Epilogo

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Canzoni:

Hallelujah-Pentatonix

Jesus Wept-Sia

"ma nessun uomo può riscattare il fratello,
né pagare a Dio il prezzo del suo riscatto.
Il riscatto dell'anima sua è troppo alto,
e il denaro sarà sempre insufficiente.

Salmi 49:7,8

E Cristo divenne redentore per liberare gli uomini dalla schiavitù del peccato e del male, così come nel termine della redenzione qualunque uomo può redimersi dai propri peccati e abbandonare se stesso alla salvezza. La stessa salvezza che viene definita in molte religioni come il salvare l'anima dal peccato e dalle sue conseguenze.
Quanti uomini a questo mondo smarriscono se stessi, guardandosi allo specchio senza sapere di chi sia quello stesso riflesso, guardano il mondo come se fosse un buco nero da cui non vi è uscita. Tutto in quel buco è nero, senza luce, senza strade o sentieri. Ogni persona è una faccia senza volto, un'anima apatica...meccanismi di vita che si ripetono uguali giorno dopo giorno in una routine da cui non si riesce a scappare. Si galleggia qui in questo limbo dove tutto sembra nero, abituandosi al fatto che sarà per sempre così, senza la speranza di una salvezza o di una via di fuga.
Eppure, Quando l'uomo è cieco Dio invece vede, e permette di vedere.
La sua presenza risiede nel cuore dei suoi figli, nei gesti più genuini e, paradossalmente, in quelli più umani. Nel porgere la mano ad un fratello, in una pacca sulla spalla, in un sorriso di conforto, nella risata di un bambino e nell'amore dei genitori.
Dio è invisibile ma presente, una presenza che ingombra gli spazi più gioiosi e ricchi di vita.
Dio vive nella vita.
Eppure la vita non è facile, è piena di ostacoli, di sfide e il peccato fa ombra su di noi dietro ogni angolo. Ma è proprio questo il bello, riscoprire se stessi nello sbaglio per poi redimersi per sempre. Il superare una difficoltà e sentirsi più forti e speranzosi che mai. Vincere quell'ombra di peccato e sorridere alleggerendo l'anima.
La vita è una sfida che vale la pena vincere.
È un concetto difficile da percepire, non molte persone al mondo riescono a far tesoro di un concetto simile e renderlo concreto. Alcuni si, ma altri hanno bisogno di un aiuto in più. Un aiuto che poi spesso in realtà non chiedono. Che sia per orgoglio, per timidezza o altro, ci si nasconde dietro ad una profonda e nascosta insicurezza nata, cresciuta e sepolta nei meandri del nostro subconscio che finisce per vivere al nostro posto. E si finisce proprio come Cole, un ragazzo vittima di un trauma generazionale che ha vissuto metà della sua esistenza chiuso in quell'insicurezza, mascherandola come punto di forza e di autorità tra le mura di un liceo e dando libero arbitrio ad una parte di se completamente distrutta e malata invece che ammettere a se stesso di aver bisogno di aiuto.
Ed è li che Dio opera e soccorre. Nel piccolo spiraglio di luce che risiedeva nella sua anima c'era ancora la speranza di una vita migliore, bastava solo un aiuto in più e quell'aiuto prese il nome di Ella.
Un essere etereo e celeste che seppur tale aveva in se ancora tanta debolezza e umanità da aver quasi bisogno di quella redenzione. E fu quasi facile e del tutto naturale mettere insieme i pezzi e terminare quel puzzle così inusuale. Due persone così diverse ma bloccati dalla stessa difficoltà, due anime da preservare per far sì che entrambi scegliessero la vita piuttosto che la morte, la felicità piuttosto che la tristezza, la salvezza piuttosto che lo smarrimento. E proprio come due pezzi di un puzzle le loro vite erano destinate a scontrarsi, a confrontarsi e a migliorare. Perché è proprio questo che è accaduto, i peccati di uno hanno aiutato a risolvere quelli dell'altro e viceversa. E Dio era lì con loro.
Dio era nei gesti di conforto di Ella, era nella protezione di Cole, era negli occhi di entrambi quando l'uno guardava l'altro e i loro cuori battevano all'unisono.
Una volta completato il puzzle non rimaneva che fare un passo indietro e osservarne il risultato.
