Ti tengo d'occhio

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Ho preso una brutta influenza.
Bruttissima.
Sono a casa da tre giorni e mi trascino come un bradipo dal divano al letto in un loop continuo. Il mio corpo fa schifo nel reggere lo stress. Presumo che il trasferimento e i miei giorni poco felici alla centrale mi abbiano davvero messa k.o.
Sotto una calda coperta, il naso rosso e gli occhi lucidi sono in videochiamata con mia nonna e mia sorella da almeno quarantacinque minuti.
Le mie nipotine, Clare e Julia, cantano in sottofondo mentre fingono di fare i compiti.

«Devo prendere il primo volo», continua a sbraitare mia nonna. «Non riuscirai a sopravvivere due giorni da sola e in queste condizioni!»
«Sto bene», tossisco. «È solo uno stupido raffreddore»
«Non sai reggere lo stress, Altee», mi rimprovera Jude. «Devi prendere le cose con più leggerezza. Sembri uno straccio sporco»
«Grazie, sei sempre così gentile», allungo il braccio verso il comodino e recupero un fazzoletto.

«Ogni volta che devi affrontare qualcosa fuori dalla tua zona di comfort ti riduci così»
«Non è vero», nego.
«No? Quando ho divorziato sei finita in ospedale con un sistema immunitario pari a zero solo perché ciò che stavo attraversando ti faceva stare male!»
«Beh, volevo bene a quell'idiota del tuo ex, okay? Era come un fratello per me», mi difendo e Jude ruota gli occhi al cielo, soffocando una risata: «Quando ho partorito sei svenuta in corridoio»

«Ero agitata»
«Appunto. Forse il capo del dipartimento dovrebbe tenerti per sempre dentro l'archivio. Per il tuo bene»
«Hai mangiato il brodo di pollo?», mia nonna se ne frega dei nostri discorsi. Lei ha delle priorità. Jude scoppia a ridere e pure io.
«Ovviamente», mento.
«Ti ho insegnato a dire le bugie, Altee?».
Rido ancora una volta e mi blocco quando qualcuno suona il campanello.

«Aspettavi qualcuno?», Jude corruga la fronte mentre io scendo giù dal letto per cercare le mie ciabatte.
«No. Ti ricordo che non ho amici qui»
«Non aprire a nessuno! Il mondo è pieno di serial killer!», mia nonna sa sempre come tranquillizzarmi.
Poggio il cellulare sul materasso e mi dirigo verso l'ingresso. Mentre attraverso il corridoio sento il suono della pioggia che batte contro le finestre. Arrivata alla porta, sbircio attraverso lo spioncino e riconosco subito Cristina e Colin. Dietro di loro c'è perfino l'agente Smith.

Che ci fanno qui?
Corro in camera da letto e saluto in fretta mia sorella e mia nonna, poi rabbrividisco nel vedere il mio riflesso nello specchio. Sono un mostro.
Sciolgo i capelli neri e li lascio ricadere sulle spalle. Non ho il tempo di mettere il blush per coprire il pallore del mio viso, anche se vorrei decisamente rendermi decente e nascondere almeno le occhiaie che adornano i miei occhi.
Per non parlare del mio abbigliamento! Un maglione oversize e un paio di leggings. Pazienza. Rideranno di me.

Apro la porta e mi sforzo di fare un sorriso malaticcio mentre Cristina mi mette un contenitore tra le mani. L'agente Smith porta con sé alcuni libri mentre Colin ha un termos: «Caffè caldo», mi spiega.
«E una torta. Spero ti piaccia il cioccolato», aggiunge Cristina.
«E spero ti piaccia il genere fantasy», continua Smith. «Mi sono fatto consigliare dei libri da mia figlia», ammette sincero.
Io credo di essere un po' scioccata. Non me lo aspettavo.
Mi scanso e li lascio passare: «Non dovevate», sorrido ancora. Perché sono così felice?

«Colin sapeva il tuo indirizzo e abbiamo pensato di farti una sorpresa. Non ti abbiamo dato il giusto benvenuto a Boston. Scusaci», Cristina si libera della giacca di jeans e la abbandona sullo schienale del divano.
«Il signor Royden ci chiede sempre di studiare con attenzione i nuovi arrivati prima di dare confidenza», chiarisce Colin, stringendosi nelle spalle. «Ma ti ha messo al centro di una missione e non ti ha lasciata morire sul marciapiede, quindi presumo che il nostro periodo diffidenza nei tuoi confronti sia finito. Credo. Beh, per me è finito», le sue guance si tingono di rosso e si gratta nervosamente la cute.

NON SONO UNA SPIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora