capitolo 27

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La partita contro l'Austria era finita da qualche ora. Il risultato finale era stato un 2 a 1 per noi. Kalajdzic aveva riaperto la partita con il suo colpo di testa in tuffo sul primo palo ma non era stato sufficiente per batterci.

La squadra azzurra è in attesa di scontrarsi con la vincente tra Belgio e Portogallo nei quarti di finale. Per ammazzare il tempo, data la mia voglia di festeggiare la vittoria insieme a Federico, mi ero rifugiata con lui sulla terrazza della stanza 321 dell'hotel, la nostra stanza.

Arrivavano le voci lontane dei nostri amati azzurri che cantano e ballano e gioiscono.
Invece sembrava di essere soli al mondo, solo io, solo lui. Federico Chiesa era mio, io ero sua.
Potevamo dire di appartenerci, perché dopotutto si era capito che eravamo stati creati per restare insieme fino alla fine.

Ero seduta sulle sue gambe e ammiravo il panorama dal balcone, le luci artificiali erano poche e non si vedeva molto nel buio della notte ma il cielo era stracolmo di stelle. Eravamo insieme nel posto in cui il nostro rapporto aveva subito una svolta cruciale, eravamo di nuovo anche se qualcosa era cambiato.

I miei dubbi erano svaniti, le incertezze sfumate. Matteo Pessina non rappresentava più un ostacolo; non negavo di aver amato il calciatore bergamasco, ma adesso sapevo che la nostra era stata una storia che si era già conclusa anni fa. Volevo Chiesa ora e per sempre. Ero sicura che nulla avrebbe potuto dividerci, che il nostro amore fosse puro.

Il vento mi scombinava i capelli, trasportava con se tutti i miei pensieri liberandomi la mente dal frastuono che essi avevano fatto in qualunque istante delle ultime giornate. Nonostante il vociare dei ragazzi, mi sembrava che al mondo ci fossimo solamente io e il numero 22 della Juventus, le uniche due persone presenti sulla faccia della terra.

Ero su una semplice terrazza al terzo piano di un albergo qualsiasi eppure mi sentivo al sicuro, a casa. Non esisteva più nulla. Solo io, solo lui. Sentivo che se fossi tornata qui in futuro, pur non avendolo al mio fianco, lo avrei rivissuto tante volte quante necessario ad inciderlo eternamente nel mio cuore.

"Che ti prende, piccola?" mi aveva chiesto sentendo le mie gambe irrigidirsi leggermente. "Io ti amo Chiesa" la frase esce spontanea dalle mie labbra. Non è affatto scosso dalla mia rivelazione, anche se potrebbe risultare affrettato pronunciare quelle due parole.

Sorride timidamente. "Anch'io ti amo Viviana". Nulla sembra frenarlo più, la mia voce gli ha dato sicurezza "Forse è presto per dirlo ma io ti amo e voglio svegliarmi con te al mio fianco, voglio addormentarmi vedendo te per ultima".
Dopo averlo sentito parlare in quel modo torturo dolcemente le sue morbide labbra.

"Andiamo, ti porto in un posto" mi fa scendere dalle sue gambe, mi prende la mano ed inizia a guidarmi verso una metà a sorpresa. Percorriamo il corridoio e attraverso le scale raggiungiamo con rapidità il piano terra.
Lasciamo l'hotel ignorando le voci dello staff. il quale avrebbe voluto informarsi sulla nostra uscita per riferirlo al mister Mancini.

Intrecciamo le nostre dita e respiriamo l'aria fresca di Coverciano. Entriamo nel parcheggio dell'hotel e Federico tira fuori dalla tasca del suo jeans un mazzo di chiavi. Una mercedes si illumina. Lui, dopo avermi aperto lo sportello, si siede al posto del conducente e fa partire l'auto. Il viaggio dura pochi minuti.

Accostiamo davanti ad un bar, più precisamente una gelateria. Chiesa abbandona il suo sedile e prima che possa farlo da sola spalanca con cura la portiera della macchina e mi porge la mano per aiutarmi ad uscire.

