.

Aveva aperto la porta e dopo quel saluto, che mi aveva trasmesso già nostalgia, se ne era andato per la sua strada. Si sarebbe concentrato sul calcio e sugli europei in corso.
Al contrario, io avrei avuto la testa in costante subbuglio e lo stavo scoprendo con autonomia.

Mentre riposo avverto tre colpi decisi attraversare le pareti con il loro rimbombo, la porta si smuove. Mi alzo per vedere di chi si tratti e trovo Domenico in piedi davanti a me con un'espressione dubbiosa, le sopracciglia inarcate e la fronte con le rughe da pensatore.

Doveva aver seguito la litigata tra me e Pessina, evidentemente si era preoccupato ed era venuto a controllare la mia situazione. "Viviana come mai sei in questa stanza? Dove sono i ragazzi?" è la prima cosa che mi domanda.

"Non so dove siano gli altri. Io sono qui perché..." mi blocco, inspiro, espiro "Ho litigato con Pessina". Il suo sguardo è di compassione.
Mi getto fra le sue braccia nella speranza di trovarci conforto, lui intuisce il mio bisogno e mi avvolge in un caloroso abbraccio.

Soffoco la voce del pianto che si stava impossessando di me e mi aggrappo con maggior forza al calciatore verde-nero per cercare sostegno da parte sua.

"Alcune storie d'amore nascono, sembrano perfette, ma poi, d'improvviso finiscono. Questo però non significa affatto che siano tutte uguali, prima o poi arriverà quella che sembrerà e sarà a tutti gli effetti perfetta."
Mi consola con parole simili ad una poesia.

Il fatto che non avessimo mai parlato prima di adesso o che non ci conoscessimo praticamente per niente non contava nulla. Mi aveva vista in difficoltà ed era corso in mio aiuto il prima possibile dimostrandosi parecchio disponibile.
Ero certa del fatto che Berardi sarebbe stato un ottimo amico ed un caro e fidato confidente.

Ripensando alla mia storia d'amore con Matteo, ricordavo di quanti sforzi avevamo fatto per farla rimanere una relazione abbastanza privata. I ristoranti esclusivi, i baci scambiati nell'ascensore oppure nei punti appartati giardino, le coccole a letto durante quelle rare volte in cui Belotti e Locatelli non erano in stanza. Ora Mimmo sapeva ogni cosa.

Ci eravamo seduti sul pavimento e io lo avevo informato riguardo l'intera vicenda. Avevo addosso la preoccupazione che da un
momento all'altro l'ingresso di qualcuno potesse interrompere la conversazione liberatoria che ero riuscita ad intraprendere.

La paura diviene realtà e veniamo interrotti dal mister che richiama Berardi richiedendo la sua presenza all'allenamento. Non manca molto all'ultima partita della fase a gironi, siamo pronti a sconfiggere in campo anche il Galles.

Saluto il calciatore del Sassuolo e mio padre e li lascio andare verso il centro sportivo. Poi cambio stanza d'hotel e mi rifugio nel mio comodo letto, che risulta quasi familiare per merito della fragranza dell'ammorbidente utilizzato per lavare le lenzuola, che pare avere un odore uguale a quello usato proprio da me.

Talvolta sentirsi a casa standone lontani fa bene all'animo. La presenza di mio padre fortunatamente mi è di aiuto ma non metto in dubbio che le piccole cose, ad esempio i profumi, possano mettere più a suo agio una persona e riescano a farla sentire in famiglia.

In questo momento la mia unica compagnia sono i ragazzi della squadra azzurra, loro si che sono una grande famiglia. L'unione di quel gruppo si percepisce addirittura tramite gli schermi e tutta l'Italia parla di quando siano in armonia i membri del team azzurro.

È insieme che i calciatori della nazionale affrontano il Galles. È il 20 giugno e siamo per la terza volta allo Stadio Olimpico di Roma.
Dalla sezione vip della tribuna riesco a vedere perfettamente la partita e accanto a me ho alcuni giocatori come Florenzi o Berardi.

Prima dell'inizio ero passata negli spogliatoi per un augurio finale nonostante ero certa che non ne avessero bisogno. I miei occhi avevano cercato disperatamente quelli di Pessina e quando finalmente li avevano incontrati era stato peggio: avevano visto solo malinconia.

Matteo aveva bruscamente interrotto il contatto visivo ed ero inciampata nello sguardo di Chiesa che, dopo avermi rivolto un innocente sorriso, si era posizionato in fila per fare il suo ingresso in campo assieme agli altri.

Il secondo dei due aveva giocato un'ottima partita e si stava rivelando una promessa del calcio, ma era stato il primo a dare la svolta necessaria segnando un gol al trentottesimo.
Quest'ultimo aveva gioito e si era concesso uno scatto lungo diversi metri a bordo campo. I compagni lo avevano seguito e avevano scaldato l'esultanza con un grande abbraccio.

Meritava quei minuti di gloria. Ero felice per lui, tanto felice. Lo scrutavo applaudendo da seduta; era alla ricerca di qualcuno e non sapere di chi si trattasse o avere la certezza che non fossi io mi distruggeva moralmente.

Ricordavo le sue parole dopo la partita in cui aveva segnato Lorenzo Insigne; 'Se dovessi fare pure io un gol sappi che sarà dedicato solo ed esclusivamente a te' . Ci aveva pensato anche lui a quella frase? Potevo ritenere per me il gol?

No. Il suo dito stava puntando verso una poltrona lontana dalla mia, era palese che stesse indicando qualche suo parente o la sua nuova ragazza e che gli avesse dedicato il tiro vincente. Mi aveva già rimpiazzata? Possibile?

bella come quel goal || Federico ChiesaWhere stories live. Discover now