Distrarre e fuggire

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Mi sento agitata.
Tanto agitata.
Tantissimo.
Troppo.

Evan nasconde un'enorme sala di allenamento dietro ad una semplice ed innocua porta. Mi ha prestato dei pantaloncini e una maglietta da indossare e ora mi ritrovo a piedi scalzi e con la bocca spalancata nel centro di un pavimento ammortizzato nero.

Le pareti sono tinte con tonalità neutre di grigio e bianco e lo spazio è amplificato da enormi specchi a tutta parete. Attrezzi da palestra e pesi liberi sono disposti con ordine su un lato della sala.
«Presumo che qualcuno ti abbia già spiegato come liberarti da una presa al polso», comincia. Si muove attorno a me come un felino spietato.

«Sì, signore». Mi maledico perché la mia voce trema.
«Vediamo». Mi aspetto uno scatto veloce da parte sua, ma mi stupisce con una calma piatta. Circonda il mio polso delicatamente e la mia pelle si surriscalda sotto le sue dita. Stringe leggermente, ma non mi fa male. «Liberati».

Con uno strattone spingo il mio braccio lontano da lui, ma tutto ciò che ottengo è avvertire dolore al polso. Aia. La mano di Evan è ancora lì. Riprovo ancora una volta senza nessun successo.
«Prima regola: mantieni la calma», mormora. Sono così agitata e fuori di testa da immaginare un tono dolce fuoriuscire dalle sue labbra. Ovviamente è tutto frutto del mio cervello malato. Evan Royden non usa mai toni dolci.

Annuisco e provo a regolarizzare il mio respiro.
«Mantieni i piedi leggermente divaricati», infila un piede in mezzo alle mie gambe, costringendomi a fare come mi dice. «La tua gamba dominante è la destra», sentenzia con sicurezza come se stesse parlando del suo corpo e non del mio. «Sposta la gamba dominante dietro».

Faccio come mi dice, il volto che va a fuoco a causa della sua eccessiva vicinanza. Con l'altra mano mi prende la guancia e mi costringe a guardarlo. Il suo sguardo severo mi manda ancora più nel panico. Ma che mi prende?
Mi lascia la guancia, ma le fiamme sotto la pelle non passano.

Lo sguardo che mi rivolge mi fa avvertire un calore intenso, come se mi fossi piazzata davanti ad un camino.
Forse dovrei chiedergli una pausa.
«Orienta il polso nella direzione opposta alla presa in modo da creare tensione nel braccio dell'aggressore», guida il movimento mentre parla. «Utilizza la tua mano libera per afferrare il mio polso».

Obbedisco in silenzio, senza fiatare.
Sto morendo interiormente.
Come sono finita in questa situazione?
E perché non apriamo le finestre?

«Devi essere veloce. Fluida. È importante eseguire la tecnica in modo rapido, okay?»
«Sì, signore»
«Sfrutta la tensione che hai creato prima e con un movimento rotatorio del polso e dell'avambraccio crea una leva contro la presa», mi accompagna nel movimento.

«Sposta il corpo verso di me. Avvicinati e aumenta la tua forza», muovo un passo verso di lui e finalmente mi permette di liberarmi dalla sua presa.
«Dopo la liberazione è importante essere pronti a reagire», dice. «O colpisci... O scappi, ma su questo lavoreremo dopo. Adesso riprova».
E si aggancia al mio polso con una velocità disarmante.

Riproviamo ancora e ancora e ancora fino a quando ogni muscolo delle mie braccia urla di dolore. Domani non sarò in grado nemmeno di riempirmi un bicchiere d'acqua. Lo so.
Mi appoggio contro il muro e cerco di recuperare il respiro. Davanti a me Evan Royden è fresco come un fiore appena colto. Sembra fornito di una riserva infinita di energia. Si stanca mai quest'uomo? Ne dubito.

«Per oggi abbiamo finito», m'informa.
«Grazie al cielo», mi lascio sfuggire.
«Domani mattina alle cinque in punto ti aspetto nella palestra della centrale»
«Cosa!?», la mia voce si alza di un'ottava.
«Ho dei piani per te», ripete ancora una volta questa sera. «E non c'è tempo»
«Posso sapere di che si tratta?»
«Ti spiegherò tutto a tempo debito», taglia corto. «Adesso ti porto a casa». Ed è l'ultima cosa che mi dice per il resto della sera.

NON SONO UNA SPIAWhere stories live. Discover now