Ella aveva compiuto la sua missione, la sua redenzione era finalmente avvenuta dopo un tempo così lungo ed era riuscita a preservare la propria anima.
Cole aveva fatto i conti con i demoni della sua mente, con tutta la sofferenza che la vita gli aveva lasciato sulle spalle, aveva rinchiuso tutto in un bagaglio per poi lasciarlo a terra e proseguire senza di esso, senza guardarsi indietro e senza ripensamenti. Ogni sfumatura nera o grigia della sua vita apparteneva al passato, un tratto indelebile che non esisteva  più. Il passato non è il presente, è solo un ricordo di un presente che già è stato e che non sarà mai più. E si era ripromesso di lasciarlo tale.
Aveva chiuso la porta al suo subconscio e aveva aperto quella di una nuova aspettativa di vita, una vita in cui voleva solo tranquillità e pace. Voleva stabilità e serenità, sorrisi sinceri e gesti genuini, per se stesso e per i suoi amici. Ma tutto doveva partire da un primo sacrificio, e il suo fu la prigione.
Ammise i suoi peccati, ogni azione sbagliata, ogni bugia, ogni inganno e truffa fatta nel corso della sua vita. Non disse niente sui suoi amici, ogni cattiva azione che venne raccontata a Mc Lawrence, ad ogni avvocato e ai giudici presenti al processo, fu ideata e compiuta solo da lui e da nessun altro che lui. E nonostante fosse una bugia anch'essa faceva tutto parte della sua redenzione perché lo doveva, doveva questo e molto di più ai suoi amici, doveva loro una libertà che lui stesso per anni aveva inconsciamente negato e l'avrebbe privato a se stesso per donarla a loro.
E ci riuscì. Dopo vari interrogatori e processi Cole Sprouse venne dichiarato colpevole di omicidio e di altri reati minori. È stato condannato inizialmente a trent'anni di reclusione senza alcuna possibilità di uscita su cauzione.
Dopo il primo anno di prigione il suo avvocato, con l'aiuto inaspettato di Mc Lawrence, riportò il caso in tribunale stipulando un patteggiamento per imputabilitàautodifesa.
Le pressioni psicologiche, le minacce, le violenze fisiche e psichiche subite dal padre oltre allo stress post traumatico subito dopo aver visto la madre morire davanti a se e subito dopo essere stato quasi ucciso dal suo stesso sangue, hanno creato in lui dei vuoti di lucidità che, grazie alla presenza di vari psicologi e psichiatri presenti in aula per il processo, vennero confermati. Si crearono dunque i presupposti di involontarietà del ragazzo nei momenti di non lucidità e autodifesa in quelli di lucidità.
In poche parole: quell'esatto momento in cui Cole sparò a suo padre, il suo cervello andò in tilt tanto da non renderlo lucido. Non fu lui a sparare ma il suo subconscio malato e violentato. Quando Cole tornava lucido era capace di intendere e di volere al tal punto da auto difendersi e da reagire a quei vuoti di lucidità.
Così, dopo un anno di fatica e di lavoro, la sua pena venne ridotta a 5 anni e quando il martello venne sbattuto su quella lucida superficie, dalle labbra del ragazzo fuoriuscì tutta l'aria trattenuta fino a quel momento, tutta la tensione e le paure che aveva racchiuso dentro se. Iniziò a sentire la sua anima alleggerirsi nonostante avesse comunque una reclusione da scontare. Reclusione con obbligo di assistenza psicologica e di lavori sociali. Cosa che Cole fece senza alcuna obiezione. Si dedicò alle sue terapie, non mancava neppure un incontro e si impegnava a migliorare ogni minima cosa migliorabile di se. Si era totalmente abbandonato all'aiuto degli altri, aveva finalmente capito che quell'aiuto gli serviva, gli era sempre servito, e che grazie a quelle persone la sua vita stava cambiando. Giorno dopo giorno migliorava, nonostante si svegliasse sempre nello stesso posto lurido e spoglio, sempre sulla stessa brandina scomoda e fredda, sempre nella solita cella, sempre con la stessa divisa ogni singolo giorno. Nonostante la pena da scontare, la solitudine, i lavori e le terapie lui era felice. Felice di aver dato il via a quel cambiamento tanto atteso nella sua vita, felice di aver fatto la cosa giusta, ma soprattutto felice di aver vissuto e di essere vivo nonostante tutto.
