Capitolo 6

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COLE

Erano ormai le otto di sera passate, il sole stava sparendo all'orizzonte e il silenzio era un eco in quella casa. Mio padre non era più rientrato in casa e di questo ne ero grato, di tanto in tanto guardavo l'orario sul cellulare chiedendomi dove fosse finita. Poi tornavo a guardare la piccola tv davanti al divano, anche se la mia mente era altrove.
Non poteva essersi persa, ormai sapeva la strada di casa, ed era poco probabile che fosse con qualcuno perché conosceva solo me o i ragazzi. Per un momento pensai potesse essere con Charlie, scossi la testa e presi il pacchetto di sigarette dal tavolino di legno scheggiato. Presi una sigaretta e la misi fra le labbra, accesi l'accendino e guardai la fiamma vibrare contro la punta della stecca.
Tornai con lo sguardo alla tv, un leone sbadigliava sotto al caldo afoso della sua terra facendomi fare una smorfia.

“Cosa cazzo sto guardando..” mormorai cercando il telecomando.

Sentii la porta di casa cigolare e richiudersi, mi immobilizzai. Non sapevo se fosse lui oppure lei, girai il viso verso la porta e con sollievo vidi quelle lunghe gambe attraversare il corridoio ed entrare in salotto. I suoi occhi azzurri incontrarono i miei per un istante, un solo istante prima che distogliesse lo sguardo, quasi come se guardare me la bruciasse.

“Ti sei persa o cosa?”

Ella si sedette accanto a me, accavallò le gambe e si concentrò sulla televisione. Il leone stava ancora li.

“Nulla di che.” alzò le spalle.

“Pensavo tornassi subito a casa,  sono passate sei ore.”

“Probabile.” continuò a guardare il leone come se le interessasse per davvero.

Corrugai la fronte e guardai la sigaretta fra le mie dita. Un alone di fumo aveva quasi circondato il divano. “Mi stai dando risposte vaghe.” mi girai a guardarla.

Alzò nuovamente le spalle. “Di tanto in tanto.”

“Perché?”

Sospirò, poi finalmente si voltò a guardarmi. “Eri con Nicole, no?”

“E allora?”

“E allora non volevo sentirvi.”

Inarcai un sopracciglio, iniziava a divertirmi quella conversazione ma non lo diedi a vedere. Mi limitai ad essere ingenuo.

“Ma cosa c'era da sentire?”

Le sue guance iniziarono a tingersi di un rosa intenso. “Scusa ma che avete fatto?”

“Sesso, ovviamente.”

Diventò completamente rossa e alzò gli occhi al cielo distogliendo lo sguardo.

“E non volevo sentirvi appunto.”

Sorrisi approfittando che fosse girata e scossi la testa.

“Oh Ella, fare sesso è così umano e tu lo fai sembrare un peccato capitale.”

“Lo è.” incrociò le braccia al petto.

Sorrisi maggiormente. Non capivo perché ma stuzzicarla, darle fastidio e farla innervosire mi divertiva. Era una seccatura vederla fare la professoressa di religione ma stuzzicarla era intrigante. Da vero e proprio stronzo, ma almeno uno stronzo divertito.

“Ah si?” mi finsi confuso. “Allora perché scopano tutti? Cioè, anche nell'antichità ci si metteva a missionario altrimenti noi non saremmo qui, ti pare?”

Ella corrugò la fronte, le sue guance ancora rosse e le sue braccia ancora incrociate, eppure si voltò lentamente a guardarmi.

“Missionario?” chiese con una voce innocente, come se non ne avesse mai sentito parlare in vita sua.

Sgranai gli occhi e mi schiaffeggiai mentalmente, era ovvio che non sapesse nulla di sesso. Ancora una volta mi si illuminarono in mente delle immagini, lei sotto al mio corpo o in varie posizioni, immagini squisite che come al solito mi portarono a guardare le sue gambe.

“E comunque, tornando al discorso, tu sei il re dei peccati capitali.”

Riportai l'attenzione sul suo viso e sbuffai. “Sono un angelo io.”

“Quella sono io.”

“Copiona.” scherzai. “Copiare è un peccato capitale!”

“Ma non è vero!”

“Ma che angelo sei?!”

Sbuffò sbattendo un piede a terra. “Sei...sei..”

Sorrisi e buttai la sigaretta nel posacenere sul tavolino. La guardai e mi alzai dal divano osservandole nuovamente le gambe.

“Stai molto attenta Ella, qualsiasi parola tu dica qui dentro non hai scampo.”



