11-You can take my flesh if you want girl

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Capitolo undici:


Venerdì
Bea

Il professor Jefferson entra in classe, con due acquitrini di sudore sulla camicia altezza ascelle. Il brusio che mi circonda si spegne.

«Buongiorno a tutti, ragazzi...», dice sondando la classe con lo sguardo, e poi riprende con tono di rimprovero, «Cosa sono queste facce assonnate già in prima ora?»

Ci sono dei bisbigli sul fatto che siamo assonnati proprio perché è la prima ora, ma il professore ci ignora.

«Vi avverto, questa mattina vi conviene rimanere svegli perché parleremo di qualcosa che ci servirà per il resto dell'anno.»

Ha una copia sgualcita di Romeo e Giulietta in mano e già so che per tutta la lezione ci farà una filippica sul teatro elisabettiano, e bla-bla-bla.

Amo la letteratura inglese, però oggi la giornata è cominciata storta.

Charlotte, una delle mie colleghe e coinquiline, mi ha fatto fare tardi, perché stamattina si è impossessata del mio phon, ma quando me ne sono accorta ero già sotto la doccia, e con i capelli insaponati.

Il risultato è che non mi sono fatta la piega, sono uscita di casa con i capelli terremotati che per colpa del vento che adesso entra dalla finestra vanno ad appiccicarsi tra le mie labbra, su cui ho applicato un gloss scaduto, dandomi un fastidio del diavolo.

Sono solo le otto e trenta del mattino e sono già nevrotica.

Inspiro.

«Sapete perché Shakespeare è stato, e tutt'ora è, così amato?», chiede il prof. agli studenti che gli sbadigliano in faccia.

«Nessuno che si vuole lanciare in qualche risposta?»

Ruoto la testa verso la finestra.

Le luci rosate del mattino striano il cielo di rosa e di un verde pallidissimo.

Sono arrivata a scuola con dieci minuti di anticipo, e per ammazzare il tempo mi sono seduta su una panchina di legno che costeggia il parcheggio e ne ho approfittato per dare un'ultima controllata agli esercizi di matematica.

Ero insicura su qualche passaggio di un problema e quindi, con un atteggiamento solerte e libri alla mano, ho provato a svolgerlo nuovamente.

Io che faccio matematica di prima mattina.

Già: oggi è una giornata proprio strana.

Cercavo di decriptare le formule sotto i miei occhi che hanno qualche x e y di mezzo e per me ciò che stavo leggendo poteva benissimo essere russo, anziché espressioni matematiche.

Tuttavia, non riuscivo a smettere di pensare a cos'è successo a Tyler, ormai due giorni fa.

Ieri non ho fatto altro che pensare a lui, a chiedermi chissà come sta?

Se avessi avuto il suo numero gli avrei scritto...

Quando siamo tornati a casa dei Mackenzie, e i suoi fratelli l'hanno steso sul letto era moribondo.

Non ci siamo parlati granché, ho preferito lasciarlo riposare.

Ma, per quanto la serata dopo la partita di basket sia stata scioccante, non riesco a scacciare via il ricordo di Tyler in mezzo al campo che estrae il mio nastro rosa.

Come ne è entrato in possesso? Quando? Perché? E come mai non vuole restituirmelo?

Il professore continua con i sondaggi.

CRUELDove le storie prendono vita. Scoprilo ora