Quando poi giunse il fatidico giorno un margine di insicurezza comparve in lui. Cinque anni fuori dal mondo esterno, cinque anni in cui il mondo aveva continuato a girare e a cambiare senza che lui se ne accorgesse, cinque anni in cui tutte le persone che aveva lasciato fuori erano andate avanti senza di lui.
Si fermò dunque davanti alle grandi porte grigie di metallo, l'uscita posteriore che separava la prigione, che ormai era diventato quasi come il suo posto sicuro, dal mondo esterno ormai sconosciuto. Piccole folate di vento gli scompigliava i capelli e chiudendo gli occhi assaporò quell'attimo. Respirò lentamente, prese aria nei polmoni e con calma la espirò fuori. Iniziò a calmarsi, perché dopo tutto non era un male se il mondo era cambiato, anche lui lo era e così come aveva accettato se stesso sarebbe riuscito ad accettare un mondo diverso, magari migliore di quello che aveva lasciato cinque anni prima. Si grattò leggermente la mascella dove ormai aveva lasciato crescere una leggera barba, si sistemò la maglia ben dritta e prese il borsone con dentro le sue cose in spalla. Una delle guardie li accanto fece cenno ad un'altra nell'edificio che con un pulsante fece aprire quelle spesse porte. Più esse si aprivano e più  il sole entrò in quell'atrio solitamente ombroso. Era un sole accecante che fece socchiudere gli occhi al ragazzo, poi li alzò verso il cielo e dentro di se fu contento nel constatare quanto fosse bella quella giornata.
Non appena la porta si fermò e quel suono meccanico e assordante cessò, fece un ultimo respiro profondo e uscì, un passo alla volta si incamminò verso l'esterno semi deserto, solo lui e il suo borsone in spalla. I suoi piedi rallentarono solo nell'attimo in cui i suoi occhi videro qualcosa in lontananza, tre figure a lui familiari eppure così diverse ormai quasi da non riconoscerle lo attendevano poggiate al cofano di un auto che neanche ricordava, probabilmente nuova, gli sorridevano e gli andarono incontro fino a raggiungerlo.
Josh fu il primo ad abbracciarlo facendogli scivolare il borsone dalla spalla, era più alto di come ricordava e aveva un taglio di capelli corto e moderno, rasati e sfumati sui lati. Charlie gli sorrise prendendogli dolcemente il borsone per poterlo aiutare, non portava più alcuna bandana fra i ricci e neppure abiti da lui personalizzati, vestiva semplice e aveva fatto crescere  una barba corta ma delineata e  pulita. Infine Rayan, gli sorride ampiamente dandogli delle pacche sulle spalle, aveva un fisico  più asciutto, la schiena leggermente più larga e le braccia più forti, persino i capelli erano un po' più lunghi e pettinati. Tutti e tre lo strinsero in un abbraccio assaporando quel momento da cinque lunghi anni, cinque anni in cui ad ognuno di loro era mancato non solo un amico ma molto di più, un fratello, una parte di se...un pezzo della loro vita. Cinque anni in cui avevano vissuto senza di lui, andando avanti con le proprie vite ma rimanendo sempre legati a lui e all'attesa della sua uscita.
Tutti e tre iniziarono a fargli domande e a chiedergli se stesse bene, o se avesse bisogno di qualcosa, l'unica cosa che rispose fu di avere fame e risero, perché sarebbero tornati da Sparkle e avrebbero mangiato di tutto e riso e parlato e soprattutto avrebbero recuperato tutto il tempo che gli era stato negato.
E mentre si lasciava andare alla serenità e ascoltava le chiacchiere incessanti dei suoi amici, alzò lo sguardo e la vide, proprio lì vicino quell'auto di cui non sapeva nulla. Ed era bella come la ricordava, con la sua chioma dorata e quelle dannate gambe lunghe. Ella lo guardava e coglieva in lui ogni nuovo particolare proprio come Cole osservava ogni centimetro di lei. Lei gli sorrise, un sorriso che mai gli aveva rivolto, pieno di gioia e commozione, un sorriso vero e puro che nascondeva dentro un significato ben più profondo. Senza neanche accorgersene Cole le ricambiò il gesto e in quell'esatto istante capí che lei era li per lui ancora una volta e che lo sarebbe stata per sempre.

Fine.

Wings [Cole Sprouse]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora