Rialzati, agente Kelley

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È giunto il momento di dimostrare al capo chi sono veramente. Sono stanca di essere trattata come l'apprendista del caffè e la regina delle fotocopie. È ora di passare all'azione, di mettere in pratica tutte le mie competenze e potenzialità.
Quindi eccomi qui, in un piccolo parco vicino casa, vestita con il completo sportivo più appariscente e bello che ho trovato ieri al centro commerciale. Mi serviva un outfit che alzasse la mia motivazione, okay? Niente di meglio di un set coordinato fucsia, presumo. Lo amo. È così comodo!

Sarebbe un peccato sporcarlo con del sudore. Forse dovrei accantonare l'idea di diventare più forte e tornare sul divano.
No. Concentrazione.
Sei qui per allenarti, Althea.
E poi, perché poltrire davanti alla tv quando posso sfidare la barra delle trazioni? La guardo con determinazione mentre muovo i polsi in un movimento circolare. Spero che non ci sia nessuno ad assistere a questa cosa.

I cespugli sono immersi nel buio e lo spazio che mi circonda è illuminato da qualche lampione. Non c'è anima viva. Bene. Voglio essere da sola mentre combatto questa battaglia.
Okay. Pronti, partenza, via!
Mi avvicino alla sbarra, pronta a dimostrare la mia supremazia fisica. Le mie dita si legano al metallo e guardo in alto, come se questa mossa potesse aiutarmi a sollevare il peso del mio corpo in qualche modo. Sono qui, appesa come un panno steso. Spingo con tutte le mie forze, pensando di essere in qualche modo invincibile.

Con uno sforzo disumano riesco a muovermi verso l'alto di qualche millimetro, ma poi torno giù.
Oh, no. Non lascerò che una stupida barra delle trazioni si prenda gioco di me. Non oggi.
Mi affido al mio spirito da guerriera e provo a sollevarmi di nuovo, ma dopo una lotta epica che sembra durare ore, mi ritrovo con il sedere per terra, sudata ed esausta.

«Rialzati, agente Kelley». Ecco. Mi pare di sentire perfino la voce di Evan Royden. Ha ragione. Devo alzarmi. Ripulisco il mio outfit dalla polvere e mi scappa un urlo quando mi accorgo che la voce è fin troppo reale.
Lui è proprio qui, davanti a me.
Non lo sto immaginando.

Quante possibilità c'erano di incontrare Evan Royden in un posto diverso dalla centrale? Deve abitare vicino a me, se frequenta questo parchetto abbandonato dal mondo.
Nessuna persona sana di mente si allontanerebbe da casa per più di qualche isolato per arrivare fino a qui.
Quindi la domanda è: da quanto tempo mi sta osservando? Dove vive? Corro il rischio di incontrarlo per strada? Al supermercato? In gelateria? Oddio, potrei incontrarlo anche nella pizzeria sotto casa che provvede alla mia sopravvivenza?

«Signor Royden», gambe dritte e petto in fuori, provo a salutarlo in modo dignitoso nonostante io sembri una melanzana che ha appena scoperto il crossfit.
Voglio morire.
A differenza mia, lui sembra una figura che appartiene ad un'altra dimensione. Nonostante stia indossando una tuta blu, è avvolto da una strana eleganza, come se quei pezzi di stoffa fossero stati cuciti su misura per lui da dei sarti cosmici.

Si avvicina a me e ad ogni passo gli occhi neri brillano alla luce dei lampioni, come se fossero pezzi di notte incastonati sul suo volto.
«Hai bisogno di una mano?», dice con la sua voce roca. Nonostante abbia appena fatto un gesto gentile, il suo viso continua ad essere un insieme di linee dure.
«No, grazie. Va tutto bene», mento in modo spudorato. «Mi stavo solo allenando un po', ecco. Va tutto alla grande. Ho qualche problemino con le trazioni, ma niente di irrisolvibile». Perché sto continuando a blaterare? Dovevo fermarmi al "no, grazie".

Alza un sopracciglio, un accenno di sorriso sulle labbra: «Sei sicura?».
Mi sta davvero offrendo il suo aiuto o è solo frutto della mia malata immaginazione?
E perché mi sento come se si stesse prendendo di continuo gioco di me?
«Più che sicura, signor Royden. Grazie».

Segue un lungo silenzio imbarazzante in cui io dondolo sui miei piedi mentre lui non si muove, lo sguardo fisso su di me. Credo stia cercando di capire se dico sul serio o voglio solo mantenere la mia dignità. Dovrei fare qualcosa? Dire qualcosa? Ma cosa? Il silenzio continua ad allungarsi e mentre il mio cervello va in tilt, l'unico suono che sento è il mio battito cardiaco accelerato.
Non ci voleva tutta quella attività fisica seguita da questi attimi di terrore.

«Va bene», replica all'improvviso, calmo come mai prima d'ora. È forse sotto effetto di droghe? Quando è fuori dalla centrale diventa un tenero orsacchiotto di cemento armato? «Ti consiglio di tornare a casa, comunque. Questo non è il luogo adatto per un allenamento serale»
«So badare a me stessa», ribatto in fretta. Troppo in fretta. Che diavolo mi è preso?

Mi rivolge il più freddo degli sguardi e mi pento perfino di essere nata: «Torna a casa, agente Kelley».
Non mi sta più dando un consiglio. È un ordine.
«Non capisco. Mi sembra tutto tranquillo. Perché dovrei...»
«Fallo e basta».

La durezza della sua voce mi colpisce con forza come un pugno invisibile, facendomi sentire piccola e insignificante. Sento il bisogno urgente di difendermi, di fargli capire che non può trattare tutti in questo modo, ma le parole mi rimangono incastrate in gola.
Tiro un sospiro e indietreggio di un passo, poi un altro. Raccolgo il borsone che giaceva sul prato umido e mi volto di spalle, pronta a scivolare lontana da lui.

Buon pomeriggio! 🫶
Io e questi due simpaticoni siamo tornati. 🎉
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e che la storia stia iniziando a coinvolgervi.
Fatemi sapere.
Un bacione ❤️

NON SONO UNA SPIAWhere stories live. Discover now