****


“Siamo a settecento questo mese.” Charlie finì di contare i soldi e mi guardò mentre il malloppo trovò posto nel suo zaino. Come al solito prendeva lui i soldi e a fine settimana divideva l'intera somma per ognuno di noi.
I ragazzini erano ormai andati via, aspettai solo che Charlie sistemasse i soldi e che Rayan finisse la sua sigaretta. Josh era poco più distante intento a parlare con Ella, la vidi ridere da lontano e mettersi una mano davanti la bocca, mi chiesi cosa le avesse detto lui.

“Mi ascolti?”

Mi girai di scatto vedendo Rayan starmi davanti e aspettare una mia risposta.

“Come?”

“Dicevo, ti cercava Nicole stamattina.”

Alzai gli occhi al cielo e stiracchiai le braccia. Sentii uno schiocco alla schiena sentendomi subito dopo più sollevato.

“Probabilmente aveva voglia.” risposi.

“Ma non la porti mai in giro?”

“Perché dovrei?” feci una strana risata.

“Perché è così che si fa. Non puoi solo fare sesso.”

Lo guardai e scossi la testa dandogli una pacca sulla spalla. “Non sono proprio quel tipo di ragazzo.”

“Questo si era capito, ma magari ti cerca sempre perché vuole qualcosa di più.”

“Non credo sia possibile. E comunque le do già una cosa molto speciale, non le serve altro credimi.” dico rivolgendogli un fantastico occhiolino malizioso. Dopo aver visto la sua faccia disgustata lo supero e raggiungo Ella che ancora rideva insieme a Josh.

“Andrei a casa se hai finito di chiacchierare.”

Ella si girò a guardarmi e smise lentamente di ridere, salutò Josh e i ragazzi con un abbraccio, poi mi venne vicino camminando con me verso l'uscita del cortile.

“Oggi iniziamo a lavorare, lo sai vero?” mi guardò fermandosi accanto alla mia auto.

La guardai confuso e aprii la macchina salendo poi dentro. “Lavorare a cosa?”

Ella salì accanto a me, mise la cintura e si girò a guardarmi. “Sul tuo comportamento. Sono qui per questo, ricordi?”

Avevo quasi dimenticato la sua missione in realtà. Non mi piaceva affatto quella storia, non dovevo e non volevo cambiare nulla di me. Non ne avevo bisogno. La mia vita non sarebbe di certo cambiata se fossi diventato un santo, anzi avere gli artigli pronti in ogni occasione mi aveva sempre insegnato a tener duro e a contare su me stesso.
Era solo una perdita di tempo. Avrei girato intorno a quella storia, cercato di deviare il discorso, qualsiasi cosa.

“Che ne dici di mangiare prima? Oggi ho proprio voglia di pizza.”

Mi voltai a guardarla iniziando a guidare lungo la strada. Il suo sguardo seccato mi disse che non ci stava affatto cascando. Mi finsi comunque confuso.

“Cosa c'è?”

“Dobbiamo lavorare.”

“Ma ho fame.”

“Lo hai già detto.” sospirò.

“Non dirmi che vuoi farmi stare a digiuno perché esco di testa.”

“Mangia pure quello che vuoi ma dopo lavoriamo.”

“Lo hai già detto.” imitai la sua voce.

Ella mi fulminò con lo sguardo. L'occhiata truce non le riusciva granché con quegli occhioni.

“Non imitarmi, sono seria.”

“Ti ho mica detto che non voglio lavorare?” alzai le sopracciglia guidando tranquillamente. “Solo che ora voglio pensare a mangiare, dopo facciamo quello che vuoi.”

Ella fece un leggerissimo sorriso e guardò fuori dal finestrino rilassando le spalle. Mi morsi il labbro e decisi di buttare giù le solite battutine.

“Dato che facciamo quello che vuoi tu, non è che per caso ti è venuta qualche voglia?”

Per i primi istanti non la sentii neanche muoversi, poi come un fulmine ricevetti un potente ceffone sulla guancia.

Decisi di lamentarmi per il bruciore, giusto per farla arrabbiare ancora o almeno sentire in colpa, ma non aggiunsi altro. Persino il fatto che mi picchiasse mi divertiva e non volevo che la cosa avesse un limite. La portai all'esasperazione per tutto il pomeriggio e, nonostante avessi ricevuto un paio di manate in faccia, vinsi comunque la battaglia.
Neanche quel giorno lavorammo.

Wings [Cole Sprouse]Where stories live. Discover now