Facciamo il nostro ingresso nel locale e già il barista sorride e viene a prendere l'ordinazione, "Due coni gelato, grazie" dice il numero 14 della nazionale. "A che gusto li facciamo?" chiede il signore dietro al bancone.
Senza domandare nulla, quello che potevo definire il mio ragazzo sceglie correttamente "Entrambi crema" e ringrazia nuovamente.

"Cosa ne sai tu?" sussurro per far sì che il signore non mi senta. "Piccola, ti conosco molto più di quanto tu possa immaginare" e mi porge il gelato con gentilezza per non farmi allungare. Indossavo un vestito blu attillato e Chiesa si sentiva in dovere di tenermi coperta.
Era geloso e un po' mi piaceva che lo fosse.

Andiamo via dalla gelateria e ci incamminiamo per le strade di Coverciano. "Sei un po' sporca qui" mi avverte Fede indicando con l'indice l'angolo sinistro della mia bocca, poi mi bacia proprio in quel punto e commenta con "Fatto".
Questi suoi piccoli gesti mi fanno impazzire.

Il tempo scorre senza che io me ne accorga ed in un battito di ciglia sullo schermo del mio cellulare, che avevo preso in mano per fare una foto con il mio ragazzo, leggo che sono le due di notte. Insomma, abbiamo fatto le ore piccole.
"Mio padre sarà preoccupato, non sa che sono assieme a te" spiego a Federico che comprende e decide di riprendere la macchina e rincasare.

"Alla buon'ora" esordisce il commissario tecnico della nazionale italiana non appena ci nota. "Viviana mi hai fatto stare in pensiero" si rivolge a me e subito dopo al calciatore azzurro "E tu, caro Chiesa, vedi di stare attento con mia figlia. Sei uno dei miei ragazzi ma lei" fa una pausa e punta l'indice destro contro di me, "Lei è la mia bambina, quindi essendo suo padre devo avvisarti: vedi di non farla soffrire".

"Papà, davvero non capisco tutto questo accanimento nei confronti di Federico" alzo un po' troppo i toni presa dalla rabbia e riparo al danno moderandoli, "Sono tua figlia ma non sono una bambina. Ho ventun anni e fino a prova contraria dovrei avere il diritto di frequentare chi desidero, non credi sia giusto?"
Parlo con molta arroganza, non riesco ad esprimermi diversamente in questo momento.
"Andate dritti in stanza, non voglio sentirti dire nient'altro" mi zittisce Roberto Mancini.

Spalanco nervosamente la porta della camera, Chiesa mi ferma afferrandomi per il braccio.
"Piccola, stai tranquilla. Si sarà arrabbiato perché, come avevi detto, sarà stato per diverse ore a domandarsi che fine avessi fatto. Domani si sistemerà ogni cosa" mi rassicura. Mi bacia.

"Forse hai ragione tu" sussurro per non svegliare Nicolò Barella, rincasato prima di noi due e quasi sicuramente ubriaco. Le nostre voci e il rumore che stavamo facendo per sostituire i vestiti della giornata con il pigiama destano l'attenzione del centrocampista dell'Inter.

"E così siete tornati in albergo alle due di notte" dice Barella con una voce ancora impastata dal sonno, "Temevo che avrei passato la nottata da solo"; ridacchia.

Federico raggiunge Nico e prende posto nel letto matrimoniale che occupavano loro due, io mi sistemo comodamente in quello singolo.
I due iniziano a conversare e nel mentre io provo a prendere sonno. Le ultime parole che sento vengono pronunciate dalla maglia numero 18 del team azzurro "Quando avevi intenzione di dirlo anche a lei?". A cosa si riferisce? Non importa, questa lei di cui parlano devo essere per forza io; quando si sara fatta mattina studierò bene la situazione.

bella come quel goal || Federico ChiesaOnde histórias criam vida. Descubra agora